Rabbia e Coraggio

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< Principessa svegliati prima che la Harbot si accorga che stai sognando ad occhi aperti >
Grazie alla sua sconosciuta Misha ritornò col pensiero su Columbia smettettendo di ricordare la sua vecchia vita.
La stessa vita che le stava facendo venire le lacrime agli occhi e che, respinse, poco convinta.
Era da tanto tempo che non piangeva e, forse, ne aveva veramente bisogno.

< Continuiamo con questi strani composti? > chiese Misha ad un tratto mentre si girò a guardare Columbia.
< Certo > rispose l'altra sorridendo.

E anche questa volta passarono tre ore a ripetere e ripetere e ripetere ancora quella materia così spettacolare chiamata CHIMICA.
A fine giornata, le ragazze si divisero prendendo strade differenti per tornare a casa.
Misha però, questa volta, era sola; la sua sconosciuta, il suo subconscio, era scomparso lasciandole pensieri silenziosi.

Come il giorno precedente, quando tornò a casa, la zia, su tutte le furie, la mandò, senza cena, in camera sua a riflettere sulla sua diversità e sullo sbaglio che stava commettendo a farsi piacere una ragazza.

Per la prima volta Misha era furiosa.
Furiosa perché davvero non riusciva a capire i suoi sbagli; il perché nessuno era mai fiero di lei.
Così, anche se era in trappola in quella casa, conosceva un posto in cui tutti l'apprezzavano per quello che era, la sua mente.

< Principessa Misha è da un pó che manca dal castello, come mai tutta questa assenza? > chiese Alfred aprendole il grande portone di legno.
< Avevo molto da fare, mi dispiace > rispose la ragazza non molto allegra.

Anche se quel posto era il suo preferito, pensava che con l'amicizia di Columbia avrebbe vissuto molto di più nella realtà che nella fantasia.
< Mi fa piacere che è tornata. Ah, dimenticavo, c'è una ragazza per lei, l'aspetta nella biblioteca. >

-Ragazza? Quale ragazza?- pensò Misha mentre cautamente apriva la porta della biblioteca.
Era una delle stanze più grandi del palazzo o, forse, addirittura la più grande.
Era ottogonale e il soffitto si chiudeva a cupola.
Lungo le pareti vi erano grandi scaffali alti almeno tre metri con, poco più in alto, finestre che illuminavano la stanza e, al centro della cupola, una vetrata colorata che raffigurava una bellissima rosa.
Non c'era uno scaffale vuoto, anzi, oltre ad essere pienissimi con libri di tutti gli argomenti e tutte le dimensioni, alcuni erano disposti sul lungo tavolo al centro della stanza per il poco spazio.
Vicino a quello stesso tavolo la sconosciuta ne osservava alcuni che probabilmente le interessavano.
< Ciao > disse avvicinandosi.
< Hey principessa come stai? > chiese l'altra ragazza prendendo un libro e avvicinandosi alla sedia.
< Non molto bene, la zia era infuriata perché ho incontrato di nuovo Columbia oggi > rispose anche lei sedendosi.
< È una stupida tua zia e tutta la sua famiglia, com'è possibile che ti sono apparentati? Cioè conoscevo i tuoi genitori e il loro carattere e pensare che questi sono completamente diversi. > alle parole del suo subconscio Misha ripensò ai suoi genitori, quando era felice e quando poteva amare chi voleva.
Alcune lacrime le rigavano il viso anche se cercava di trattenerle il più possibile.
L'altra ragazza accorgendosene, si alzò e l'abbracció.
Misha pianse a lungo tra le braccia della sua immaginazione bagnandole tutto il vestito.

< Oh, mi scusi principessa non volevo disturbarla ma sua zia sta arrivando in camera e lei dovrebbe ritornare nella realtà > annunciò Alfred mentre varcava la soglia.
< Ma io .. > cercò di dire Misha asciugandosi le lacrime, ma fu subito bloccata dall'altra ragazza che le disse < Dai vai, noi due parleremo un'altra volta > poi tornò nella vita reale; nella stanza di quella casa che tanto odiava.
Era seduta sul letto aspettando che la zia arrivasse.
Passarono pochi minuti prima che aprì di scatto la porta chiudendola poi, alle sue spalle, rumorosamente.
< Tu, piccola ingrata, perché sei così? Non potevi essere una persona normale come tutti noi? No, tu no. Tua madre, quella cretina, voleva farti crescere libera, doveva capire che sbaglio stava facendo. Ti ha fatto diventare malata. Ringrazio Dio che è morta. > disse la signora Harrison urlando.
Ma di certo non si aspettava di vedere Misha alzarsi, e con tutto il coraggio e la rabbia che aveva in corpo, risponderle < Non azzardarti a parlare di mia madre in questo modo. Tu non devi neanche nominare quella donna. Era meglio di te in tutto quello che faceva, tu non sei niente in confronto. Ah, e quella realmente malata sei tu. > concluse emozionata perché finalmente si era liberata da tutta quella pressione che aveva in corpo.
La signora Harrison non era preparata ad una reazione del genere da parte della nipote, pensava, o sperava, della sua solita apatia, ma questa volta l'aveva sconvolta e forse più per paura che per convinzione, diede a Misha un forte schiaffo sulla guancia che la portò a girarsi dall'altro lato.
Misha però non pianse, trattenne qualsiasi emozione e aspettò che la zia uscisse dalla stanza prima di rigirarsi.
Le diede uno di quegli schiaffi da ricordare, era evidente il rossore sulla guancia e probabilmente le avrebbe fatto male anche il giorno dopo.

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< Pensi davvero che Alexis abbia il coraggio di dirmi di no? Evidentemente non mi conosci così bene. > disse Misha guardando l'amica.
< Penso semplicemente che Alexis non sia lesbica, tutto qui > rispose continuando a camminare tranquillamente al suo fianco.
Ma a Misha non le importava.
Neanche lei era lesbica, o almeno non del tutto; la ragazza si divertiva il più possibile.
Un giorno la trovavi fidanzata con il capitano della squadra di basket e il giorno successivo con una cheerleader.
Le piaceva godersi la vita e far inginocchiare tutti ai suoi piedi, o almeno quasi tutti.
Vidia era l'unica che riusciva a tenerle testa e che non era terrorizzata da lei; forse perché conoscendosi da tanto erano diventate come sorelle e si rispettavano a vicenda.
< Lesbica o no, lei è mia. >

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