𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝟾

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𝐔𝐍 𝐋𝐀𝐆𝐎 𝐓𝐔𝐓𝐓𝐎 𝐏𝐄𝐑 𝐍𝐎𝐈

Non ero di certo una persona fisicamente prestante ma stavo comunque correndo più che potevo.
Avvertii la gola man mano seccarsi sempre di più, e un dolore allucinante all'addome si accese iniziando a pulsare, faceva davvero male, dissi a me stessa che ero una stupida per aver avuto la brillante idea di correre come una pazza.
Schivai un gruppetto di persone che chiacchieravano allegramente in mezzo alla stradina sinuosa.
Svoltai senza pensarci troppo.
Gli immensi cespugli fioriti coprivano gran parte della visuale e finii per colpire la spalla di un ragazzo che quasi cadde, mi imprecò contro qualcosa ed io lo ignorai completamente.
Quella strada era troppo affollata quella sera.
Un signore sulla sessantina vestito in abiti tradizionali mi urlò di fermarmi immediatamente perché era severamente vietato correre li dentro.
Sbraitava con le braccia all'aria saltellando sul posto, in effetti con quegli abiti era assai buffo, ed io ignorai anche lui passandogli a mezzo metro di distanza.
Sentii però qualcuno scusarsi ad alta voce subito dopo di me.
Era di sicuro lui, il ragazzo pazzo quanto me che mi stava correndo dietro.
Si stava scusando con tutti da parte mia.
Girandomi per guardare alle mie spalle quello che stava succedendo misi sbadatamente il piede tra il ciglio della stradina e la terra morbida, inciampai ma non caddi, ripresi l'equilibrio ributtandomi subito sul sentiero.
Finii per passare in mezzo ad una coppietta felice che si stava tenendo per mano amorevolmente, ignari che una pazza gli sarebbe piombata addosso da lì a qualche secondo.
Staccai le loro mani di netto e la giovane ragazza tirò un urlo disperato, producendo un tonfo sordo cadendo col sedere a terra.
Stavo facendo infuriare tutti in quel posto, come un uragano che passa e spazza via la quiete.
Continuare su quella strada avrebbe provocato troppi problemi, non tanto a me, più alla povera gente che si intrometteva durante la mia folle corsa.
Così mi venne la brillante idea di tagliare a destra e cambiare completamente meta cercando di scomparire più in fretta che potevo dalla stradina principale.
Iniziai a correre nel giardino, oltrepassando gli alberi da frutto ed i molteplici fiori, passai negli spazi vuoti che c'erano tra una fila e l'altra, facendo attenzione a non distruggere quei colori meravigliosi.
Dopo minuti interminabili come per magia mi ritrovai su di una nuova stradina.
Perché mi stavo comportando come una ragazzina?
Vederlo a quello spettacolo mi fece incazzare tremendamente perché voleva dire che in realtà aveva del tempo libero per i suoi interessi.
Voleva dire che non era poi così occupato a fare chissà cosa, non era dall'altra parte del mondo, era a Seoul in perfetta salute e prestanza fisica, non era immerso nel suo lavoro in studio.
Poteva benissimo passare da me anche per soli cinque fottutissimi minuti, quindi fui consapevole del fatto che la scelta di non presentarsi più era sua, e sua soltanto.
Mi aveva raggiunto, ovvio, era un tipo prestante e abituato allo sforzo fisico, ma io non smisi di correre, perché oltre ad essere impulsiva ero anche testarda fino al midollo, sarei finita stremata a terra piuttosto di fermarmi e dargliela vinta.
«Dove vuoi andare Amanda fermati!», mi urlò ridacchiando senza un accenno di fiato corto.
Jungkook riuscì a schivare i morti e feriti che avevo lasciato lungo la strada, mi arrivò vicino e mi prese un braccio, con uno strattone mi fermò.
Mi limitai a guardarlo con due occhi torvi, gli scostai la mano, «Ah! Ti stai divertendo?», esclamai stizzita.
Voleva ridere ma stava cercando di non farlo, i muscoli del suo viso però non mentivano.
Pur di non ridermi in faccia, si mordeva il labbro inferiore mostrando quei suoi denti bianchissimi e perfetti, mentre i due lati delle labbra guardavano all'insù.
Gli diedi le spalle e ripresi a camminare velocemente, sempre più veloce, e iniziai di nuovo a correre.
«Puoi correre quanto vuoi Amanda ma io sono più testardo di te», urlò Jungkook.
Era rimasto fermo, ma non si era arreso, mi stava regalando tempo.
Non sapevo più dove ero finita, non c'erano torce accese e nemmeno l'ombra di qualche illuminazione artificiale, solo la fredda luce lunare e l'oscurità del cielo.
Eppure quel villaggio in un primo momento non mi sembrò così grande.
I suoni dei tamburi, i canti, e il chiacchiericcio erano ormai lontanissimi e per un attimo pensai che forse involontariamente ero quasi arrivata all'uscita.
Mi ritrovai davanti ad un laghetto artificiale e ricordai che all'ingresso del villaggio ce n'era uno, mi sentii fiera di me stessa, l'avevo seminato, la mia testardaggine aveva vinto su di lui.
Ora potevo finalmente andare a casa e tenere il muso come una bambina capricciosa, e col cavolo che gli avrei aperto la porta nel caso si fosse presentato a casa mia.

𝙸𝚕 𝙵𝚒𝚘𝚛𝚎 𝚍𝚎𝚕𝚕𝚊 𝙻𝚞𝚗𝚊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora