𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝟻

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𝐋𝐄 𝐌𝐈𝐄 𝐑𝐀𝐆𝐀𝐙𝐙𝐄

Quella sera andai a casa a piedi, non volevo prendere l'autobus, volevo affaticarmi per bene per poi crollare nel letto.
Solo se avessi smaltito per bene quel veleno sarei riuscita a chiudere occhio.
La collera nel mio petto era ancora viva, come un fuoco che non voleva spegnersi, alimentandosi ogni volta che ci ripensavo.
Dovevo sbollire la rabbia verso quelle due psicopatiche, dovevo smaltire un bel po' di cose e per farlo dovevo camminare.
Placare, una gran bella parola.
In una sera ero riuscita a prendermi un ceffone in pieno volto, avevo fatto arrabbiare di brutto Joon e mi ero fatta quasi licenziare, e tutto questo dopo aver conosciuto lui.
Perché questa era la verità, da quando lo avevo incontrato le cose si erano complicate, non che fosse un problema per me, anzi, lui per me era un faro luminoso sull'oceano notturno, il problema lo avevano sempre gli altri, e ancora una volta mi chiedevo, perché.
La strada quella notte era viva, erano ormai le tre di notte, ma inaspettatamente non ero sola, c'erano delle coppiette che ancora passeggiavano mano nella mano, il vapore dei chioschi si innalzava verso il cielo, qualche passante solitario che camminava veloce per raggiungere chissà quale luogo.
Gli autobus erano vuoti, solo uno o due tre volti si intravedevano al loro interno, volti stanchi e confusi, probabilmente non ero la sola che aveva staccato dal lavoro così tardi.
Una cosa però era certa, ero l'unica con la faccia gonfia come un pallone a camminare in quella strada, persino un ubriaco davanti al minimarket mi guardò con perplessità.
«Signorina, la sua, la sua faccia, fa impressi.. La sua faccia fa impressi, impressione.. Dovrebbe andare, dovrebbe.. Si faccia curare..», biascicò l'uomo.
«Anche lei si faccia curare», mi limitai a rispondere apatica e inespressiva.
Ma che diavolo di problemi aveva la gente?
Invidiai un gatto che se ne stava accovacciato in un vaso, trasmetteva una serenità ammirabile.
Infondo la mia vita non era poi così diversa dalla sua.
Dormivo la maggior parte del tempo, mangiavo se proprio avevo fame ma stavo benissimo anche senza, ero schiva, asociale, e a quanto pare avevo iniziato anche ad azzuffarmi con quelle della mia stessa razza.
Ero un fottuto gatto selvatico.
Arrivai a casa e la prima cosa che feci fu specchiarmi.
Ogni persona che avevo incontrato lungo il tragitto lavoro casa aveva fatto una sola cosa, e cioè guardarmi il volto, perciò ora anche a me era salita una certa curiosità.
«Cazzo, faccio impressione davvero»
Gli anelli della pazza mi avevano provocato degli ematomi, e tutta la zona aveva assunto un colore bluastro e giallastro.
Per colpa della pomata, "miracolosa un corno" di Joon, il mio volto stava reagendo al prodotto colorandosi di rosso.
Questo era un momento da immortalare, anche se aveva fatto male, soprattutto perché aveva fatto male.
Mi tolsi i vestiti e li misi nella lavatrice, presi la mia maglietta lunga da casa e la indossai, afferrai la polaroid e andai in bagno, mi misi davanti lo specchio con l'obbiettivo rivolto verso di esso.
Scattai.
Non avevo mangiato un accidente per tutta la giornata, ed ora sentivo lo stomaco che mi pregava in ginocchio per dargli anche un solo piccolo pezzo di pane.
Lo accontentai, ed anche in fretta.
Non avevo assolutamente voglia di cucinare, così presi un cucchiaio, con una mano strappai un pezzo di carta dal rotolo, misi il cucchiaio in bocca e con l'altra mano aprii il congelatore, presi il barattolo nuovo di gelato.
Gelato, gusto vaniglia.
«Ma scherziamo..»
Si, per un attimo ho tentennato, per un attimo ho pensato di lasciarlo nel congelatore.
Ecco, era successo, lo avevo associato a quel gusto, a quel profumo, era troppo tardi ormai.
Presi il gelato e mi buttai sul divano, accesi la televisione ed iniziai a mangiare.
A metà film, il barattolo del gelato vuoto cadde a terra, ed io già dormivo beata tra i cuscini.
Arrivò presto lunedì e ne approfittai per dare una ripulita all'appartamento, stesi i panni, riordinai per bene l'armadio che era esploso, di tanto in tanto guardavo fuori nel caso vi fosse qualche moto parcheggiata.
Spolverai i mobili del salotto, pulendo accuratamente l'immenso tappeto del soggiorno.
Una volta che iniziavo a pulire, non riuscivo mai a fermarmi, dovevo concludere per bene con le pulizie e per farlo, dovevo assolutamente avere dell'ottima musica come sottofondo.
Mangiai una ciotola di riso bianco cotto al vapore, ci avrei aggiunto anche qualche cibo spazzatura così giusto per accompagnare ma avevo finito tutto, perciò mi accontentai del riso.
Passai il resto della giornata a guardare film e verso sera mi venne voglia di leggere.
C'era la giusta atmosfera, un dolce venticello entrava dalla finestra, coccolando le mie tende di lino bianche muovendole sinuosamente, la luce lunare bianca filtrava attraverso di esse illuminandomi.
Così presi un libro, avevo voglia di qualcosa di romantico dal sapore amaro, un po' come mi sentivo io, da quando avevo incontrato il ragazzo che veniva dalla luna.
Scelsi John Keats, una raccolta di poesie e lettere scritte alla sua amata.

𝙸𝚕 𝙵𝚒𝚘𝚛𝚎 𝚍𝚎𝚕𝚕𝚊 𝙻𝚞𝚗𝚊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora