Rimasero in silenzio per quasi tutto il tragitto fino all'appartamento. Vedere Cato di fronte a sé in carne e ossa era stato quasi uno shock dopo tutto quel tempo, erano passati molti mesi, aveva completamente perso la speranza di poterlo rivedere pur non riuscendo a dimenticarlo. Anzi, più il tempo era passato, più aveva sentito un attaccamento a lui che prima non si era reso conto di provare e il conseguente senso di vuoto e di mancanza.
Eppure era lì, era lì dietro a lui, lo aveva abbracciato, aveva sentito la sua mano toccarlo ed era sicuro che fosse proprio presente, ma, nonostante tutto, mentre camminavano, Noah si voltò più di una volta per controllare che ci fosse ancora e alla terza volta lo sentì ridere, una risata che gli scaldò il cuore."Noah, sono qui."
"Sì, ti vedo."
"Continui a controllare, mi ha visto anche tua sorella...vi somigliate a proposito."
"Potrebbe essere comunque frutto della mia fantasia..."
Cato gli prese una mano e lo fece voltare. "Non lo è."
"Sei troppo sicuro di te. Provamelo." Cato alzò il braccio libero, ma invece di accarezzarlo gli pizzicò una guancia. "Ahia."
"Mi credi?"
"Forse. Andiamo." Noah si voltò di nuovo continuando a camminare, ma questa volta non lasciò la sua mano, la tenne anzi ben stretta.
Entrambi sentivano una certa dose di imbarazzo dopo tutto quel tempo, imbarazzo che non c'era mai stato prima, gli sembrava di essere una specie di automa, non sapeva cosa provare e allo stesso tempo stava provando tutto assieme felicità, euforia, paura e dal silenzio di Cato, pensò che anche lui tesse provando le stesse cose. Avevano tanto da dirsi, nessuno dei due sapeva da dove iniziare, cosa fare, eppure, non appena le mani si strinsero, ebbero come la sensazione di tornare a respirare normalmente, senza più fare fatica, senza doversi sforzare.
"Noah-" L'uomo lo chiamò quando lo vide tirare fuori le chiavi.
"Sali, va bene? Fa troppo freddo, vivo da solo, non ci disturberà nessuno e ho fame."
"Pensavo stessi da qualche amico visto quello che è successo."
"Sono rimasto un po' a casa e poi mi sono trasferito, sono passati dei mesi ormai. Comunque spero non ti dispiaccia se ordino una pizza. Anzi due, tu non hai mangiato, vero?"
"Mi sta bene la pizza. Basta che non sia pesce."
Noah ridacchiò al ricordo dell'ultima cena insieme, sembrava passata una vita intera. Aprì il portone del complesso di appartamenti e lo fece entrare. "Sono anche tornato in palestra a proposito, sto benissimo. Non ho più bisogno di assistenza, giusto perché tu lo sappia." Lo spinse dentro e chiuse per poi indicargli l'ascensore. Aveva con sé una borsa da viaggio, non particolarmente grande, ma quello gli diede un guizzo di speranza. Quanto si sarebbe fermato? Poteva fermarsi? Schiacciò il tasto che portava al piano e socchiuse gli occhi. "Sei qui perché puoi stare o per altri motivi?"
"Non posso tornare a Columbus e nemmeno a Cincinnati attualmente, ma volevo vederti. Avevo delle cose da concludere per cui mi hanno permesso di tornare e ne ho approfittato. Non avrei dovuto, lo so, sto rischiando di metterti-"
"In pericolo? Pensi che se lo fossi sarei potuto rimanere con la mia famiglia?"
"Non sei tornato a lavorare, vero?"
"Certo. Stavo lavorando poco fa."
"Come poliziotto."
Noah storse il naso. "No, avrei dovuto?"
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Unfamiliar - The missing piece
Short StoryA quindici anni un agente di polizia gli aveva detto che con le sue capacità - tra le quali una discreta intelligenza, un notevole intuito, una buona dose di sfrontatezza e di coraggio e una memoria ferrea - Noah sarebbe potuto diventare un perfetto...