𝓦𝓻𝓮𝓷

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Qualche giorno dopo, Wren fu invitata ad assistere ad un breve concerto in uno dei salottini del castello. Roselia avrebbe suonato una decina di bravi al pianoforte, per allietare la sua giornata, questo era quello che le era stato detto la mattina stessa appena svegliata.
Non sapeva come la sua giornata potesse essere allietata con dei brani di musica classica alle dieci del mattino, ma almeno aveva convinto Elijah a presentarsi con lei e non lasciarla da sola. Meno tempo passava nella sola compagnia di Roselia, meglio era: sembrava sempre più insospettita nei suoi confronti, le poneva sempre le domande più strane, e ogni tanto la ritrovava a fissarla mentre non stava guardando, come in cerca di un qualche indizio. Finché Elijah era con Wren non avrebbe potuto confrontarla su nessuna questione, nemmeno le sue orribili doti di recitazione.
«Ricordami, perché mi hai buttato giù dal letto a questo orario indecente?» chiese Elijah. Erano seduti su un piccolo divano verde, davanti a loro un lucido pianoforte marrone era stato preparato per essere usato, con tanto di spartiti aperti. Di Roselia però non c'era ancora nessuna traccia.
Di solito Elijah era abituato a dormire fino all'ora di pranzo, se non fino al primo pomeriggio, e per lui quella era una vera e propria levataccia.
«Roselia vuole suonare il piano per noi» mormorò di rimando lei. Era così preoccupata che qualcuno la potesse sentire dire la cosa sbagliata, o con la voce sbagliata, che ormai cercava di non parlare con nessuno se non Elijah o con chi era a conoscenza della sua situazione, e di tenere sempre un tono di voce bassissimo.
«Roselia vuole suonare il piano per te, vorrai dire. Io sono stato trascinato qui dal vostro onorabile culo» commentò Elijah.
La Principessa finalmente fece la sua entrata. Indossava un lungo abito azzurro, stretto in vita da una sfascia di stoffa spessa che sul retro si chiudeva in un grosso fiocco, la scollatura sul davanti le stringeva il seno, ponendolo al centro dell'attenzione, le maniche trasparenti le coprivano una piccola parte di spalla, lasciando il resto del braccio scoperto, fatta eccezione per gli immancabili guanti. Glielo avevano detto, che non si toglieva mai quei dannati guanti, ma pensava che fosse solamente una voce di corridoio, iniziata da qualche cameriera che la trovava antipatica, in fondo non c'era nessuna ragione per farlo, eppure non l'aveva mai vista senza.
I capelli erano acconciati come ogni giorno: la solita treccia a farle come da corona e i lunghi boccoli che le ricadevano sulle spalle.
Se fosse sorpresa per la presenza di Elijah, nonostante non fosse stato invitato, non lo diede a vedere. Gli porse un freddo sorriso, ad entrambi, prima di salutarli e sedersi sullo sgabello del pianoforte.
Non emise nemmeno un suono mentre iniziava a prepararsi, mettendosi in posizione e sfogliando gli spartiti fino a quello che desiderava seguire.
Dopo di che, si girò verso di loro. «Sono molto contenta che siate venuti a sentirmi suonare, avrei voluto chiedervelo anche in precedenza, ma temevo che con tutti gli impegni sociali del momento vi avrei solamente recato un disturbo indesiderato. Spero di non annoiarvi troppo.»
Detto questo riportò lo sguardo sulle piccole note scritte nero su bianco e iniziò a suonare.
Le sue dita si muovevano leggiadre sui tasti, come piccole piume accarezzate dal vento, e la melodia che producevano era ancor più soffice. Sembrava di essere sulle nuvole, attorno a sé solamente una fitta coltre di bianco e rosa chiaro e azzurro carta da zucchero e flebile arancione. Le ricordava le giornate in cui era bambina, in cui non aveva nessun pensiero se non quello di divertirsi e giocare, le ricordava il sapore dei dolcetti che le venivano regalati per il suo compleanno e l'odore che proveniva dalla cucina nei giorni di festa. Le ricordava le coste argentee del suo paese, i lunghi vestiti che tanto le mancavano, i fiori che sbocciavano sull'albero fuori dalla finestra della sua camera. Senza neanche accorgersene iniziò a piangere, ma lasciò sfuggire dai suoi occhi solamente una lacrima, prima di ricacciarle indietro
I brani si susseguirono, uno dopo l'altro, senza mai interrompersi e senza mai colpirla nel cuore come aveva fatto il primo. Roselia sembrava immersa nella musica, senza nemmeno accorgersi dei due spettatori alle sue spalle.
Quando tutto fu finito doveva essere passata più di mezz'ora, ma sembrava esser durato solamente una manciata di minuti. Avrebbe potuto passare tutto il giorno ad ascoltarla suonare. In fondo non era stato così traumatico come si era aspettata.
Scosse la testa, doveva ricordare con chi aveva a che fare. Il diavolo vestito da angelo, ecco chi era Roselia, niente di più e niente di meno.
«Cosa ve ne è parso? Sono sempre aperta ad avere consigli onesti sulle mie esibizioni» chiese, lo sguardo fisso su Wren.
«Mi è parso eccellente. Tu, Elijah, hai qualche commento da fare?»
Il ragazzo si strinse nelle spalle. Anche lui sembrava emozionato, nonostante stesse cercando di non farlo a vedere la musica di Roselia aveva risuonato le sue corde. «La tecnica è ovviamente impeccabile, su quello non ho niente da ridire, ma dovresti lavorare sulle emozioni. Sai, quando si suona bisogna trasmettere qualcosa al pubblico, ma devi avere bene in mente il messaggio da trasportare attraverso le note o alle persone non arriverà nulla.»
Era così bugiardo. Ed era pure bravo. Avrebbe dovuto darle qualche lezione di ripetizioni per mentire meglio, le sarebbero tornate molto utili.
«Ah sì? Mi scusi, non mi ricordo, quale sarebbe più il suo nome? Era per caso Edyn? O forse era Lizha? Ah, no, è per certo Jahma.»
Un tic nervoso comparve sul sopracciglio destro di Elijah. Okay, forse non era così bravo come credeva. Anche se, bisognava sottolineare come Roselia fosse riuscita a toccare uno dei punti più dolenti per Elijah: era così sicuro di sé, così sicuro di essere indimenticabile, che ogni volta che qualcuno lo lasciava in disparte se la prendeva sul serio.
«Sono abbastanza sicuro di essermi già presentato» replicò con tono acido lui. «Il mio nome è Elijah, ma capisco che vostra signoria abbia cose molto più importanti da fare che ricordarsi il nome dell'amico più caro del suo futuro marito, che dovrà sopportare per tanti tanti anni a venire.» La faceva sembrare quasi una minaccia, e magari in fondo lo era sul serio.
Roselia alzò un sopracciglio, gli occhi leggermente illuminati da una luce nascosta. «Quindi ha intenzione di fermarsi qui a lungo? Non l'avevo capito.»
«Mi fermerò qui tanto quanto si fermerà qui il nostro amato Dracyan» disse, dando una pacca sulla spalla di Wren, che perse per qualche secondo l'equilibrio a causa della botta inaspettata.
«Che cavolo ti prende?» stava per sbraitargli contro, ma si morse l'interno della guancia per rimanere in silenzio mentre si risedeva composta sulla sedia.
Dal canto suo Elijah non pareva essersi accorto di nulla, troppo intenti a guardare in cagnesco Roselia, e per lei si poteva dire la stessa cosa. Wren poteva quasi giurare di vedere piccole linee di fuoco saettare da l'uno all'altro, come se l'aria si fosse fatta estremamente infiammabile e di conseguenza indubbiamente pericolosa.
«Beh, immagino che se è questo che il tuo Principe vuole nessuno può discutere delle sue scelte. Sarò lieta di avervi qui a palazzo fin quando desideriate rimanere, spero solamente che vi ricorderete di lasciarmi del tempo per poter conoscere meglio Dracyan a tu per tu, senza che tu ci ronzi attorno.»
Quello era qualsiasi cosa Wren non avrebbe mai voluto che accadesse. Probabilmente doveva essere uno di quegli incubi dove tutto quello che poteva andare storto accade sul serio.
Non avrebbe mai immaginato di dirlo, ma non voleva ritrovarsi in una stanza da sola con lei, nessuno a parte Roselia, la ragazza più bella che avesse mai visto, a farle compagnia. Stare da sola con lei significa che nessuno altro li stesse ascoltando, stare da sola con lei significava ricevere quelle strane domande che continuava a farle, stare da sola con lei significava non riuscirle a dare una vera risposta che la soddisfasse, stare da sola con lei significava essere scoperta. Non potevano permettere che accadesse qualcosa del genere, non ancora.
Cosa avrebbe fatto Dracyan in quella situazione? Come si sarebbe comportato? Quali sarebbero state le sue parole?
Sapeva sempre come porre rimedio ai problemi di tutti, un piccolo battibecco come quello per lui sarebbe stata una bazzecola da risolvere.
Doveva pensare, e farlo in fretta, prima che la bocca di Elijah togliesse il freno.
«Sono sicuro che Elijah non volesse intendere questo, ovviamente avremo del tempo anche per noi, mia adorata.» Aveva notato che, a chiamarla così, le si dipingevano sempre le gote di un tenue color rosso. La prima volta che si era riferita a lei in quel modo non si era aspettata alcuna reazione, ma vederla nervosa era così intrattenente che non riusciva a smettere di farlo. «Ma devi capire che non posso fare a meno del mio fedele amico in questo momento così importante della nostra vita. Sono sicuro che comprenderai: mi trovo lontano da casa e avere Elijah qui con me mi rende meno nostalgico.»
Dire cose del genere le faceva venire il voltastomaco. Perché non era lei a parlare, ma Dracyan, attraverso la sua bocca. E se vedere tuo fratello flirtare con una ragazza era imbarazzante, questo poteva batterlo ad occhi bendati e mani legate.
Roselia annuì leggermente, sembrava straniata da quelle parole, ma allo stesso tempo convinta. «Certo che lo faccio, non sono un mostro. Ora, se volete scusarmi, devo ritirarmi nelle mie stanze, ho programmato un incontro con la mia dama di corte.»
Appena uscì dalla stanza, con al seguito la sua cameriera, Elijah le si avvicinò all'orecchio. «Invece credo proprio che lo sia.»

Of Venom and Thorns ~ SAPPHIC Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora