𝑬𝑷𝑰𝑳𝑶𝑮𝑶

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𝘉𝘶𝘴𝘢𝘯𝘫𝘪𝘯 𝘥𝘪𝘦𝘤𝘪 𝘢𝘯𝘯𝘪 𝘥𝘰𝘱𝘰.
𝘚𝘵𝘶𝘥𝘪𝘰 𝘧𝘰𝘵𝘰𝘨𝘳𝘢𝘧𝘪𝘤𝘰.

«Siamo pronti ad iniziare. Come si sente? E' a suo agio signorina Avati? So che questa è la sua prima intervista ufficiale», disse la signorina Park.
«Sì è vero. In effetti è la prima volta che rilascio una vera e propria intervista personale, ma sono completamente a mio agio, possiamo iniziare quando vuole»
E' estate, il sole è alto nel cielo, e fuori la grande vetrata si scorge l'oceano in tutto il suo splendore, il blu cobalto va a sfumarsi col colore del fiordaliso.
Lo sguardo prima di tuffarsi nelle acque quiete, gradualmente è catturato dalla moltitudine di piccoli colorati fiori nati dai fitti cespugli sempreverdi, essi abbracciano il legno della scalinata che scompare in quello che a primo impatto può sembrare un dirupo, ma non lo è, la scalinata sinuosa scende gradualmente le pendici, fino ad arrivare ad una spiaggia, ma da lassù, dietro la vetrata dove il cielo celeste è un tutt'uno con l'acqua azzurra, l'inizio di quella scala sembra un passaggio segreto per raggiungere il cielo.
Amanda aveva creato il suo studio fotografico in una dependance della sua nuova casa a Busanjin, viveva lì da diversi anni, aveva scelto quel luogo perché la prima volta che lo vide le sembrò un luogo lontano dal mondo.
La piccola casa indipendente tinta di rosa cipria era ben lontana dal centro della città, molto distanti l'una dall'altra altre case tradizionali, immersa nel verde della natura e con un tempio buddista nascosto dagli alberi lungo una stradina un po' dissestata, il cui suono delle piccole campane tibetane appese all'esterno, rigeneravano l'anima nei periodi estivi il cui venticello le colpiva.
«La prego si presenti pure», iniziò con voce rassicurante la bella giornalista seduta sulla poltrona.
«Sono Avati Amanda, ma sono conosciuta unicamente con il mio nome d'arte, Tulip»
«Tulip vuol dire tulipano, e in tutta la nazione così come all'estero, tutti la conoscono con questo nome d'arte, può raccontarci come mai si è ispirata ad un fiore?»
«Può sembrare assurdo, ma in ogni ricordo della mia vita c'è sempre stata la presenza di un fiore diverso. Se dovessi ricordare la mia infanzia in Italia, nel paese in cui vivevo, ho questa immagine di una bambina nei campi di girasoli, o tra la moltitudine di piccoli e delicati fiori di camomilla e fiori selvatici, proprio come questi che ho ora nel mio giardino. Penso alla lavanda di mia nonna e di mia madre, l'aroma era presente in ogni stanza della casa, sui loro indumenti, sulla pelle delle mani, nelle lenzuola stese al sole o nel bagno in cui vi era un pungente profumo di sapone fatto in casa, i mazzolini di lavanda essiccata legati da un nastro colorato e appoggiati sopra la soglia del camino. Mio nonno amava il narciso e ricordo che in un piccolo spazio dietro casa, ogni anno sbocciavano sempre, è buffo pensare ad un uomo anziano che ama una cosa così delicata, è inusuale, ma quello era di certo il suo lato di vera tenerezza, ancora oggi se mi capita di vedere un narciso vedo immediatamente anche il suo volto. Ed infine.. Infine c'è stato il tulipano, un bellissimo fiore raccolto dalla terra troppo presto.
Era il fiore preferito di una delle mie migliori amiche, una sorella per me. Si circondava sempre di tulipani, il suo sogno era quello di aprire un piccolo negozio tutto suo, non aveva ancora scelto un nome adatto così scherzando le dissi, "Che ne dici di Tulip", e lei ne fu subito entusiasta. Ma quel sogno non l'ha mai potuto realizzare perché purtroppo ci ha lasciati in un tragico incidente, e questo è il mio modo per dirle quanto mi manca, quanto ancora penso a lei, ogni volta che qualcuno pronuncia quel nome è come se lei fosse lì con me, lei è ancora qui, è presente. Vivendo ogni giorno il mio sogno farò vivere anche il suo».
Amanda guardò per un'attimo sfuggente fuori la grande vetrata e la signorina Park visibilmente commossa si prese alcuni secondi prima di continuare con la scaletta delle domande.
«Vuole prendersi un momento signorina Avati?», sussurrò la giornalista.
«Continuiamo pure», sorrise Amanda.
La giovane Park prese dal tavolo il bicchiere e bevve un sorso di tè freddo, si schiarì la voce e continuò.
«Signorina Avati la sua prima mostra a Seoul di dieci anni fa fu effettivamente l'inizio della sua carriera, c'è da dire che il suo stile è cambiato molto da allora. A quel tempo ero una stagista,
e mi recai ad ogni mostra fotografica di fotografi emergenti del momento. Fui presente anche alla sua mostra, e ricordo molto bene che lei fu la sola che utilizzò oltre alla tecnica digitale, foto istantanee. Come mai nell'ultimo anno nelle sue mostre fotografiche non troviamo più fotografie con la sua famosa Polaroid?»
«In realtà la utilizzo ancora. Nel mio studio privato ho migliaia di istantanee. Ma c'è stato un momento nella mia vita in cui decisi che avrei utilizzato la mia adorata Polaroid soltanto per me stessa e da allora è così. Ho capito che quell'oggetto inanimato era una sorta di catalizzatore del destino per me, come posso dire.. Quando ho iniziato a fotografare fu per un bisogno personale di rinascita, ero semplicemente un essere umano che aveva un disperato bisogno di aiuto per tornare a vivere, così un giorno decisi di comprare una macchina fotografica che avrebbe immortalato la vita per me, poiché io, è triste ammetterlo, ma i miei occhi non sapevo più cosa significasse vivere, i miei occhi non riuscivano più a catturare nulla, persino la luce del giorno non vi entrava più. Presi una Polaroid per puro caso, per inesperienza probabilmente, o per pigrizia, non lo so, ma essa divenne presto un tutt'uno con la mia anima. Aveva catturato dentro di sé tutto quel periodo della mia vita dai momenti più tetri a quelli più belli in assoluto».
La signorina Park interruppe delicatamente Amanda tornando a focalizzarsi su un dettaglio di quell'ultima risposta, e questo fece sorridere la graziosa fotografa.
«Ha detto poco fa che non usa più la sua preziosa macchina istantanea perché è una sorta di catalizzatore del destino, cosa intende?»
«Devo ammettere che è brava nel suo lavoro», rispose Amanda, e tutte le persone presenti nella stanza risero allegramente.
«Vede.. Tanti anni fa il destino ha voluto che questa macchina fotografica catturasse quello che poi divenne il mio primo amore e la persona che mi salvò la vita. Parlo di destino poiché a quel tempo quella persona era come posso dire.. Se dovessi utilizzare un aggettivo che esprima bene il tutto direi, irrealizzabile. Solo il destino avrebbe potuto farci incontrare quel giorno, e nessun altro al mondo. Fu breve il nostro momento, lui per me a quel tempo era un ragazzo che camminava sulla luna, mentre io camminavo sulla terra. Un anno fa la stessa macchina fotografica ha permesso che incontrassi l'uomo che oggi può camminare sulla terra insieme a me, e ogni tanto ci concediamo di guardare la luna insieme, ma con i piedi saldi a terra».
Nell'espressione della giovane giornalista c'era molta curiosità, avrebbe voluto approfondire l'argomento ed entrare nei dettagli della vita privata di Amanda ma, decise di non farlo per non incrinare quell'ottima atmosfera che si era fin da subito creata nella stanza, e per non rovinare il rapporto di fiducia tanto duramente raggiunto dopo innumerevoli chiamate ed e-mail, non era stato facile ottenere l'intervista dalla persona più riservata e solitaria del pianeta.
Nel corso degli anni erano usciti dei pettegolezzi riguardo ad una storia d'amore passata, travagliata e nascosta, tra il cantante più famoso di tutti i tempi, che a quel tempo era ancora al pieno della sua carriera musicale ed una giovane emergente fotografa, alcuni avevano associato la figura femminile in Amanda.
Fu un brutto periodo per entrambi, finirono sotto la lente d'ingrandimento dei succhiasangue in cerca di prove per lo scoop del secolo, poi tutto pian piano si dissolse finendo nell'oblio.
L'intervista proseguì serenamente, la signorina Park completò la sua lunga scaletta di domande, ed Amanda rispose in maniera esaustiva ad ognuna di esse, il tutto si concluse con degli scatti su Amanda nella sua casa e nel suo studio privato.
Amanda era cresciuta, nei suoi trentasette anni in lei poche cose erano cambiate, aveva ancora un bell'aspetto giovanile e delicato.
Nella sua forma fisica minuta c'era però tanta risolutezza e luce, i folti e lunghi, capelli castani mossi, la avvolgevano fino ad arrivare quasi al fondoschiena, i jeans larghi a sigaretta portati a vita alta slanciavano ancor di più le sue lunghe gambe, una semplice maglietta bianca di cotone a maniche corte inserita nei pantaloni, la rendevano come un bel fiore fresco e profumato baciato dal caldo sole estivo, era così che voleva mostrarsi al mondo.
Amanda infine andò a prendere la famosa Polaroid per mostrarla alla giornalista Park, che insistette tanto e molto teneramente nel vederla di persona, le due si salutarono affettuosamente con l'auspicio di rivedersi alla prossima mostra fotografica di Amanda.
Il sole batteva intenso sulla facciata rosa cipria della casa, Amanda appoggiata comodamente all'uscio della porta color verde, con una mano teneva appoggiata al petto ancora la macchina fotografica, e con l'altra mano alzata salutava la giovane giornalista e la troupe che se ne stavano andando dalla stradina di ghiaia del suo vialetto.
Nello stesso momento, mentre il furgoncino bianco e un po' malandato dei visitatori stava definitivamente lasciando casa di Amanda, alzando un gran polverone, una berlina nera entrò nel vialetto fino a fermarsi all'ingresso di casa, il finestrino si tirò giù, ed un giovane e bellissimo uomo appoggiò il viso sul braccio sorridendo e, alzando timidamente la mano in un saluto, mentre un venticello leggero scompigliò i suoi capelli coprendogli ad intermittenza
gli occhi coperti dagli occhiali da sole.
Amanda si portò agli occhi la macchina fotografica.
Scattò.
Lui scese dall'auto, e sorridendole la chiamò come solo lui poteva, e aveva sempre fatto.
«Ragazzina..»

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