After hours

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Impiegarono parecchio tempo per riuscire a calmarlo. A Noah sembrò di urlare di nuovo per ore, mentre più tardi avrebbe scoperto di non aver fatto un fiato. 

Quando finalmente il suo respiro tornò regolare così come il battito del suo cuore, Noah riprese anche il controllo dei propri sensi. 

"Si è svegliato, all'incirca. I medici hanno detto che ci vorrà tempo, ma ci sta riuscendo. O quanto meno provando. Ma non so...non apre gli occhi. Pare non sentirmi." 

Mamma. Mamma sono sveglio, con chi parli? Sono qui. 

"Ti prego, vieni qui. Sai benissimo che non dipende da lui, vieni qui e parlagli anche tu. Gli servirà." 

Con chi stava parlando? 

"Va bene. Ci sentiamo più tardi." Tara appoggiò il cellulare e tornò seduta accanto a lui. Prese una sua mano tra le proprie e la baciò con delicatezza. "Tesoro, forza. Puoi farcela, apri gli occhi." 

Noah obbedì, spinto da qualcosa o come da qualcuno. Lentamente, a fatica, sollevò le palpebre sentendosi accecato dalla luce, gli sembrò di metterci una vita, ma alla fine guardò finalmente sua madre che sorrideva in lacrime. Faceva male, ogni cosa faceva male, non c'era un solo punto del suo corpo che non stesse urlando di dolore. 

"Ciao. Ciao, piccolo mio. Ben tornato."

E dove sono andato? Che cosa sta succedendo?

Lei si mosse e gli baciò la fronte. Era così bello, così fresca, Noah si sentiva bruciare invece, forse aveva la febbre. "Ciao amore mio." Piangeva sua madre. Perché? Poteva sentire le sue lacrime sulle guance.

"Scusami. Sono proprio sciocca." Avvertì la sua mano toccargli una guancia, ma dovette fare una smorfia di dolore e lei la ritirò subito. "Mi dispiace, tesoro, scusami. Non volevo."

Faceva tutto male, alla testa alla punta dei piedi. La vide alzarsi e solo quel movimento lo mandò nel panico. Dove stava andando? Perché andava via? Non doveva andare via, doveva stare con lui. Voleva provare a fermarla, ma riusciva a malapena a muovere le dita. 

"Sono qui, tesoro, sono qui, ma dovevo avvisare i dottori. Stai calmo, va tutto bene."

Voleva sapere dove si trovava. Non riusciva a ricordare cosa fosse accaduto o meglio lo ricordava, ricordava il dolore, la sensazione di panico, il buio, ma non riusciva a connettere le sensazioni ai ricordi veri e propri e Noah odiava quella sensazione. Era tutto incredibilmente confuso: i fatti, le parole, i volti, non c'era niente che avesse un filo logico al momento, eppure era sicuro di sapere cosa fosse successo. Provò a dire qualcosa, ma non gli uscì che un mezzo rantolo.

"Shht." Sua madre gli accarezzò i capelli con delicatezza. "Calmo, Noah. Sei in ospedale, c'è sempre qualcuno che controlla qui fuori, sei al sicuro."

Al sicuro...Al sicuro da chi? L'ultima cosa che ricordava lucidamente era l'incidente in moto. La sua moto...Dov'era finita?

Un medico entrò nel suo campo visivo. "Buongiorno, signor Makhale. Ben tornato." Lo osservò mentre lo visitava, movimenti meccanici, abitudinari, chissà quante altre volte lo aveva fatto. Dottor P. W. Sherbey.  Doveva avere una cinquantina di anni, era sposato e a giudicare dalle borse sotto gli occhi probabilmente aveva fatto un turno di notte o aveva recuperato una figlia adolescente da una festa in discoteca durata troppo. 

"Sembra stare bene, signora Makhale. Come le abbiamo detto ci vuole un po' perché un paziente in coma si riprenda una volta sveglio. Sta facendo progressi, rispetto a ieri ha anche aperto gli occhi, ma temo sia molto confuso. Come le avevamo accennato potrebbe avere problemi ai timpani, non sentire bene e non riuscire a parlare, ma lo sapremo nelle prossime ore." Il medico tornò a guardare lui. "Signor Makhale, riesce a muovere le dita delle mani?" Mac non riusciva ad annuire, ma mosse molto lentamente le dita. "Ah molto bene." L'uomo controllò anche il resto del corpo facendogli qualche domanda chiusa così che Noah potesse rispondere sì o no solo alzando le dita della mano sinistra e destra. "Sente molto dolore?"

Unfamiliar - The missing pieceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora