Capitolo 12: "Proprietà della C.A.T.T.I.V.O.: I creatori"

9.8K 321 251
                                    

«Lei è la signorina Elizabeth?», chiese la ragazza davanti a me, una ragazza giovane, dalla pelle scura e i capelli ricci racchiusi in una coda di cavallo.

Abbassai lo sguardo sul cartellino puntato con una spilla al mio camice bianco.

Avevo un nuovo nome. Una nuova identità e da quel momento in poi avrei dovuto chiamarmi così. Non mi piaceva la cosa, dovevo ammetterlo, ma quelle erano le regole per i soggetti importanti come noi.

Quelli speciali. Eravamo costretti a cambiare identità con il nome di qualcuno di importante. Non ero sicura di questo, non ne vedevo nemmeno la necessità, ma preferii non dire nulla. Avevo promesso di seguire le regole, per le persone che amavo, per il loro bene.

Ero davvero troppo buona, abituata a fare di tutto per gli altri senza nemmeno curarmi di come potevo starci io. Me lo dicevano tutti, e ingenuamente davo ragione a loro.

«Così dice questa targhetta», dissi, indicando il foglio plasticoso sul mio petto.

«Venga con me, mi segua», rispose in modo cordiale, facendomi cenno di seguirla.

Mi alzai, la seguii. Il corridoio che percorremmo era lungo e bianco.

La ragazza che mi faceva strada mi spiegava delle cose, una pappardella che sembrava essere studiata a memoria, che ormai conoscevo perché mi era già stato detto nel periodo di tempo che avevo già passato lì dentro.

Dopo circa dieci minuti di camminata, la ragazza mi fece entrare dentro una stanza bianca, piena di schermi piattissimi che riproducevano immagini di ragazzi seduti ad un lungo tavolo. Tutti ragazzi giovanissimi, concentrati a lavorare su formule, progetti e cose così.

Al centro della stanza c'era una scrivania con tre sedie, due delle quali erano occupate, una da un uomo anziano che stava dall'altra parte della cattedra, e l'altra, quella accanto ad una vuota, era occupata da un ragazzo biondo. Lo stesso ragazzo biondo che aveva svolto il test d'ingresso assieme a me.

«Si accomodi, signorina Elizabeth», disse l'uomo anziano indicando la sedia libera.

Rivolsi un sorriso imbarazzato al ragazzo, poi mi sedetti sulla sedia.

L'uomo congiunse le mani poco dopo essersi sfiorato la barba, si mise comodo sulla poltroncina e schioccò la lingua, sorridendo in modo molto, troppo forzato. «Bene, voi due avete svolto dei test d'ingresso a dir poco eccellenti. Volevo congratularmi di persona e nominarvi compagni. O meglio, rivali. O, perché no, sarete compagni-rivali. Lavorerete insieme. Entrambi avete grosse potenzialità di cui noi della C.A.T.T.I.V.O. abbiamo bisogno.» Si sporse in avanti, poggiò le braccia sulla scrivania e ci fissò. I suoi occhi grigi avevano una punta di folle ammirazione. «Abbiamo bisogno di piccoli geni come voi, qui. Voglio che vi spingiate al limite, che vi miglioriate a vicenda, che cerchiate in ogni modo di superarvi, sabotandovi l'un l'altro se è necessario!»

Ci guardammo con fare confuso, poi scattò qualcosa nel nostro sguardo. Qualcosa che fece venire l'adrenalina a mille ad entrambi. Una scintilla di sfida.

Da quel giorno in poi, le nostre giornate passarono all'insegna del miglioramento personale, eravamo due ottimi compagni di squadra e lo sapevano tutti.

I nostri test davano sempre risultati ottimi ed oltre la media. Per vedere se era il team o la persona stessa a dare dei risultati così alti, provarono più volte a metterci con partner diversi, ma il risultato non variava. Erano sempre altissimi e oltre le aspettative.

Si ottenevano ottimi risultati anche lavorando con Evangeline, la ragazza asiatica che lavorava nel mio stesso reparto, ma non era nulla in confronto al lavoro che svolgevo col mio compagno di squadra.

Benvenuta nella raduraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora