𝓦𝓻𝓮𝓷

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Vedere Roselia camminare lungo la navata le fece uno strano effetto. Per un momento le sembrò di essere solamente uno spettatore, fluttuante nell'aria, che stava guardando la scena dall'alto, senza parteciparvi veramente. Non aveva mai sognato di sposarsi e mai avrebbe pensato di sposare una Principessa che tutto aveva in comune con una dea appena scesa in terra.
Indossava un abito cerimoniale originario di Sinpong, per simboleggiare la sua fedeltà verso il popolo del futuro marito. Il lungo abito di stoffa bianca era ricamato con disegni floreali in filo azzurro, le maniche larghe le nascondevano le braccia, ma non fece a meno dei suoi fedeli guanti. Ora che Wren sapeva cosa celassero, non poteva che guardarli in modo diverso. Quelle ferite sembravano fare male, sulle sue braccia, ma ancora non era riuscita a chiederle che storia celassero. Avrebbe aspettato che fosse lei a raccontarglielo, con i suoi tempi.
Teneva la schiena dritta mentre, un passo dopo l'altro, le si avvicinava sotto gli occhi attenti di tutti i presenti. Di sicuro stavano tutti pensando quanto fosse bella, quanto fosse elegante, quanto il Principe Dracyan fosse fortunato ad averla come moglie. E Wren si sentiva fortunata, anche se quello non era il suo posto.
Stava dando un calcio fra le gambe del destino, prendendo qualcosa che non era mai destinato ad essere suo: Roselia apparteneva a Dracyan, e anche se non era stata una sua decisione, si sentiva egoista a sposarla.
Non aveva mai voluto una relazione a lungo termine, il matrimonio sembrava qualcosa di troppo definitivo, chiuso e soffocante. Tuttavia, sembrava anche un nuovo inizio.
Roselia le sorrise, uno di quei sorrisi veri non quelli che usava durante le sue apparizioni pubbliche, ma di quelli che solo Wren sperava di poter vedere. Ricambiò il sorriso e la prese a braccetto.
Avrebbero percorso il resto del cammino insieme prima di arrivare sotto il piccolo gazebo fiorito. Gigli bianchi e fiori dai petali azzurri, alla fine erano stati scelti quei fiori. Sapeva che il giglio era il fiore simbolo di Roselia, ed ora sarebbe diventato anche il suo, le aveva anche spiegato il loro significato, ma al momento non se lo ricordava.
Il giardino in cui Roselia l'aveva affrontata la prima volta, con i suoi muri di mattoni e i suoi fiori colorati, era stato trasformato per l'occasione in un vortice di bianco e azzurro, dedicando molte aiuole alle sedute degli ospiti e il camminamento principale alla loro passerella verso il futuro da coniugi.
Sentire il braccio di lei intrecciato al suo in una morsa salda la faceva sentire sicura, potente, e si chiedeva se stare accanto a lei sarebbe sempre stato così.
La cerimonia era stata adattata per incorporare le tradizioni dei loro paesi, e per questo durò molto più del solito.
Tutta la mattinata passò come in uno strano sogno sfocato: Wren si ricordava di aver stretto i nastri attorno ai polsi di Roselia, e lei aveva fatto lo stesso con i suoi, li avevano bagnati con il vino e tagliati con delle forbici d'argento, si ricordava di aver pronunciato un piccolo discorso, preparato con largo anticipo da qualche consigliere, e Roselia aveva fatto lo stesso, con molta meno enfasi di lei, non perché non ci credesse, ma perché come attrice stava perdendo colpi, si ricordava di essersi scambiate gli anelli, di essersi sfiorate i nasi davanti a tutti, senza veramente baciarsi e tutto ad un tratto la cerimonia stava già per finire.
Mancava solamente un ultimo passo e poi il Sapiente davanti a loro le avrebbe dichiarate moglie e marito. O moglie e moglie, anche se non ne era propriamente a conoscenza.
Stava guardando dritto negli occhi di Roselia, dorati come non erano mai stati, circondati da quel trucco scuro che le era stato finemente pennellato sulle palpebre, quando tutto ad un tratto le persone iniziarono ad urlare.
All'inizio non capì da dove le voci stessero arrivando, sembravano provenire dal fondo, sia da destra che da sinistra, ma era tutto così confusionario.
La gente aveva iniziato a correre, a spintonarsi, a calpestarsi gli abiti e gli arti pur di allontanarsi da quella situazione di probabile pericolo.
Wren non riusciva nemmeno a capire cosa stesse succedendo, dai lamenti però sembrava qualcosa di grave.
Un urlo più acuto si era levato dalla confusione generale, seguito da un pianto lancinante.
Dopo di che le voci si moltiplicarono, diventando sempre più forti, sempre più imprevedibili.
Gli uomini e le donne che si stavano ancora guardando attorno confusi si decisero ad alzarsi e scappare insieme agli altri.
In mezzo alla folla scalpitante non riusciva più a vedere suo padre, arrivato a palazzo per le nozze, e nemmeno il Re di Virdania, o Elijah, o Nika, o nessuna delle guardie che le erano state presentate quella mattina come sua scorta personale.
«Immagino che questa non sia una delle vostre tradizioni, vero?» chiese con voce mozzata, lo sguardo impietrito sulla scena, ma in qualche modo comunque sicura che Roselia si trovasse ancora al suo fianco.
«Certo che no» rispose lapidaria.
«Immaginavo, ma tentar non nuoce» replicò lei.
Prese decisa il polso di Roselia. In momenti come quello, aveva imparato, la miglior cosa da fare era seguire l'istinto, e in quel momento tutto il suo corpo le stava gridando di allontanarsi al più presto da lì.
La stoffa del guanto di Roselia era scivolosa sotto il suo palmo, ma la strinse ancora più forte per assicurarsi di non perderla in mezzo a quella confusione di corpi, per nessuno motivo.
Le uniche vie di uscita erano a metà altezza del giardino, e ormai sembravano essere bloccate, o quanto meno intasate, visto l'afflusso di persone che vi si stava riversando senza uscire veramente.
Più il tempo passava più la gente correva verso le uscite, ma non sembrava che stessero realmente lasciando il giardino, solo che si stessero spostando più lontane dalla fonte delle loro paure.
«Cosa dovremmo fare? Sta regnando il caos, anche se non ci fosse un pericolo reale, si soffocheranno l'un l'altro cercando di scavalcarsi» mormorò avvicinando Roselia al suo corpo.
Lei scosse la testa. «So che forse suonerò cattiva, ma l'unica cosa che possiamo fare è mettere in salvo noi stesse. Se davvero fossimo in pericolo... non serviremmo a nessuno morte.»
Aveva ragione.
Un Regno senza nessun erede, o senza nessuno a regnarlo, in caso i loro genitori non se la stessero passando bene come loro, era peggio di perdere la vita.
«Cosa proponi di fare allora? Non possiamo certo buttarci nella mischia e sperare di uscirne vive. Sinceramente, non ho nemmeno idea del perché abbiamo iniziato ad urlare e a correre.»
Cercò di allungare il collo oltre la massa di teste, ma non riuscì a scorgere nulla oltre i muri del giardino e le piante che vi stavano crescendo sopra. I suoi occhi non riuscivano a decifrare quella massa di persone indistinte, non riusciva a capire dove finissero gli arti dell'una ed iniziassero quelli dell'altra, e non comprendeva nemmeno dove avessero intenzione di sfuggire.
Quello che aveva capito, tuttavia, era quello da cui stavano scappando.
Dal fondo del giardino, quasi sommersi dalle voci degli invitati, si sentirono due lunghi fischi, subito seguiti da uno scoppio.
Era un segnale.
Lo sapeva perché era stata obbligata a studiarlo, leggendolo su un vecchissimo libro di storia del Continente. Ma le parole con cui le era stato descritto non potevano minimamente competere con il suono reale.
Ti entrava nelle ossa, ghiacciando tutto il tuo corpo, facendosi strada nelle tue vene e arrivando in ogni più piccola parte di te. Non era tanto per il suono in sé, ma per l'orrore e la paura che si trascinava dietro, come un ombra.
Le grida e gli scalpitii si fecero ancora più forti: chi ancora non aveva idea del perché si fosse gettato in quella mischia, ora ne era più che certo.
Il panico si diffuse come una macchia d'olio, veloce ed inarrestabile. Lo poteva vedere sui volti di tutti quelli che riusciva a scorgere.
Una bambina stava correndo davanti a loro, la piccola mano destra stretta in quella di sua madre, nell'altra portava stretto al petto un giocattolo di pezza. I capelli riccioli che le svolazzavano sulle spalle e il vestitino azzurro che stava indossando si era sporcato di fango. I suoi occhi tondi erano aperti, le iridi dilatate, le guance paffute erano diventate rosse, delle lacrime le stavano scorrendo sulle guance. Non era abbastanza grande da capire cosa stesse succedendo, ma lo era per essere consapevole che, qualunque cosa fosse, non era nulla di buono. Nonostante il terrore e l'angoscia che la attanagliava si teneva stretta alla sua unica fonte di sicurezza, era una bambina forte, forse più di quanto Wren non sarebbe mai riuscita ad essere.
In pochi secondi le due erano già sparite, infilandosi come due serpi fra i corpi delle persone, cercando un varco verso la salvezza, cosa che avrebbe dovuto fare anche Wren se non avesse voluto lasciarci le penne.
Il segnale stava solamente a significare che era in corso un attacco di briganti, originari delle terre più a nord di Kaiste, e non sarebbe mai potuto concludersi con un lieto fine.
Un gruppo di briganti ad un matrimonio reale non era certamente venuto per porre le proprie congratulazioni ai novelli sposi, stavano cercando sangue e presto lo avrebbero trovato, o forse lo avevano già fatto.
Strinse la mano di Roselia nella sua, alla ricerca di qualcosa a cui appigliarsi, e lei ricambiò quel gesto. Le sue dita erano intrecciate alle sue in un modo indissolubile e, in qualche modo, la fecero sentire più al sicuro.
«C'è un passaggio segreto, nell'aiuola alle nostre spalle» disse Roselia, la sua voce un sussurro a malapena udibile sotto tutto quel fracasso.
«Cosa stiamo aspettando allora?» chiese impaziente Wren.
Non concepiva perché stessero ancora lì ferme, come due statue, invece che correre verso quell'uscita verso la salvezza.
Se l'unico modo in cui potevano aiutare era mettere in salvo le loro vite, avrebbero dovuto farlo al più presto.
«È solo che... non è stato usato per molti anni, non so in che condizioni sia. Inoltre, potrebbero esserne a conoscenza ed avere sbarrato il passaggio o peggio ancora: aver disposto qualcuno a farvi da guardia e» non c'era bisogno che Roselia finisse quella frase per lasciare intendere a Wren quale sarebbe stato il loro destino. Uccise in un cunicolo, dove forse nessuno le avrebbe mai ritrovate, da un fuorilegge proveniente dall'altra parte del Continente, non era certo quella la fine eroica che si aspettava per la sua breve vita.
Wren trasse un respiro.
«Immagino che sia la nostra unica soluzione. Restare ferme qua è fuori discussione: prima o poi ci raggiungeranno. Ci conviene correre e sperare che non siano stati così preparati.»
Come a confermare la sua tesi, si sentì un forte schiocco vibrare nell'aria, come il suono di una frusta che picchia sulla pietra, solamente dieci volte più forte. Un piccolo pennacchio di fumo iniziò a salire da dietro la massa di persone che di colpo si accasciò a terra, chi teneva le mani sopra la testa, a proteggersi il cranio, chi ad abbracciare i più piccoli, chi invece rimaneva in piedi, spaesato da quel suono mai sentito prima d'ora.
Era un'arma da fuoco. Roselia gliene aveva parlato: una delle ultime tecnologie inventate a Kaiste, nessuno a Virdania o a Sinpong ne era ancora entrato in possesso e, con l'arrivo della guerra, probabilmente non lo avrebbero mai fatto, per più che ovvi motivi.
«Dovremmo decisamente sbrigarci. Fammi strada a questo passaggio segreto» ordinò a Roselia, poco prima che un secondo sparo si facesse strada nell'aria.
Stavano mirando al cielo, si accorse Wren. Grazie alla folla sempre più raccolta verso i lati del giardino, riusciva ormai a scorgere le figure incappucciate che si stavano facendo largo dall'altro lato. Una teneva un braccio in alto, quella che doveva essere la pistola stretta nella mano.
Sperava che continuassero con quella strategia, senza fare del male agli invitati, ma poteva già scorgere i primi corpi senza coscienza sdraiati per terra.
Un forte senso di vomito le si fece strada nello stomaco, acido e pastoso.
