Take my breath...

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2019

Una settimana. Era passata una settimana da quando aveva spento il cellulare che di solito usava per sentire Cato, sette giorni che aveva passato a lavorare come se nulla fosse, ma sotto lo sguardo attento della propria capo squadra. Non aveva paura di Helena Ronan, anzi, lei era sempre stata molto protettiva nei suoi confronti, anche se a modo suo.

Mac ricordava un episodio in particolare: era accaduto qualche anno prima, lui era entrato in squadra da poco, pochissimo anzi, e quel giorno era capitato in macchina con lei. Helena lo aveva visto meno frizzante del solito - così aveva detto - e aveva chiesto la motivazione.

"Con tutto il rispetto, capo, non credo che i miei problemi personali vadano condivisi con chiunque."

"Ma io non sono chiunque, Makhale. In ogni caso lo chiedo solo ai fini lavorativi per valutare se devo mandarti a casa o -"

"Non influenzerà il mio lavoro." Aveva risposto seccato. "Anzi, mandarmi a casa sarebbe una pessima idea."

La sua famiglia aveva organizzato per quello stesso giorno una piccola commemorazione in ricordo del padre, ma nessuno aveva pensato di invitarlo, escludendolo così ancora una volta dalla loro vita. Era successo anche con il matrimonio di Michael e tante altre cose, ma quello aveva fatto molto più male. Alla fine, dopo qualche minuto di silenzio, aveva raccontato tutto anche al proprio capo, senza omettere la motivazione che stava dietro le scelte che i suoi parenti stavano facendo.

"Mi dispiace, Makhale. Che tu ci creda o meno, so cosa significa non potersi scegliere la famiglia biologica. Sei sicuro di non voler andare a casa?"

"Sono molto sicuro."

"Bene, ma non farmene pentire."

Quel giorno si era guadagnato la sua fiducia e anche il suo rispetto poiché non solo non aveva ceduto di un passo, nonostante l'umore nero, ma aveva contribuito a un arresto importante insieme a lei. Negli anni aveva imparato come gestirla, cosa dirle e cosa no, come dirle le cose e tra loro c'era un rapporto basato sul rispetto e sull'onestà, purtroppo aveva anche capito che era difficile nascondere qualcosa alla Ronan e non si era stupito di ciò che lei aveva detto dopo l'episodio dell'hotel. Seppur non avesse idea di cosa lei avesse capito di preciso, era meglio che fosse convinta di essersi sbagliata.

Così, quando Rose lo aveva chiamato per dirgli che si trovava a Cincinnati, aveva pensato di sfruttare la cosa a proprio vantaggio, ma il lavoro lo aveva tenuto occupato quasi tutto il tempo della sua permanenza. Riuscì a organizzare quando ormai era passata una settimana dall'ultima volta che aveva visto D'Amato, si era chiesto che fine avesse fatto, come avesse occupato quel tempo, se si fosse arrabbiato o meno. Doveva considerare la cosa chiusa per sempre o no?

Mac trovò Rose ad aspettarlo all'ingresso dello Stockings, aveva scelto quello e non il Jolly, perché, pur volendola vedere, non intendeva fare nulla di sessuale. Nonostante tutto, mentre uscivano dalla centrale, si era premurato di far sapere che aveva un appuntamento con lei. Per nulla sospetto, Mac, bravissimo, così tutti capiranno solo che sei una puttanella.

Lo Stockings era il locale gay di Cincinnati che Mac conosceva meglio. Era il suo piccolo rifugio per qualsiasi problema, la sua ancora di salvezza, il luogo in cui aveva fatto buona parte delle sue prime esperienze ed era anche la casa di Freeda, una drag queen piuttosto famosa per vari motivi, che lo aveva ospitato per il breve tempo in cui lui era rimasto senza a causa di suo padre.

"Ciao, Rose." Era un po' invecchiata rispetto all'ultima volta che l'aveva vista, più di un anno prima, ma era sempre una donna bellissima.

"Detective Mackhale, vieni qui, tesoro." Si abbracciarono felici di essere riusciti a vedersi nonostante gli impegni reciproci.

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