Ottavo capitolo

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Adele's Pov

Dopo la festa dello scorso sabato da Cassandra, me ne andai a casa a piedi per non costringere Leila e Stefany ad abbandonare la serata. Sapevo che ora tutti quelli che avevano partecipato al gioco "rischia o bevi" volevano sapere cos'era successo in quella mezz'ora nel ripostiglio con Aron. Non che fosse successo qualcosa in particolare ma il semplice fatto che potessero spargersi false voci mi infastidiva. Corsi in camera mia, chiudendo la porta a chiave per non essere disturbata e mi sedetti comodamente sul puffo bianco sistemato a terra con una tazza di thè bollente tra le mani, pensando a cosa sarebbe successo se io ed aquila avessimo dovuto stare dieci minuti in più in quel maledetto rispostiglio. Dopo aver ripercorso vari film mentali sulla situazione che però trovavo veramente fuori luogo, dato che nutrivo un sincero sentimento di disprezzo, mi cadde l'occhio sulla scatola posta sotto la tv della mia stanza.

"Cose che abbiamo fatto insieme"

Nella scatola c'erano tutte le foto di tutte le cose che avevamo fatto io e mio padre. Dico avevamo perché mio padre era morto due anni fa, su un cantiere di lavoro, con una trave che cadendo da dieci metri di altezza aveva travolto dodici operai tra cui uno di loro era proprio mio padre. Con l'avvocato di famiglia avevamo fatto causa all'azienda che finanziava il progetto ma io ormai non ci sperava più in quella giustizia che era diventata statica.
Con il tribunale non andavamo né avanti, né indietro.
Nessuno era pronto ad assumersi la responsabilità per quello che era successo ed ora tutto aveva l'aspetto di un caso insabbiato.
Mi alzai dal puffo e presi la scatola, la aprii e tirai fuori la cartella delle foto, quelle che facemmo quando andammo a Brooklyn. La prima foto l'avevamo fatta proprio sul ponte di Brooklyn con lui che mangiava una ciambella e io che con la lingua cercavo di raccogliere la neve che scendeva. Riposi le foto dopo averne visto tre o al massimo quattro. Notai un disco con sopra scritto "pattini a rotelle", quel disco, il disco dove era impresso un video di quando papà mi insegnava ad usare i pattini a rotelle all'età di quattordici anni. Presi il disco tra le mie mani che quasi si rifiutavano e lo guardai, accesi il proiettore e lo inserii. Rividi mio padre che mi girava intorno con fare sarcastico e rividi anche la me bambina che impacciata cercava di mantenersi in equilibrio, rividi la gioia dentro i suoi occhi, risentii il calore delle sue mani che toccavano le mie, fredde per l'inverno. E percepii quel dolore che prese piede dentro di me, un fuoco che sembrava nutrirsi di quei ricordi ed alimentarsi fino a crescere in un disperato bisogno di rivedere quel viso scomparso due anni fa. Così mi addormentai sul letto, mentre stringevo a me il plaid di lana, ripercorrendo il viale della mia felice infanzia. Il sonno si portò con sé tutti i sentimenti.

"Ma chi li ha inventati questi strumenti di tortura?"

Fu questo il mio primo pensiero mentre mi svegliavo con il rumore strillante della sveglia che barcollava sul mio comodino. Presi il cellulare che tutta la notte aveva dormito con me sul letto e lo accesi per controllare le notifiche, abbassando la luminosità al minimo dato che la mattina non sopportavo nessuno e neanche luce del telefono.

"Devo ammettere che sono coerente con me stessa"

Aprii WhatsApp e c'erano ben cinquanta notifiche in sospeso ancora non lette, misi il cellulare nella tasca della felpa che avevo appena indossato e inserii il silenzioso con vibrazione. Scesi dal letto e misi le ciabatte, chiusi la finestra e andai in cucina per preparami, come ogni domenica, un giga pancake ripieno di cioccolato bianco alla vaniglia. La nonna questa domenica non sarebbe venuta a pranzo perché qualche giorno fa mi aveva detto che avrebbe passato la giornata all'orto botanico con delle sue vecchie conoscenze.

- Alla buon'ora ritardataria- disse mia sorella Emma

- Ma quando finirai di essere così impicciona- risposi

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