«Aspetta» mormorò, e poi più forte: «Aspetta, aspetta un attimo.»
Roselia le stava rivolgendo un'occhiata dubbiosa, la domanda silenziosa si nascondeva dietro i suoi occhi, ma Wren non la stava guardando.
Tutta la sua attenzione era rivolta ad una figura riversa sul terreno, schivata a malapena dalla gente in fuga, calpestata da piedi e scarpe.
Senza pensare, si districò dalla presa di Roselia, diretta in quella direzione.
Ora li poteva vedere: gli uomini e le donne vestiti di marrone e di nero, strati su strati di indumenti, larghe sciarpe a coprirgli il viso e la testa. Stavano avanzando lentamente, ma inesorabilmente, verso di loro.
Le armi erano spianate verso chiunque osasse incrociare il loro cammino. Portavano stretti coltelli di metallo scuro, lunghe mazze ricoperte di chiodi dall'aria arrugginita, ma soltanto in due tenevano strette fra le mani delle pistole.
Non erano stati loro ad attirare la sua attenzione, però. Quello che stava cercando di raggiungere era qualcos'altro: Mariam. Era caduta per terra, l'aveva notata mentre un uomo alto e in carne l'aveva spinta con grande forza sul terreno, solamente perché si stava guardando attorno smarrita, rallentando così il suo cammino.
Con le sue gonne e il suo grembiule sporchi di terriccio sembrava la persona più indifesa che Wren avesse mai visto.
Voleva andare verso di lei, aiutarla ad alzarsi, portarla con sé al sicuro. Forse Mariam sapeva anche dove si trovassero Elijah e Nika, avrebbero potuto cercarli, assieme. Mettersi in salvo prima che qualcuno di loro si facesse del male.
Non era che a pochi passi da lei, quando uno dei banditi spuntò dal nulla, a pochi metri da loro. Silenzioso in mezzo alle grida, ma subito riconoscibile in mezzo agli invitati vestiti di bianco e azzurro.
Appena le persone iniziarono a notare la sua presenza si allontanarono, schiacciandosi ancora di più verso i muri, verso una parvenza di salvezza.
Ma l'uomo aveva solamente occhi per lei.
Teneva una lama liscia e affilata nella mano destra, la luce del sole pomeridiano brillava sul suo dorso, come se si fosse trattato di un gioiello lucente. L'altra mano era libera, aperta verso di lei, con fare intimidatorio. Si era abbassato la sciarpa giusto quel poco per lasciare intravedere il sorriso sornione che gli si contorceva sulle labbra.
Si sentiva la vittoria in pugno, pensava di aver già vinto. Stava già assaporando la lauta ricompensa che avrebbe ricevuto dopo averla uccisa, immaginava.
«Ecco il caro Principe Dracyan, finalmente vi ho trovato» disse, la voce rauca e bassa, alquanto in disarmonia con il suo aspetto. Sembrava un ragazzino, forse poco più grande di lei, alto e snello. Qualche ciuffo ricciolo gli usciva da sotto la stoffa marrone e gli occhi erano di un caldo nocciola.
In altre circostanze non avrebbe pensato nulla di lui: solamente un ragazzo, nulla di più e nulla di meno. Eppure eccolo lì davanti a lei, con un coltello in mano e un lampo assassino a muovergli il corpo.
«Stavate cercando me? Potevate dirlo subito e vi avrei accolto personalmente, senza dovervi stare a disturbare così tanto» replicò lei, incapace di riuscire a trattenere la sua linguaccia. Ma non era un problema, perché quel ragazzino certo non conosceva il vero Dracyan e certo non avrebbe mai potuto insinuare che quella che si trovava davanti a lui altro non fosse che la principessa Wrendolyn. Poteva permettersi questo rischio.
Il bandito fece spallucce, senza però lasciare la posizione da combattimento. «Ci piace fare un entrata di scena, che altro posso dirvi.»
Per un breve secondo, Wren lasciò che gli occhi le si posassero sulla figura di Mariam, ancora accucciata per terra, pochi passi di fianco al ragazzo, che fino a quel momento sembrava non averla nemmeno notata, tanto era intento a studiare il suo vero obiettivo.
Fu un errore grave. Wren continuò a condannarsi per questo errore per molti giorni a seguire, ma sul momento non vi aveva fatto molto caso.
Quando anche gli occhi del ragazzo si posarono su Mariam, si accorse di quello che aveva fatto.
La sua espressione doveva averla tradita, perché il sorriso sulle labbra del ragazzo si aprì ancora di più, mostrando due file di denti bianchissimi. Non esitò nemmeno un momento prima di fiondarsi su di lei.
Un momento prima era in piedi, a pochi passi da Wren, e un momento dopo stava facendo alzare Mariam da terra, la lama della sua arma puntata alla gola della donna.
Pur quanto dovesse sentirsi spaventata, Mariam non diede alcun segno del suo terrore. La sua espressione non lasciava trasparire niente, nemmeno mentre il ragazzo la spintonava verso quella che da tempo ormai trattava come una figlia. Non sembrava una donna indifesa, nel bel mezzo di una situazione alquanto pericolosa, sembrava solamente annoiata. Come se, invece che un coltello vicino alla sua carne, fosse stata obbligata a partecipare ad un tedioso concerto di musica antica, quel tipo di musica che soltanto i suoi trisavoli potevano veramente trovare interessante.
«A quanto mi sembra di capire, voi due vi conoscete» sghignazzò il ragazzo, il sorriso sornione ancora sulle sue labbra. «O forse mi sto sbagliando? Eh?»
Al pronunciare di quelle domande strinse sempre di più la presa sulle braccia di Mariam. La stava abbracciando da dietro con l'arto libero, tenendola ferma in caso avesse cercato di liberarsi. Ma Mariam non sembrava intenzionata a farlo: se ne stava lì, immobile come un sacco di frumento, a fissare Wren con quell'espressione in viso. Quell'espressione di chi ha già deciso di aver perso, di chi si è già ritirato da una battaglia che crede persa in partenza.
Fare finta di nulla non sarebbe servito, aveva già capito da solo l'esistenza di una connessione fra le due. «Sì, la conosco, e ti chiedo di lasciarla andare. In cambio farò quello che vorrete, verrò con voi, basta che lasciate in pace questa povera gente. Loro non c'entrano nulla con quello che state facendo. Prendete me e andatevene.»
«Sai, è una proposta davvero allettante, ma quello che stai dicendo non è la verità» replicò lui.
Wren si inumidì le labbra. Le sue parole non erano altro che veritiere, questo lo sapeva. Non capiva perché quel ragazzo non le credesse. Era stato lui il primo a suggerire che lei e Mariam fossero più che delle semplici conoscenti.
Cercò di farsi più vicina con un piccolo passo, molto lentamente. «Niente di quello che ti ho detto si allontana dalla verità. Perché mai dovrei mentire sul mio rapporto con questa donna? A giovarci non sarebbe nessuna delle due, lo sappiamo entrambi.»
Il bandito sembrò quasi divertito dalla sua risposta. «Mi stavo riferendo ad altro, non al vostro rapporto» ridacchiò con tono schernitore. «Dici che questa è solo gente innocente, che si è trovata qua per puro caso, che non ha nulla a che fare con voi, ma è una fottuta cazzata.»
La sua voce era dura e il suo viso quasi deformato mentre sputava sul terreno con tutta la cattiveria che portava in corpo. I suoi occhi erano accessi da una scintilla rossa che fece scorrere un brivido gelido lungo la schiena di Wren. Qualunque fosse il passato di quel ragazzo, non era stato rose e fiori. E qualcosa le diceva che i loro popoli, o almeno le élite dei loro popoli, avessero un ruolo fondamentale in questo.
«Penso di non capire a cosa tu ti stia riferendo, ma possiamo essere d'accordo sul fatto che almeno i bambini che si trovano qui oggi non abbiano mai agito in malafede nei vostri confronti.» Il fatto che qualche persona in mezzo a quella folla non avesse intrapreso relazioni amichevoli con Kaiste non era qualcosa che la coglieva di sorpresa. In fondo le classi dirigenti più alte, gli uomini e le donne e ogni umano più ricco di tutto il Continente si trovava lì.
«Su questo non posso che concordare, infatti non sarà fatto nessun male a quei bambini. Saranno portati via con noi, dove saranno introdotti al nostro modo di vivere, alla nostra civiltà. Forse sarà difficile all'inizio, ma un giorno ci ringrazieranno.»
Ogni parola di quel discorso suonava così... sbagliata. Portare via quei piccoli, come dei bottini di guerra, era l'ultima cosa che avrebbero dovuto cercare di fare.
«Ma tornando a noi, pensi davvero che immolare la tua vita ad una giusta causa mi faccia cambiare idea?» chiese, stringendo la presa attorno a Mariam e appoggiando la lama ancora più vicina alla sua pelle. Un piccolo rivolo di sangue iniziò a scivolare lungo la sua gola. Lei però non emise alcun suono, nemmeno un gemito di dolore, nemmeno un verso strozzato di terrore.
Doveva fermarlo, in qualsiasi modo. Fece un altro passo verso di lui. «Hai già deciso di ucciderla? Sei così senza cuore? È solamente un'anziana lavoratrice del castello, non ha fatto altro che servire la famiglia reale per tutta la sua vita, non ha nessuna colpa in qualsiasi cosa tu voglia vendicare.»
«La vendetta non e ciò che cerchiamo, stiamo cercando di fare la cosa giusta, il bene dell'umanità. Pensi davvero che siamo venuti fin qui solamente per un torto? No, il nostro piano è molto più grande di quello che tu possa mai immaginare. Questo è solamente il primo passo verso un nuovo futuro» disse, la voce grondante di ardore, di passione, lo sguardo perso nel vuoto, come ad immaginarsi già quello che li aspettava.
«Ucciderla non vi aiuterà in alcun modo, ho inteso di non sapere cosa state cercando, ma qualsiasi cosa sia non potrà certo esservi utile trucidare una vecchia!» esclamò Wren, fuori di sé. Lui non stava demordendo, nessuna cosa dicesse, stava iniziando a dubitare che niente avrebbe potuto farlo vacillare. Ma ci doveva essere un modo, non poteva certo finire così. Non poteva.
«Ma non lo faccio per lei, lo faccio per te. Ti vedremo inginocchiato a terra, come voi avete fatto inginocchiare la nostra gente» disse. Non faceva alcun senso, niente di quello che stava blaterando lo faceva. Fra i tre paesi il loro era quello più tecnologicamente avanzato, quello più intelligente, quello dove le aspettative di vita erano le più alte, quello dove la criminalità era praticamente nulla se non per le poche sacche di banditi a nord, ed era quello che aveva deciso di muovere guerra. La decisione non era stata presa da Sinpong, e nemmeno da Virdania, erano stati loro i primi a mostrare ostilità verso gli altri popoli. Che la gente di Dracyan e Roselia avesse messo in ginocchio la loro era più che improbabile.
«Puoi farlo in molti altri modi, lasciala in pace.»
Mariam stava scuotendo la testa, impercettibilmente, ma la stava scuotendo. Il coltello le stava strusciando sulla pelle del collo durante il movimento, provocando un piccolo taglia rosso poco sopra il collare del suo vestito bianco e marrone. Le stava dicendo di lasciar perdere, di andarsene da lì, lo vedeva nel suo sguardo, ma lei non avrebbe demorso così in fretta: le avevano insegnato che arrendersi era sempre l'ultima cosa da fare. Lo aveva imparato in un contesto più frivolo, mentre faceva a gara con Elijah a chi avrebbe bevuto più birre in un minuto, ma pensava che il concetto si potesse trasportare in qualsiasi occasione della sua vita. Era qualcosa che aveva capito nei giorni trascorsi a Virdania, mentre iniziava a conoscere Roselia. Aveva perso ogni speranza dopo la morte di Dracyan, convinta che l'unica cosa che potesse fare fosse sacrificare sé stessa per il bene degli altri, diventando quello di cui avevano bisogno, dimenticando la sua identità. Ma sarebbe tornata la Principessa ribelle che era una volta, uscita da quel casino di situazione nessuno le avrebbe più potuto dire che cosa fare. Avrebbe aiutato gli altri, ma lo avrebbe fatto a suo modo, come Wren.
Sapeva che non sarebbe mai potuto succedere, non avrebbe mai potuto rivelare la sua realtà al mondo, ma avrebbe potuto fare qualche piccolo cambiamento. Rendere Dracyan più Wren e Wren meno Dracyan. Perdere quella sua rigidezza, acquisire un po' di compassione per gli altri.
Il ragazzo parve non accorgersi del movimento di Mariam, e anche Wren fece finta di non averla vista. Come poteva anche solo pretendere che la lasciasse così, sola al suo destino, senza fare nulla per lei? Dopo tutto quello che le aveva dato da piccola, dopo tutto quello che avevano passato insieme, il solo pensiero di abbandonala in quel modo le faceva venire il voltastomaco.
«Mi dispiaccio per te, ma non penso che sarà questo il caso. Spero che tu abbia avuto modo di salutarla come si deve.» Detto questo, il bandito, mosse il braccio in un deciso e fluido movimento, disegnando un arco davanti a Wren.
Per un momento sembrò non succedere nulla, tutto si era bloccato, diventando immobile. Nessuno si stava muovendo, la corsa sfrenata delle persone era arrivata ad uno stop, persino l'aria sembrava non muovere più le foglie degli alberi attorno.
L'attimo dopo era tutto tornato alla normalità, ma sul collo di Mariam era comparso un lungo taglio rosso a percorrerlo orizzontalmente da parte a parte. La ferita si allargò, tutta ad un tratto, facendo fuoriuscire un fiotto di sangue scuro.
All'inizio le sue gambe sembravano non volerle dare retta: erano come inchiodate al pavimento, dovette usare ogni suo più piccolo briciolo di forze per riuscire a trascinarsi verso di lei.
Un uomo che stava cercando rifugio le diede una spallata, una bambina alla ricerca dei genitori le pestò un piede, ma non le importava, erano come figure informi e senza senso ai suoi occhi.
Quando le arrivò davanti, i suoi muscoli persero ogni consistenza, la terra setto di lei sembrava essere diventata gelatina.
Cadde sulle ginocchia con un piccolo tonfo, la gente le stava passando vicino, attorno, la scontrava, ma in quel momento non riusciva a vedere altro che lei.
Si avvicinò gattonando, percorrendo gli ultimi passi che le separavano strisciando come un verme.
La donna che l'aveva accudita per così tanti anni era supina sul ciottolato, le gambe leggermente avvicinate al busto, la testa abbassata e chiusa tra le braccia, a proteggersi. Ma non c'era più nulla da proteggere.
Il suo petto non si alzava e non si abbassava.
Wren provò a girarla, ad alzarla, a chiamarla, ma niente di tutto quello sembrava funzionare.
I suoi occhi erano chiusi, serratissimi.
La bocca una linea sottile.
La pelle era vitrea, quasi grigia.
La testa le penzolava all'indietro, aperta in quella voragine scura che aveva creato il coltello.
Come era potuto succedere?
Come aveva potuto fare una cosa del genere?
Non ricordava di averla vista cadere, poco prima era in piedi davanti a lei, e ora si ritrovavano entrambe per terra, ricoperte di sangue rosso.
La donna che era per lei come una madre era immobile come un manichino, priva di vita, e Wren avrebbe fatto di tutto per cambiare il suo destino con il suo.
Avrebbe preferito morire piuttosto che vedere un'altra persona cara perire al suo posto.
Prima sua fratello, ora lei.
Quegli uomini erano venuti lì per lei, in fondo.
Una mano le si strinse sulla spalla, decisa e tenace.
Wren alzò lo sguardo.
«Dobbiamo andare. Adesso» sibilò Roselia. Dietro la sua voce si nascondeva una punta di amarezza, ma a parte quello, il resto della sua espressione non lasciava trasalire nulla se non l'urgenza di lasciarsi quel luogo di massacro alle spalle.
Aveva ragione. Aveva ragione come sempre. Ma il solo pensiero di lasciare il corpo inerme di Mariam lì le faceva rivoltare lo stomaco. Non poteva lasciarla in pasto a quel mostro. Tuttavia il ragazzo sembrava essere sparito, non c'era più nessuna traccia di lui tra la folla.
«Lo hai visto? Hai visto dove è andato?» chiese, la voce frenetica, la lingua che si incartocciava su sé stessa per parlare il più velocemente possibile.
Roselia scosse la testa, confusa. «No, dopo che... l'ha uccisa è arrivato un altro uomo e sono spariti insieme in mezzo alla gente. Stavo per intervenire ma sembrava essere troppo tardi. Mi dispiace.»
Era troppo tardi, ma non era colpa sua.
L'unica colpa era si quel ragazzino e Wren si promise che, appena avesse avuto modo di mettere mani su di lui, gli avrebbe fatto passare ogni pena dell'altro mondo.

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