𝕽𝖔𝖘𝖊𝖑𝖎𝖆

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Il popolo sembrava più entusiasta di tutti i Sapienti e la famiglia reale uniti: i festeggiamenti quella settimana furono incessanti e pieni di vita. Persone da tutto il regno si stavano spostando, addirittura dai confini più remoti, solamente per portare doni e parole dolci alla Principessa Roselia che si era dimostrata all'altezza del suo ruolo.
Virdania era conosciuta come una nazione vivace, ma mai Roselia l'aveva vista così piena di vita.
Le luci delle case e dei negozi sembravano non spegnersi mai, la notte si fondeva con il giorno in un susseguirsi di eventi, i bambini scorrazzavano per le strade felici con i loro aquiloni colorati, canti allegri risuonavano da un angolo all'altro della città, intonati da quelle che sembravano cento voci diverse.
Al pensiero che tutto quello fosse per lei, Roselia si sentiva leggermente meglio. Anche se sapeva che molti non stavano pensando a lei, in quel momento.
Era certa che le loro intenzioni fossero veritiere, ma in fondo quella era solamente una scusa per festeggiare e passare dei bei momenti con la famiglia. In fondo loro non la conoscevano. La maggior parte di loro non sapevano neanche com'era fatto il suo volto.
Il mattino seguente, però, sarebbe scesa nella Piazza Principale, dove solitamente veniva svolto il mercato settimanale, per fare il proprio discorso di ringraziamento. E annunciare la data precisa per le sue nozze.
La notizia del Rituale era giunta fino all'Imperatore di Sinpong, e attraverso una serie di corrispondenze era stata decisa la fatidica giornata. Era ancora lontana, ma comunque più vicina di quanto Roselia si aspettasse.
Quattro mesi.
Da quattro mesi a quel giorno, si sarebbe ritrovata con un marito e un'enorme nazione che avrebbe dovuto imparare a governare. Da quattro mesi a quel giorno, Dracyan sarebbe stato al suo fianco per aiutarla in quel cammino pieno di insidie. Da quattro mesi a quel giorno, non sarebbe più stata sola.
Mentre al di fuori del castello i festeggiamenti continuavano ininterrottamente si avvicinò allo specchio. Rifletteva l'immagine di un'esile ragazza in camicia da notte, i lunghi guanti bianchi a coprirle le braccia. Non se li toglieva mai. Dal suo decimo compleanno non ricordava giorno in cui non li avesse indossati, e non avrebbe mai lasciato vedere a nessuno cosa nascondevano.
Nonostante questo, quella mattina, per il rituale, se li era dovuti sfilare davanti ad un gruppo cospicuo di persone. Il solo ricordo le faceva tremare il cuore, ma sapeva che era stato necessario. Quei guanti erano la sua ancora di salvezza, ma doveva imparare a mettere da parte i suoi desideri per il bene degli altri. Era quello che una brava Regina avrebbe fatto e lei sarebbe diventata una brava Regina, anche a costo di diventare qualcuno che non era. In fondo, aveva già cancellato se stessa molti anni addietro.
I suoi piedi nudi si affacciavano fuori dal vestito, toccando il freddo pavimento di legno scuro e le ricordavano di quelle giornate da bambina passate a correre per le stanze della madre, giocando a nascondino dietro ai divani e dentro gli armadi. Sembravano passati secoli, invece erano solo dieci anni. Le affiorava ancora alla mente il timbro della sua voce cantilenante mentre contava con le mani sopra gli occhi, aprendo occasionalmente le dita per barare e vedere dove Roselia si stesse nascondendo, così come il sorriso sulle sue labbra quando finalmente riusciva a trovarla.
Distolse lo sguardo dal suo riflesso e tornò verso la finestra. Le strade lontane erano ancora brulicanti di persone e lanterne accesse, un vociare acceso si alzava nella notte scura che da lì a pochi minuti si riempì di tante luci arancioni.
Era tradizione che, dopo il rituale di una Principessa, gli abitanti del popolo si riunissero per costruire delle lanterne di carta da far poi volare nel cielo con dei messaggi attaccati, destinati a bruciare prima di arrivare alla luna. Si diceva che, qualunque cosa tu scrivessi, se le fiamme non avessero divorato tutta la carta prima della mezzanotte, si sarebbe avverata: la Grande Dea avrebbe ricevuto il tuo messaggio e avrebbe reso la speranza realtà. Una Principessa che dava atto della sua regalità non era una cosa che succedeva tutti i giorni, per molte persone era un'occasione più unica che rara e che non sarebbe più capitata nel corso della loro vita. Per questo tutto scrivevano nella grafia più fine possibile, per dare spazio alla maggior parte di desideri, sperando che la sorte gli sorridesse, facendo sì che si avverassero dal primo all'ultimo.
Le cameriere ne avevano lasciata una anche a lei, di lanterna, insieme ad una penna ed un calamaio, ma non aveva ancora scritto nulla. Voleva farlo, ma non sapeva per cosa desiderare.
Avrebbe potuto chiedere di aiutarla a diventare una regnante migliore, perfetta, ma sapeva che per quello serviva il suo arduo lavoro, e nient'altro.
Avrebbe potuto chiedere per una storia d'amore, di quelle che si avverano solamente nelle favole, ma sapeva già che il suo destino era quello di sposare Dracyan e, per quanto potesse essere un bravo ragazzo, non era ciò che il suo cuore sognava.
Avrebbe potuto chiedere per un matrimonio felice, pieno di bambini sani ed intelligenti, magari con il suo colore di capelli e il tono degli occhi marroni di Dracyan, ma il solo pensiero di avere dei figli le faceva ribaltare lo stomaco.
Avrebbe potuto chiedere un rinvio delle nozze, ma sapeva che quello era il suo destino e tutti aspettavano quella fortuita unione da tempo, per non parlare di tutti i dissidi politici che si sarebbero creati se lei avesse mai rifiutato la mano di Dracyan.
Avrebbe potuto chiedere di essere scambiata, che qualcun'altro prendesse il suo posto, che un'altra ragazza diventasse Principessa al suo posto, ma sapeva che la magia della Dea poteva arrivare solo a tanto, e anche se avesse potuto farle quel dono non sarebbe stato giusto scappare dai suoi doveri.
Non c'era cosa che avrebbe potuto desiderare ardentemente che avrebbe mai potuto chiedere, così si limitò a scrivere:
Desidero che la mia famiglia e quella del mio futuro marito possano vivere in piena salute negli anni a venire. Che si possano festeggiare decine e decine di compleanni. Che possano invecchiare, accuditi dall'amore dei parenti. Che le nostre nazioni prosperino come non mai. Che la nostra unione le fortifichi e ci renda pronti per la guerra.
Le sembrava sufficiente, le sembrava qualcosa che una principessa dolce e gentile avrebbe potuto augurare in quell'occasione.
In paese le persone avevano già iniziato ad accedere le lanterne, una ad una, lentamente, iniziarono a librarsi nel cielo, volteggiando come piume verso il buio della notte.
Sembrava che le stelle si stessero moltiplicando, nascendo dalla terra stessa e viaggiando verso le proprie sorelle. Sembrava che tanti piccoli fuochi si fossero accessi e stessero volando come libellule sulla sponda di un lago. Roselia non aveva mai visto nulla del genere.
Tutto ad un tratto le sembrò più vero. Forse la Dea l'avrebbe ascoltata, qualunque cosa avesse mai chiesto. Forse le avrebbe concesso qualcosa, senza toglierle nulla in cambio. Perché sembrava tutto così magico e fuori dal tempo, ed essere egoisti per una volta nella sua vita non avrebbe distrutto il mondo.
Riprese in mano la penna d'oca, la intense nell'inchiostro con così tanta foga da macchiare il tavolo, e stava per aggiungere un ultimo desiderio alla sua lanterna quando si fermò.
Non poteva farlo, non poteva essere egoista. Una principessa non poteva essere egoista. Doveva pensare prima agli altri, poi a se stessa.
Così la frase rimase nella sua testa, senza essere trascritta, rimbombando e rimbombando nei suoi timpani mentre dava fuoco allo stoppino e lasciava la sua lanterna volare libera fuori dalla finestra insieme a tutte le altre.
Qualcuno che mi ami per quello che sono, qualcuno con cui non potermi sentire sola.
Nel sogno Roselia stava passeggiando per un campo di gigli bianchi. Sapeva di trovarsi in un sogno perché non portava i suoi lunghi guanti, ma le sue braccia erano libere contro l'aria torrida di un pomeriggio estivo. Anche se era un sogno, poteva sentire i raggi del sole caldo contro la sua pelle, il sudore sulla sua fronte, il piacere di un vento fresco che si stava alzando piano piano. Riusciva ad udire i canti di uccelli lontani, insieme a quelle che sembravano barche in partenza o in arrivo in un porto.
Non conosceva quel luogo, se fosse esistito un campo di gigli nelle vicinanze del castello lo avrebbe saputo - erano i suoi fiori preferiti - eppure aveva la netta sensazione di non essere finita in un paesaggio di pura immaginazione.
I gigli erano simbolo di purezza, nella lingua dei fiori rappresentavano quanto di più sincero potesse mai esistere. Alcuni amavano pensare che celebrassero anche il vero amore, ma lei li adorava per la forma dei loro petali, così delicati e allo stesso tempo eleganti, per i colori tenui e allo stesso tempo tenaci, per il fatto che nessuno nella sua famiglia li aveva mai scelti come simbolo e lei era stata la prima a farlo. Amava pensare di poter incarnare tutte quelle caratteristiche, regalando al giglio una degna forma umana, ma le altre persone non sembravano accorgersene: tutti pensavano che la sua scelta fosse stata in vista delle nozze, per far mostra della sua purezza d'animo, nonché di intenzioni nella loro unione, e non potevano sbagliarsi più di così.
All'improvviso si ritrovò sdraiata fra i fiori, il luogo era sempre lo stesso, così come il sole alto nel cielo, ma lei non era più in piedi. E non era più da sola.
Sdraiato di fianco a lei c'era Dracyan.
Stava guardando con fare assorto le nuvole, studiandole una ad una, le braccia incrociate sotto la testa come appoggio, le labbra leggermente imbronciate. Sembrava strano, quasi fuori posto. I suoi vestiti scuri, i capelli scuri, erano in netto contrasto con i fiori bianchi e il cielo azzurro, per non parlare di come sembrasse sfocato, come se per guardare solamente lui le fosse improvvisamente venuto il bisogno di indossare quegli strani occhiali che stavano iniziando a diventare di moda. Era lì... ma allo stesso tempo non lo era.
Quando i suoi occhi si rivolsero verso di lei, non potè fare a meno di sussultare. Erano marroni, come sempre, ma non sembravano i suoi.
«Perché mi stai guardando in quel modo? Ho forse qualcosa sul viso? Qualche pezzo di riso?»
Dracyan iniziò a tastarsi il viso, alla ricerca di quello che aveva suscitato tale reazione in Roselia.
«No, non hai niente in faccia.»
Non sapeva nemmeno perché gli stesse dando delle spiegazioni, era solamente un sogno. Eppure si sentiva in obbligo di dire qualcosa.
«Guarda la, nel cielo.» L'attenzione di Dracyan era già tornata alle nuvole e ora ne stava indicando una proprio sopra di loro. Era più grossa delle altre, ma non sembrava avere una forma particolare.
«Non lo vedi?» chiese lui dopo qualche secondo.
«No, non vedo nulla. Cosa dovrei vedere?»
«È quello che stiamo cercando, non ricordi?»
Roselia corrugò la fronte, cosa stavano cercando? Di sicuro non una macchia informe e priva di una vera sostanza.
Provò a guardare con più attenzione, cercando di trovare l'immagine che le stava sfuggendo, ma più la osservava più perdeva senso nella sua mente quell'ultima frase di Dracyan.
«Dimmelo e basta, non ho tempo per queste sciocchezze.»
Dracyan sbuffò. «Devi guardarlo con i miei occhi, non con i tuoi.»
«E come pensi che potrei mai farlo?»
Quello che stava dicendo non aveva alcun senso. Significa che doveva immedesimarsi in Dracyan? Far finta di guardare la nuvola come se fosse Dracyan a guardarla?
Anche se fosse stato così, non sapeva che risultati avesse dovuto ottenere: un ammasso informe di bianco sarebbe sempre stato un ammasso informe di bianco, che l'avessero guardato dieci persone diverse non sarebbe cambiato nulla, e sicuramente nemmeno agli occhi di Dracyan appariva in modo differente.
Era solo un sogno, non doveva avere un senso logico, eppure Roselia era estremamente frustrata.
Dracyan ridacchiò. «Me lo dovrai chiedere quando ci rivedremo, allora. Quando ci ritroveremo qui, in questo esatto luogo, ricordati di chiedermi cosa vedono i miei occhi, mia amata.»
La sua voce era gentile, fresca come un frutto appena colto, mentre le sfiorava una guancia con il palmo della mano. Roselia si ritrovò ad arrossire.
Il suo desiderio di trovare una persona da cui essere vista stava trapelando nel sogno, dando vita ad uno scenario che mai sarebbe accaduto e che doveva levarsi dalla testa.
Anche il solo pensiero di scrivere su quella lanterna era stato un grosso sbaglio.
Che la Dea le stesse regalando in sogno quello che nella vita terrena non avrebbe mai potuto avere?
All'improvviso gli occhi limpidi di Dracyan sparirono, lasciando Roselia a precipitare nel buio più oscuro.
Le sembrò di cadere, senza nulla sotto i piedi a fermarla se non il vuoto infinito, ma quando chiuse e riaprì le palpebre, non stava precipitando verso morte certa. Era ancora nel suo letto, dal quale non si era mai mossa, il cuore che le palpitava sonoramente nel petto, pronto a balzarle fuori dalla gola da un momento all'altro.
Si alzò a sedere. La luna fuori dalla finestra era sparita, lasciando posto ad un timido sole pronto a sorgere. L'alba era alle porte e il cielo si stava tingendo di un tenue arancione.
Era tutto un sogno, certamente era solo un sogno. Eppure ricordava ogni minimo dettaglio, come se l'avesse vissuto sul serio solamente qualche secondo prima.
Non era mai stata brava a ricordare i propri sogni, nemmeno quando da bambina aveva deciso di tenerne un diario, dove li avrebbe annotati tutti, uno per uno, appena sveglia, per non perdersi nemmeno un dettaglio. Finiva sempre per scordarsi dove iniziavano, dove finivano o cosa accadeva nel mezzo. Ricordava le parti più buffe, quelle più paurose, ricordava di aver incontrato qualcuno, ma non di cosa avessero parlato, ricordava i luoghi a lei familiari, ma non quelli di sua immaginazione.
Eppure, di questo sogno, lei ricordava tutto.

Of Venom and Thorns ~ SAPPHIC Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora