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«Papà non puoi!» Si ritrovò ad urlare ed osservai divertito il suo viso arrossarsi dalla rabbia.

«Non puoi lasciare che un estraneo dorma con me!» Continuò, ma l'uomo aveva già varcato la soglia e si era lasciato alle spalle le grida quasi imploranti del figlio.

Rimase qualche istante fermo, le gambe rigide e le spalle tese, poi si voltò verso di me. I suoi occhi fissi nei miei, eppure sembrava non guardarmi davvero.

Mi sorpassò e potè sentire i suoi passi allontanarsi lungo il corridoio, poi sparire dietro una porta. Mi limitai a sospirare ed ad osservare l'orario sull'orologio da polso, sperando che quella notte terminasse in fretta.

Ventuno e trenta, sabato.

«Non pensare che dorma davvero con te.» Fu la prima parola che mi rivolse una volta entrato in stanza.

Si abbandonò col corpo sul letto, disteso e con gli occhi fissi sul soffitto sopra di sè. Sospirò una prima, una seconda ed una terza volta, poi alzò il capo in mia direzione.

«Non ho bisogno di un fottuto cane da compagnia.» Non badai alle sue continue lamentele, piuttosto posai gli occhi su un quadro di fianco alla porta.

Ne accarezzai la tela con le dita ma non potè godermi il momento in totale silenzio, che lo sentì lamentarsi ancora.

«Pensa davvero di potermi fermare dandomi una cazzo di guardia del corpo?»

«Moderi il linguaggio.» Dargli del lei mi parve strano, eppure immaginavo fosse la cosa giusta da fare in quelle situazioni.

«Altrimenti? Chiami mio padre?» Il suo commento fu del tutto sarcastico e non ricevendo una mia risposta in cambio, si alzò e si avvicinò di qualche passo.

«Che vita di merda. Stare agli ordini degli altri. E poi guardati, non hai per niente l'aria di una guardia del corpo. Sai come si combatte almeno?»

Socchiusi gli occhi e tirai un profondo sospiro, avrei dovuto resistere soltanto un'altro paio d'ore e il mattino successivo avrei chiesto un cambio di stanza.

Lo sorpassai e poggiai la borsa sopra il letto disfatto, ripiegando la giacca al suo interno. Tentativo invano, perchè mi sentì afferrare da un polso.

«La smetta.» Non rispose e mossi il polso contro le sue dita, strattonando la presa.

«Sei debole come immaginavo. Dovrò dire a mio padre di sostituirti.»

Afferrai il suo avambraccio e lo ruotai, portandolo dietro alla sua schiena e bloccandolo tra le mani. Emise un gemito di dolore, ma non si mosse. Gli occhi incollati ai miei ed il suo alito sapeva di sigaretta.

«Lasciami.»

Continuai a stringere la presa e nel sentirlo lamentarsi sottovoce, rilasciai il suo polso e mi mossi appena, soltanto qualche passo avanti. Ma quel passo fu abbastanza per fronteggiarlo.

Da così vicino potè notare la poca eppure notevole differenza di altezza. Mi guardò dal basso, le labbra strette in una linea sottile, quasi a simulare una smorfia.

Mossi le dita sottili sulla sua camicia, che salirono lente verso la base del collo. Accarezzai il pomo d'adamo, risalì sulla mascella lineata e mi soffermai sulle labbra.

«Ha ragione, sai? Hai bisogno di essere messo in riga.»

Quando poco dopo raccolsi gli abiti del mattino dopo e sparì dietro la porta del bagno, lo sentì brontolare un che guardia di merda.

Quattro e quarantadue, domenica.

Rantolai nel buio in cerca della porta del bagno, con il respiro quasi inesistente pur di non procurare nessun rumore.

Al tocco della maniglia la aprì cauta e accesi la luce. Quel piccolo fascio giallo illuminò appena la stanza, il giusto per mostrare il letto disfatto e vuoto.

Imprecai, era uscito durante la notte.

Cinque e dieci, domenica.

Non ci misi molto nel trovarlo, immaginando fosse nei paragi. Controllai le vie strette che portavano alla strada principale e lo trovai in una di queste.

Poggiato con la schiena contro il muro, tra le labbra teneva qualcosa che aveva l'aria simile ad una sigaretta, ma che dall'odore nauseabondo ricapì fosse qualcos'altro.

Quando alzò lo sguardo ed incontrò quello mio, tirò un ennesimo sospiro e le sue labbra si incurvarono verso l'alto. Mi feci più vicino e lui indietreggiò di qualche passo.

Immaginavo fosse scosso dalla mia presenza, eppure l'attimo dopo mi stupì. Alzò le mani in aria in segno di resa e rise di gusto.

«Raccontalo pure a mio padre, sa già che mi fumo quella merda.»

Qualche altro passo in avanti e lui indietreggiò ancora. Sollevai le mani in aria e presi tra le dita la canna, sfilandogliela.

«Non fa bene alla salute.» La gettai per terra e la calpestai, parve compiaciuto da quella scena.

«Adesso cosa fai, prendi anche il posto di mio padre?» Rise di gusto, l'aria divertita. «Vattene via, voglio stare solo. Tornerò prima che si svegli.»

Ma non mi mossi da lì e roteò gli occhi in aria.

«Non mi hai sentito? Vattene via, tornerò tra qualche ora.»

Non mi mossi ancora.

«Devi stare ai miei ordini, sei la mia guardia no?»

Fu inevitabile e gli mollai un sonoro schiaffo sul volto, lasciando una nota rossa sulla sua guancia. Rimase voltato di un lato, gli occhi socchiusi e il corpo congelato da quel gesto totalmente inaspettato.

«Sono stato incaricato di metterti sulla giusta via.» Gli ricordai, anche se un nodo alla gola mi si stava formando. «Forse tuo padre non è stato capace di importi l'educazione, ma io devo rispettare il mio lavoro. Ora torna a casa, parlerò a lui di questo domattina.»

before you | taekook ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora