𝕽𝖔𝖘𝖊𝖑𝖎𝖆

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Ora doveva solo seguire il suo solito percorso, fino al nascondiglio della pietra. Qualche giorno prima aveva ponderato l'idea di spostarla da un'altra parte, più vicina alle sue di stanze, ma si auto-ringraziò silenziosamente per non averlo fatto.
La strada non era lunga, o almeno non tanto quanto i corridoi che aveva percorso fino a quel momento, forse perché la conosceva meglio di qualsiasi altro tragitto e la paura di perdersi era finalmente scomparsa.
Decise che, una volta recuperato l'oggetto, sarebbe tornata sui suoi passi, per cercare di tornare nell'intrico di tunnel e arrivare il più in fretta possibile alle stalle. Mentre stava cercando di arrivare lì aveva visto un arco nella pietra intagliato con fasci di erba tagliata che avrebbero dovuto condurla proprio dove Wren la stava aspettando.
Arrivata davanti al mobile di legno intarsiato si fermò. Una volta era appartenuto a sua madre, era stato un regalo di famiglia da parte della prozia, le aveva raccontato. Ora non apparteneva più a nessuno. Secondo la linea di discendenza, la proprietà era passata direttamente a lei, ma sua madre non glielo aveva mai affidato personalmente, quindi non lo sentiva come qualcosa dei suoi averi. Comunque questo non l'aveva fermata dallo usarlo per nascondere l'oggetto che tanto desiderava proteggere.
Aprì un cassetto e questo, con un sonoro click, aprì uno sportello sul muro: una parte della carta da parati si era aperta, cadendo verso di lei, mostrando una piccola chiave d'ottone. Ogni mese cambiava l'ordine di oggetti e di scompartimenti da trovare ed aprire, così che, anche se qualcuno la avesse osservata, avrebbe dovuto agire in fretta per non ritrovarsi con il nulla fra le mani. Quella scrivania era stata ideata proprio per quello: ogni suo più piccolo cassetto, ogni intaglio nel legno, ogni centimetro di parete e pavimento nei suoi dintorni, tutto era stato studiato per chi aveva bisogno di tenere un segreto. Qualche volta si era domandata cosa vi avevano nascosto i suoi antenati, cosa vi aveva riposto la sua prozia, ma soprattutto la sua mamma, ma quando lo aveva aperto per la prima volta non vi aveva trovato nulla dentro. Scoprire come funzionava era stato un processo lungo e faticoso, per fortuna accelerato dal fatto che da bambina amava seguire sua mamma ed osservare qualsiasi cosa facesse, incluso usare quello strano mobile.
Stava per prendere la chiave fra le sue dita, quando una voce alle sue spalle la interruppe bruscamente.
«Vi hanno lasciata da sola, Principessa? Mi aspettavo di trovarvi con una schiera di guardie al vostro fianco, non certamente in solitaria» disse la voce maschile.
Le sue spalle sussultarono, le sue dita si accartocciarono intorno all'aria. Non aveva idea di quello che sarebbe successo di lì a poco, ma era sicura che quella persona non fosse sua amica ed era felice di non avergli completamente rivelato la posizione della Lacrima. Se avesse parlato solamente pochi secondi dopo, la situazione sarebbe stata cento volte peggiore. Quindi trasse un profondo respiro, convinta che in qualche modo ce la avrebbe fatta.
«Sarete contento di scoprire che a mio padre non importa così tanto di me da dedicare un'intera squadra di uomini solamente per la mia incolumità» ridacchiò, girandosi verso il nuovo interlocutore.
Quella era ovviamente una bugia: suo padre le aveva assegnato una decina degli uomini migliori che si trovavano a palazzo per proteggerla durante le nozze, ma sembrava che nessuno di loro fosse stato abbastanza attento da notare la sparizione della Principessa che dovevano servire.
Chi si ritrovò davanti altro non era che il ragazzino che aveva ucciso la serva di Wren. Lo aveva visto solamente di sfuggita, ma lo riusciva a riconoscere, era lui, ne era completamente certa. Si domandò come avesse potuto arrivare fino a lì. Che l'avesse seguita nei tunnel? Perché non l'aveva attaccata prima? Cosa stava aspettando per agire?
Lui le rivolse un sorriso sornione. Aveva la sciarpa slegata intorno alle spalle, un semplice pezzo di stoffa che non gli ricopriva più nessuna parte del volto e lasciando libero anche il collo. Da vicino sembrava ancora più piccolo di quanto non avesse percepito prima, nel giardino.
Pensare che un ragazzino del genere avesse avuto il coraggio di uccidere una donna anziana, mentre un Principe lo implorava di fermarsi, le fece venire la pelle d'oca su tutte le braccia.
«Oh, ma non credo che a vostro padre importi così poco di voi come pensate. Ma non dovete preoccuparvene più di tanto: presto scopriremo quanto la tua mancanza sarà sentita dal sovrano di questo regno» la minacciò con occhi sgranati. Stava cercando di intimidirla, di farle pensare che presto la sua vita sarebbe giunta al termine e, ad essere del tutto onesti, Roselia non aveva dubbi a credergli: lo aveva visto tagliare la gola ad una donna, sicuramente poteva farlo una seconda volta.
Nonostante questo, cercò di non far trasparire la sua paura quando parlò: «La vostra insinuazione mi offende alquanto, credete davvero di potermi fare del male?»
La sua voce suonava sicura e altisonante, più di quanto avrebbe mai potuto sperare in quella situazione.
«Quella che voi credete sia una mera insinuazione è una promessa, mia Principessa. Farò in modo che non soffriate, non dovete preoccuparvene» disse, avvicinandosi a lei.
Si accorse in quel momento che le sue mani erano sempre restate nascoste dietro alla schiena, coprendo alla sua vista l'oggetto che teneva fra le mani.
In qualche modo si era liberato di quel piccolo coltello che aveva usato precedentemente come arma e aveva recuperato una lunga spada affilata di un metallo scuro, mai visto prima e sicuramente non utilizzato dalle guardie a palazzo.
Ora la teneva sguainata fra di loro, la distanza fra i loro corpi esattamente lunga quanto la lama. Poteva sentire la punta acuminata contro il suo ventre, ogni volta che espirava, lasciando fuoriuscire l'aria dai suoi polmoni, un lieve pizzicore le avvolgeva tutto il corpo. Si trattene, cercando di non essere avida di ossigeno, così da non rischiare di auto-infliggersi un qualsiasi tipo di ferita.
«Tu» sibilò, la rabbia ormai che le si accendeva in corpo. «Tu non sai cosa stai facendo, ti conviene smetterla e al più presto.»
Gli occhi di Roselia erano fissi nei suoi, due fessure sottili nel buio della stanza, e lui stava ricambiando quello sguardo con lo stesso ardore di lei. Roselia alzò il mento, guardandolo dall'alto al basso, anche se l'altezza del ragazzo era di molto superiore alla sua.
Lui le sorrise, alzando lievemente uno degli angoli della bocca in un ghigno che presagiva solamente terrore imminente. «So benissimo cosa sto facendo, anzi, non aspettavo altro che questo momento: avere uno di voi due fra le mie mani è proprio quello di cui ho bisogno.»
«Qualsiasi cosa tu pensi di noi, sono sicura che non sia altro che una bugia, non abbiamo mai fatto del male a nessuno quindi non c'è alcun motivo per cui tu debba provare rancore verso me e il Principe Dracyan.» Mentre parlava il nome di Wren le stava per scappare dalle labbra e dovette premerle forte per non lasciarlo uscire. Se avesse scoperto che il Principe Dracyan non era chi diceva di essere, la situazione sarebbe peggiorata ancora di più o sarebbe riuscita a salvarle la vita? In fondo, non era la Principessa Wrendolyn che erano venuti a cercare, ma non poteva essere sicura che per loro un fratello valesse l'altro. O che le avrebbe creduto, di principio. Dannazione, non sapeva nemmeno dove fosse Wren, o se stesse bene, o se qualcuno le avesse fatto del male. Si maledisse in silenzio, da sola, per aver lasciato il suo nascondiglio originale, in cui Wren le aveva chiesto di aspettarla. Se non avesse fatto di testa sua in questo momento sarebbero state insieme.
Il ragazzo ruotò la spada sul suo polso, lasciando che Roselia si rilassasse per qualche secondo, libera dalla pressione della lama, mentre lui si pavoneggiava davanti a lei. Aveva visto altre guardie sfoggiare quel trucchetto, ma nessuno le aveva mai spiegato come si facesse quindi ai suoi occhi si trattava di una vera e propria magia. Era come se l'elsa della spada fluttuasse intorno al braccio del ragazzo, senza toccarla, anche se sapeva che non era così, creando intricate ellissi intorno a lui. Sarebbe stato uno spettacolo intrigante se solamente non si fosse trovata in una situazione di vita o di morte.
«Io non penso nulla di voi, io so quello che siete. So chi è tuo padre, so che cosa ha fatto. So chi è tua madre, so che cosa ha rubato. So chi sei tu e chi è il Principe Dracyan, so quello che state nascondendo» pronunciò rinfoderando la spada. «E tu mi ci porterai, che ti piaccia o no.»
«Di che cosa stai parlando?»
Il bandito allungò una mano dietro la sua schiena, rivelando il coltello che gli aveva visto usare precedentemente, giù nel cortile, contro la cameriera di Wren.
La fece girare, storcendole un braccio all'indietro, così da poterlo tenere fermo, fra lei e lui, e le appoggiò la lama poco sotto l'ultima costola, premendola con grande pressione.
«Lo sai benissimo di che cosa stai parlando, non fare la finta tonta. Sei venuta qui a metterla in salvo, no?» le sussurrò alle orecchie. Un brivido le percorse tutor il corpo, dalle orecchie sino alle punte dei piedi, facendo mettere in allerta ogni nervo del suo corpo.
«Io-» balbettò. «Io davvero non so... Non so a cosa tu ti stia riferendo. Ero venuta qua su per mettermi al sicuro, per scappare a quella carneficina che tu e i tuoi compagni state mettendo in atto alla cerimonia.»
A quanto pareva, la sua abilità a dire bugie stava lentamente svanendo. O forse sapeva esattamente quello che stava cercando, più di quanto ne sapesse lei. O forse non le aveva mai creduto nessuno sin dal principio.
Se davvero conosceva quell'oggetto, avrebbe potuto usarlo per capirne qualcosa di più?
«Di dove sei? Il tuo accento non proviene da nessuno dei Tre Paesi, anzi, se proprio devo dire la mia sembra che tu non abbia alcun accento.» La frase le uscì senza che il suo cervello riuscisse a rielaborare i suoi pensieri. La sputò fuori senza nemmeno accorgersene.
All'inizio il ragazzo rimase in silenzio, come appreso da quella domanda a bruciapelo. Quando le rispose, non suonava più convinto come era stato fino a quel momento. Forse nemmeno lui era così bravo a mentire.
«Vengo dal Nord di Kaiste, avresti dovuto capirlo oramai. E la mia voce non ha alcun accento perché sono stato educato da un grande maestro della lingua limbata» buttò fuori. Quella non era la verità, però. Lo leggeva nei suoi occhi, ora non più sicuri su di lei, ma incerti, a guardarsi attorno come a poter trovare una risposta scritta sui muri.
«Se la mia vita avrà presto fine, non vedo quale motivo ci sia a mentirmi. Perché non mi racconti la verità?» chiese, la voce incrinata da una falsa preoccupazione. La sua voglia di porre domande indiscrete non la abbandonava mai, nemmeno quando avrebbe fatto meglio a tenere a freno quella lingua lunga che si ritrovava.
«Hai ragione,» acconsentì lui, «non avrai molto ancora da vivere, ma prima dovrai farmi trovare quello che ti ho chiesto, prima di allora non ti succederà nulla.»
«Quindi se me ne sto qua ferma non mi torcerai nemmeno un capello?» domandò senza poter nascondere la leggera vena ironica nelle sue parole.
Lui parve irritarsi un poco: il sopracciglio gli scattò verso l'alto, in un arco accentuato, le labbra si strinsero per qualche secondo in una morsa stretta, per poi tornare subito dopo alla loro forma originale.
La risposta non arrivò subito, ma quando lo fece non la deluse affatto. «Non sto dicendo quello, non capisci le mie parole, le stai travisando come ti pare a te. Solo perché sei una Principessa questo non vuol dire che hai sempre ragione.»
Nonostante quella frase la ferisse in una parte profonda di lei, allo stesso tempo alimentò una fiammella di speranza. Quel ragazzo non era un assassino provetto: aveva appena mietuto una vita, ma questo non lo rendeva il cattivo perfetto. Provava una grande rabbia verso di lei, per qualche motivo che ancora non riusciva a comprendere fino in fondo. Se solo fosse riuscita a dirottare quella rabbia in una direzione diversa, verso qualcosa che non fosse lei, se solo fosse riuscita a fargli perdere la concentrazione, a fargli perdere le staffe e a farlo distrarre dal suo scopo originale, forse le si sarebbe aperta una finestra di salvezza.
«Io sto solo interpretando le informazioni che mi stai dando seguendo una normale logica di pensiero, chiunque al mio posto, Principessa o meno, avrebbe fatto il mio stesso ragionamento, traendo le stesse ovvie conclusioni» replicò a sua volta, il tono cadenzato nella sua voce di chi sapeva benissimo di cosa stava parlando ed era pronto a fare una ramanzina a chiunque osasse remargli contro.
Il pugnale spinse più in profondità contro i suoi vestiti, provocandole una leggera fitta poco sopra la sua vita. Un urlo le uscì dalla bocca, subito soffocato dalla mano del suo aggressore. Le stava coprendo naso e bocca, riempiendole le narici di un odore acro e nauseabondo. Le fece venire un conato di vomito, che però dovette reprimere con tutte le sue forze.
Provò a dimenarsi, ma il ragazzo la alzò di peso, con il solo braccio libero dall'arma, e le sue gambe scalciarono per aria senza colpire niente di simile alla carne.
«Quando capirai che sto facendo sul serio e non è soltanto un gioco, stupida ragazzina?!» le urlò nell'orecchio.
I suoi occhi erano spalancati nel buio, ricolmi di paura e le guance le si arrossarono in cerca di ossigeno. Il panico si stava facendo strada in ogni sua più piccola fibra, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di farglielo notare. Quindi ricacciò indietro le lacrime che stavano minacciando di uscire dai suoi occhi, chiuse le palpebre per qualche secondo, cercando di fare chiarezza nei suoi pensieri, poi strinse i denti intorno alla carne del ragazzo.
Il morso non arrivò troppo in profondità, ma le diede comunque quei pochi attimi di effetto sorpresa che le servivano. Mentre lui era intento a imprecare e a guardarsi la mano leggermente intaccata dai suoi denti, lei gli sferrò un calcio all'indietro, mirando per le sue parti intime, ma arrivando solamente alla sua coscia. Meglio che niente.
Era finalmente libera, doveva solamente correre fuori da quella stanza e ritornare sui suoi passi, nascondendosi nei tunnel e raggiungendo gli altri, come avrebbe dovuto fare sin dall'inizio.
«Per la morte della Dea!» stava sbraitando il ragazzo, quando una terza figura apparve nel buio della stanza.
Non si erano mossi di molto da quando la colluttazione era iniziata, quindi si trovavano ancora a pochi passi dal mobile che nascondeva l'oggetto desiderato dal suo carceriere. Stava dando le spalle alla porta di ingresso, ma non le serviva guardare per capire di chi si trattasse.
La voce che aveva parlato non apparteneva a nessuno di sua conoscenza, ma sopratutto a nessuno dalla sua parte.
«Ulke, mi sembrava di averti già detto che i nostri ospiti oggi sono dei Reali e che il tuo linguaggio si deve adeguare di conseguenza,» aveva detto, chiaramente rivolgendosi al ragazzo.
Dopo i pochi secondi libertà dalle mani del ragazzo, le sue braccia furono costrette di nuovo in una presa stretta, questa ancora più salda della precedente. I palmi e le dita che la stavano toccando erano ricoperti da uno spesso strato di pelle, ma dalla loro dimensione non potevano che appartenere ad una ragazza.
«Ora, Principessa, porta a Ixora quello che vuole.»

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