𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝟽

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𝐀𝐕𝐎𝐑𝐈𝐎

Quando mi svegliai la mattina seguente mi sentivo dolorante e stordita, ogni singola parte del mio corpo era sensibile a qualsiasi piccolo stimolo.
Probabilmente tutta la birra che mi ero bevuta e quell'interminabile ora sotto l'acqua battente era stata una combinazione micidiale.
Mi sentivo uno schifo.
Ogni mattina mi svegliavo acciaccata e distrutta, dormire stava diventando una cosa complicata per me.
Capitava spesso che durante la notte venivo svegliata da dolori fisici improvvisi, e quando accendevo la luce per controllare la situazione notavo che cosa mi ero fatta.
Dormivo così profondamente tesa e rigida che le mie ginocchia entrando in contatto l'una sull'altra per ore facevano una pressione tale che la pelle si appiccicava, diventando un unico strato, nel momento in cui provavo a distendere le gambe, inevitabilmente, provocavo delle escoriazioni.
Ero pesante quanto un macigno mentre dormivo.
Quella chiazza violacea, con al suo interno miriadi di piccoli puntini di sangue, rimaneva lì per giorni.
E oltre a massacrarmi involontariamente le ginocchia avevo iniziato anche a provocarmi delle piccole ferite su tutto il corpo.
Il letto era il mio campo di battaglia, una battaglia in cui i nemici erano i miei peggiori incubi.
Gli incubi notturni non mi lasciavo mai e mentre io dormivo tutto il mio corpo era in un continuo stato di agitazione.
Tant'è che, spesso mi risvegliavo con i piedi rivolti verso il poggiatesta, oppure, completamente di traverso, con metà corpo che penzolava dal letto.
Il più delle volte senza cuscino e senza coperte.
Quella mattina quando mi svegliai sentii un pizzicore fastidioso all'interno del mio polso destro.
Già immaginavo cosa mi ero fatta e non volevo guardare.
Nel corso del tempo, collezionai sulle gambe e sulle braccia delle costellazioni di piccole cicatrici biancastre.
Sapevo già che quella mattina se ne sarebbe aggiunta una nuova.
Mi ero graffiata con così tanta intensità che avevo letteralmente raschiato via la pelle, ero ferita e avevo sporcato il lenzuolo di sangue.
La cosa che più odiavo era la vista delle lenzuola sporche di sangue.
Non ero una tipa schizzinosa, dopotutto al lavoro avevo affrontato cose ben peggiori, avevo pulito di tutto e quando dico di tutto, intendo, davvero tutto, eppure il sangue nelle lenzuola mi provocava un disgustoso malessere.
Mi alzai subito, non potevo stare un'attimo in più nel letto, le tolsi accartocciando il tutto per poi buttarle a lavare e solo allora mi medicai il polso.
Disinfettai la ferita e applicai una pomata cicatrizzante che mi fece lacrimare e imprecare, mancava solo un cerotto da applicare sopra.

𝘐 𝘤𝘦𝘳𝘰𝘵𝘵𝘪 𝘭𝘪 𝘩𝘰 𝘧𝘪𝘯𝘪𝘵𝘪 𝘴𝘪𝘤𝘶𝘳𝘰..

Stavo rovistando nell'armadietto in cerca di cerotti, naturalmente li avevo finiti, infondo ne ero consapevole ma non volevo arrendermi a quella ricerca, ringraziai la mia testardaggine perché proprio infondo all'armadietto, dentro una scatolina con tutte cianfrusaglie vecchie e logore, trovai un pacchetto di cerotti.
Non appena li notai ricordai subito che me li aveva prestati Ye-ri, chissà da quanto tempo erano lì, anni probabilmente.
Mi lasciai andare ad un sospiro di sconforto, quel pacchetto ero nuovo per un motivo ben preciso, sopra ad ogni cerotto c'era scritta una volgarità.
Imprecazioni, parole sconce, oscenità di ogni tipo e tutte scritte in coreano.
Dove avesse trovato quei cerotti proprio non lo sapevo e per un attimo pensai che se li avesse fatti creare da qualcuno, appositamente per lei.
Se fossi stata in Italia non sarebbe stato un problema portare quei cerotti ma ero nella parte del mondo in cui chi leggeva capiva quello che c'era scritto.

𝘝𝘢𝘣𝘣è, 𝘤𝘩𝘪 𝘴𝘦 𝘯𝘦 𝘧𝘳𝘦𝘨𝘢...

Dopo una scrupolosa ispezione della scatolina selezionai i meno peggio, non mi concentravo così tanto nello scegliere un qualcosa da secoli.
Quella ricerca accurata e complicata mi aveva portata nel dover scegliere tra due cerotti con su scritto sopra: "𝘝𝘰𝘳𝘳𝘦𝘪 𝘧𝘰𝘵𝘵𝘦𝘳𝘵𝘪" e "𝘍𝘰𝘵𝘵𝘪𝘮𝘪".
Fottere, o essere fottuto, è questo il dilemma.
Nel male, tutto sommato, pensai che fosse una ragionevole filosofia di vita, dopotutto.
Uscii di casa e andai a fare la spesa, giusto per riempire il frigo, non tanto per me ma nel caso avessi avuto visite improvvise, come quella del ragazzo più affascinante del mondo.
Se la sera prima mi avesse chiesto del cibo avrei potuto offrirgli solo delle caramelle e qualche cioccolatino.
Una volta sistemata la spesa decisi che era la giornata giusta per uscire un po' all'aria aperta, e godersi quella splendida giornata di sole.
L'estate era nel pieno del suo calore e colore.
Jun quel giorno non lavorava così venne con me e passammo insieme l'intero pomeriggio.
Andammo in una zona di Seoul molto carina e caratteristica, trovammo un negozio di fiori adorabile e comprammo un mazzo di tulipani colorati, le serviva un bel mazzo di fiori da mettere nel vaso sopra al tavolo della cucina.
Jun amava alla follia i tulipani, ne aveva tatuato uno dietro al collo, un tatuaggio delicato ed elegante, sottile e preciso, proprio come era lei.
La sua lunga chioma castana e mossa lo teneva coperto e al sicuro agli occhi del mondo e del suo capo.
Li comprai per lei e nel momento in cui distesi il braccio per pagare, sia lei, che la signora alla cassa, si accorsero del mio enorme cerotto osceno sul polso.
«Vo.. Vo..», balbettò, «Vorrei fotterti? Amy!», strillò guardandomi con due occhi allucinati.
Io rimasi pietrificata sfoggiando un sorriso poco accennato e al quanto imbarazzato, mentre la commessa si portò la mano alla bocca sgomenta.
Dopo la ramanzina, e dopo essermi difesa addossando tutte le colpe a Ye-ri andammo al chiosco dei gelati, ci gustammo il gelato facendo una lunga passeggiata, e in quel momento trovai un'immagine da immortalare.
La scena che mi trovai davanti mi ispirò.

𝙸𝚕 𝙵𝚒𝚘𝚛𝚎 𝚍𝚎𝚕𝚕𝚊 𝙻𝚞𝚗𝚊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora