𝕽𝖔𝖘𝖊𝖑𝖎𝖆

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Le persone di bell'aspetto non erano mai mancare nella vita di Roselia. Essendo stata cresciuta in mezzo alla nobiltà sapeva come in molti dessero più importanza all'aspetto fisico e al proprio mondo di presentarsi anziché alla personalità e alla propria interiorità. Lei per prima veniva percepita come la Principessa bella ed elegante, non come la Principessa intelligente e leale.
Chi la circondava usava gli ultimi rimedi di bellezza - spesso ricorrendo anche ad intrighi o a pozioni di dubbia provenienza -, i balsami per capelli più costosi e gli oli per il corpo più delicati e profumati. Era così ovvio quanto provassero a rendersi più attraenti: dalle guance tinte di rossi accessi, ai fiori incastonati nei capelli, fino all'utilizzo di pratiche che duravano tutta la giornata solamente per le loro acconciature.
Quella ragazza, però, non stava cercando di essere bella, lo era e basta. Si stava avvicinando a Roselia con un passo felpato, senza far alcun rumore con i suoi stivali di cuoio alti fino alle ginocchia.
Non aveva mai visto una ragazza indossare dei pantaloni - non prima di Wren quanto meno - in un modo così affascinante.
«Allora allora, guardate un po' chi abbiamo qui,» disse, riferendosi a nessuno in particolare.
Roselia rimase impassibile, qualsiasi possibile replica congelata nella sua bocca. Cosa avrebbe mai dovuto rispondere ad una affermazione del genere? Nemmeno lei lo sapeva.
La ragazza le si avvicinò, quasi non aspettandosi una risposta da lei. Roselia immaginò che quell'effetto intimidatorio che stava avendo su di lei non fosse nulla di nuovo per la ragazza, ma anzi, la sua routine quotidiana.
Camminava con far ondeggiante e deciso, come se non ci potesse essere nulla che avrebbe potuto trascinarla a fondo, come se stesse camminando su una dimensione diversa rispetto a tutti gli altri meri mortali e fosse al di sopra di qualunque bassezza umana.
Immaginò che fosse così che una Principessa dovesse camminare. O almeno, lei avrebbe voluto tanto camminare come lei. Era una cosa strana da dire: non c'è nessun modo speciale di camminare, non c'è un modo migliore e un modo peggiore, a rigor di logica, ma avrebbe fatto di tutto per poter emanare la confidenza che trasudava lei con una azione così semplice.
La ragazza, dopo essersi tolta i guanti, allungò una mano verso di lei, le dita lunghe con tanto di unghie affilate le strinsero il mento in una morsa senza scampo. Le tirò il volto verso l'alto, obbligandola a guardarla negli occhi. Le girò la testa da destra a sinistra, esaminando ogni suo più piccolo centimetro, come se stesse osservando un frutto al mercato, alla ricerca di qualche difetto che avesse potuto trattenerla dal comprarlo. Roselia strinse i denti e la mascella.
Pur quanto potesse essere bella e forte, non aveva alcun diritto a trattarla in quel modo, come una merce di scambio, come un mero oggetto senza alcuna dignità sociale e umana.
«Che cosa vuoi da me?» si obbligò a dire, anche se non era quella la vera domanda che voleva porle, non la domanda giusta da porle, quantomeno.
Le labbra della ragazza si curvarono all'insù, in un sorriso felino. «Oh, quindi non ti hanno tagliato la lingua. Pensavo non volessi parlare.»
I suoi occhi stavano brillando di un fervido divertimento, quasi malato. Roselia non potè fare a meno di abbassare lo sguardo.
«Nessuno mi ha tolto la facoltà di parlare. Ora,» replicò, riportando i suoi occhi dritti in quelli della sconosciuta, «dimmi che cosa stai facendo» ordinò con la voce più dura che riuscì a ricavare dai meandri più intimi di se stessa.
La Roselia che amava infierire con le parole, che aveva sempre la frase pronta con cui replicare, sembrava essere sparita definitivamente. Era tutto iniziato con l'arrivo di Wren e poteva dare solamente a lei la colpa se, adesso, si trovava a piagnucolare davanti alla sua rapitrice. La Roselia di una volta le avrebbe sputato in faccia, l'avrebbe minacciata di mettersi ad urlare e di far accorrere le guardie a frotte se non avesse tolto le mani dal suo volto, l'avrebbe fatta rinchiudere in qualche sporca cella fino alla fine dei suoi giorni. Ma la Roselia di adesso non aveva fatto nessuna di queste cose, la Roselia di adesso si era ingarbugliata nei suoi stessi pensieri, dando voce alla più banale delle domande. Se fosse stata chiunque altro presente in quella stanza si sarebbe messo a ridere di quella stupida ragazzina.
Gli altri, però, non si misero a ridere. Le loro facce erano alquanto serie, come se stessero aspettando con ansia che lei chiedesse proprio quello.
«Quello che voglio è molto semplice e, fortunatamente per te, è qualcosa che puoi darmi molto facilmente. So che sai dove si trova, non dovrebbe essere un problema prenderlo per me e lasciarmelo portare via. Una volta fatto questo nostro affare lasceremo il tuo palazzo in pace, non ci rivedrete mai più» spiegò, gli occhi socchiusi in due piccole fessure.
Finalmente le lasciò andare il mento, facendo cadere le sue mani lungo i fianchi. Si tolse la lunga giacca color petrolio che indossava sopra gli abiti e solo in quel momento, seguendo con lo sguardo il movimento della ragazza, Roselia si accorse che in vita portava ben tre cinture. La prima era più in alto, stretta intorno al suo corpo senza lo spazio nemmeno per far passare un dito, ed era nera come le tenebre, di un cuoio così nero che non sembrava nemmeno reale. Lungo tutta la sua lunghezza erano attaccate delle piccole perle attraverso dei fili a penzoloni che le facevano ondeggiare tutte ad altezze diverse, creando una specie di ritmo ogni volta che si muoveva. L'aveva notata anche prima, mentre stava camminando, ma non aveva fatto caso alle altre due, più larghe e consumate, le ricadevano sui fianchi in posizioni precarie e sembravano poterle cadere da un momento all'altro. Ad ognuna era allacciato un fodero, ognuno di essi contenenti due pugnali dalla lama ricurva fino allora nascoste dall'indumento.
Roselia non potè far a meno di deglutire con ben poca gentilezza. La sua testa iniziò a farsi gonfia, piena di mille pensieri che si rincorrevano l'un l'altro, che le riempivano la mente dei peggiori scenari possibili. Non sapeva nemmeno perché non ci avesse pensato prima al fatto che quella donna sarebbe stata sicuramente armata e ancora più sicuramente sarebbe stata brava ad usare quelle lame.
Se già prima la spaventava la sua solo aurea, ora era terrificata dalla persona che si ritrovava davanti. Inoltre, il ragazzo si era fatto pian piano sempre più indietro, nascondendosi nei meandri della stanza, quasi a confondersi con la tappezzeria e i mobili di arredo; teneva le mani strette dietro la schiena, le spalle diritte, e l'espressione era vacua. Assomigliava alle guardie del palazzo quando aspettavano di ricevere degli ordini dalla famiglia reale. Se quell'assassino provava tanta servilità per la ragazza questo non poteva certo star a significare qualcosa di buono.
Era finita.
Per lei era definitivamente finita.
«Non so di cosa tu stia parlando, a meno che tu non stia cercando l'ingresso ai giardini di mia madre. Perché se è la serra che state tanto bramando, le siete alquanto vicina, posso accompagnarvici subito.» La consapevolezza che presto tutto sarebbe finito per lei le diede la forza di tornare finalmente in sé, anche se questo suo comportamento irriverente le avesse potuto costare la vita. Non le importava, perché gente come loro non la avrebbero mai e poi mai lasciata uscire da quelle stanze, quanto meno viva. In qualche modo il suo corpo lo avrebbero fatto uscire, quello era certo. Il pensiero del suo corpo inerme, sul pavimento, lasciato lì per giorni a marcire le fece salire un improvviso attacco di ridarella: non era così sicura che avrebbero trovato il suo cadavere, nessuno sarebbe mai venuta a cercarla e sicuramente i briganti non sarebbero usciti dalla loro strada per donarle una degna sepoltura. L'eroica fine della Principessa Roselia: morta dove aveva ucciso sua madre. Era più che giusto.
La sua incarceratrice, futura mano della sua morte, la guardò di sbieco. «Sai di cosa sto parlando, non fare finta di esserne all'oscuro... o di essere pazza.»
Rivolse una rapida occhiata al suo scagnozzo il quale non si era mosso di un millimetro e si trovava ancora alle sue spalle. «Vieni qua e continua da dove vi ho interrotti.»
«Sì, Grande Ixora» bofonchiò lui avvicinandosi, il capo chino, rivolto verso il pavimento di legno.
«Quindi non vuoi nemmeno sporcarti le mani? Lascerai fare tutto al tuo piccolo schiavato mentre tu te ne stai a guardare? Hai un aspetto da dura, ma a quanto pare sei tutto fumo e niente arrosto» disse Roselia, la nota ironica che finalmente si rifaceva strada nelle sue parole.
Le sopracciglia folte e scure della ragazza saettarono verso l'alto, formando due piccole arcate, gli occhi grigi le si erano spalancati. «Quindi è vero quello che dicevano, che non riesci mai a startene zitta. Sai, fino a qualche secondo fa pensavo che si stessero sbagliando, sembravi solamente una piccola bambina impaurita e, forse, se fossi stata obbediente e diligente, ti avrei lasciato vivere, magari senza un arto o due, ma comunque viva. Ora, se continui a parlarmi in questo modo e a non mostrarmi il rispetto che mi devi, manterrò la mia promessa di una morte veloce e indolore.»
La sua voce era seria, la sua faccia dura, la schiena dritta mentre parlava. Non stava scherzando, Roselia lo sapeva, ma allo stesso tempo non gliene importava nulla.
«Se mi uccidi prima che io ti porti a qualunque cosa tu stia cercando non ti sarò molto d'aiuto, non credi? Tante minacce e poco cervello, è questa la pecca di voi briganti. Mi chiedo proprio chi è stato a mandarvi qua e come facciate a parlare il limbato così bene.»
Prima non vi aveva fatto molto caso, scombussolata dalla situazione e dall'aspetto di quella ragazza, ma ora che la sentiva parlare sempre di più non poteva fare a meno di notare quanto la nelle sua voce non fosse presente alcuna forma d'accento, così come in quella del ragazzo. Probabilmente venivano dallo stesso luogo, anche se non capiva quale.
«Beh, ti farà piacere sapere che non sto parlando limbato, ma la mia lingua natia.»
Roselia provò a capire il significato di quelle parole, ma sembravano non avere alcun senso. Lei li stava capendo, loro capivano lei, ed era sicura di non star parlando nessun'altra lingua. La stava prendendo in giro, non c'era altra soluzione spiegabile.
«Ora,» continuò la ragazza, senza darle il tempo di trasformare i suoi pensieri in parole, «sbrigati a portarmi dove hai nascosto la Lacrima, non abbiamo molto tempo a disposizione.»

Of Venom and Thorns ~ SAPPHIC Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora