17. ᴄʜᴇ ᴄᴏsᴀ ᴛɪ ʜᴀ ғᴀᴛᴛᴏ?

130 8 8
                                    

17, che cosa ti ha fatto?

"Sto piangendo perché ho bisogno di vivere"
Blanco

💥

"Ehy"

La sua voce lo investì rapidamente, la stessa voce che aveva sentito urlare contro la donna che più amava, la stessa voce che lo aveva sbeffeggiato più volte.

"Ciao papà" mormorò il verdino torturandosi le cuticole delle dita. Un po' di sangue gli sporcava le unghie, ma Izuku ignorò il bruciore non curandosene.

Era ancora in auto, la testa posata contro il finestrino, lo sterzo dinanzi a sé, il paesaggio scuro.

"Come stai?" chiese l'uomo da attraverso la cornetta, il tono serio, un po' ironico.
Ad Izuku venne quasi da sorridere; aveva ventuno anni, ma era la prima volta che suo padre gli poneva quella domanda.

"Oh..." sibilò Izuku, passandosi la mano ricoperta da sottili cicatrici tra i riccioli verdognoli, spostandoli all'indietro. In realtà, non sapeva neanche lui come stava. Bene? Non proprio. Male? Neanche.
Cosi cosi? Bah.

"Non lo so" confessò mordicchiandosi il labbro inferiore, già di per sé gonfio e rosso. Il nervosismo lo attanagliava da dentro, come una rete troppo stretta, avvinghiata ai suoi organi più importanti.

"Problemi col tuo ragazzo?" chiese il signor Midoriya, il tono incerto e quasi fragile nel tirare fuori quell'argomento.

Izuku sospirò.

"Si e no" ammise poggiando la fronte contro il volante. La pelle di cui era ricoperta l'auto era gelida, come le sue dita, nonostante fossero a Marzo.

"Posso farti una domanda?" esalò Izuku, dopo qualche secondo passato in silenzio, solo il rumore dei loro respiri a spezzare l'aria.

"Certo."

Izuku deglutì.
Sollevò lentamente la testa, portandola contro la spalliera del sedile.

"Tu mi volevi?"

Sapeva benissimo quanto quella domanda lo avrebbe reso stupido agli occhi di chiunque, suo padre compreso, ma aveva bisogno di sapere anche a costo di sembrare ridicolo.

Dovette aspettare per qualche secondo, in cui, il silenzio parve farsi più pesante, più opprimente. L'aria nell'auto si era fatta più rarefatta, più asciutta.

Izuku aprì il finestrino, lasciando circolare il vento gelido all'interno dell'abitacolo.

"Si" sentenziò l'uomo dall'altra parte della cornetta. L'omega restò interdetto, il fiato incrostato tra le labbra ancora schiuse, le parole strette in gola.

"Sia io che la mamm-, Inko, ti volevamo tanto, Izuku" gli spiegò, il timbro della voce basso, roco ma preciso ed impostato.
"Tua madre ti adorava quando sei nato e io anche" gli confessò improvvisamente, facendo nascere sulle labbra sottili di Izuku un sorrisetto gioioso.

Dal suo tono di voce Izuku intuì che anche suo padre stava probabilmente sorridendo.

Non lo aveva perdonato, non ancora, ma nessuno gli vietava di darsi una possibilità.
Perché, nonostante quello che quell'uomo gli aveva fatto, a lui e anche a sua madre, lui meritava di sapere com'era e come sarebbe potuto essere avere un padre presente e attento.
Meritava di sapere che l'amore non era solo quello che gli avevano insegnato loro due, tantomeno quello che aveva provato anni prima.
Ma ora...se ora avessero chiesto ad Izuku cos'era l'amore, lui avrebbe sorriso, lo sguardo spostato lungo il cielo mentre con gli occhi brillanti sussurrava che l'amore era tornare a casa e vedere Katsuki sul divano, fingendo di guardare il cellulare, quando in realtà sbirciava ciò che faceva Setoshi, seduto ai piedi del sofà.

You hurt me, BakudekuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora