La Vita Perfetta

163 8 3
                                    

Misha Coleman poteva essere considerata la ragazza fragile che annegava nel suo dolore; dentro di sé possedeva troppa sofferenza per una ragazza così giovane.

Dolore. Sofferenza. Impotenza.

·        Dolore: per la perdita dei suoi genitori; la morte dei suoi cari che l’avevano lasciata sola in quel mondo infernale.

·    Sofferenza: per la sua vita perduta in una notte; la sua felicità scomparsa e i suoi sogni bloccati in quel cassetto che nessuno aprirà mai.

·        Impotenza: per non poter migliorare la sua situazione; il suo vivere si era trasformato in sopravvivere.

Sopravvivere al mondo che lei odiava e che le faceva affrontare una situazione di questo tipo.

Una sopravvivenza forzata in una vita devastata.

La madre le ripeteva sempre: < La vita bisogna godersela anche se è la più disastrosa, anche se ci sono mille difficoltà da affrontare. Ricorda che è la tua e ti caratterizza. Non devi averne paura ma affrontarla e sconfiggerla. >

Una frase che la ragazzina si ripeteva sempre ma non riusciva mai a trovare la forza e il coraggio di andare contro la vita e migliorarla, ma rimaneva impassibile ed accondiscendeva ad ogni offesa posta dalla sua nuova famiglia solo per non peggiorare una situazione già tragica.

Misha Coleman; la stessa Misha Coleman che amava la vita e che tutti conoscevano e amavano, la stessa ragazza che veniva considerata perfetta con una famiglia così straordinaria che tutti invidiavano; ma era la stessa persona che gridava aiuto nel suo silenzio e che nessuno poteva più aiutare.

Un corpo vuoto padroneggiava sulla sua vita, un involucro che non voleva vivere; lo faceva solo perché doveva o forse perché non aveva il coraggio di spegnere la sua mente ed andare incontro ai suoi amati genitori; perché lei ha amato, ama e amerà sempre colore che le hanno dato la vita, una vita che odiava, una vita di cui avrebbe fatto a meno.

E come la tempesta prima della calma tutta la sua forza, la sua vitalità e la sua energia venne distrutta.

Quel sostegno cadde per aprire una porta sul mondo che per lei era sconosciuta e invocabile.

Ma quel mondo, il SUO mondo, creato con la SUA fantasia la rendeva libera e felice.

Era l’unico luogo in cui non soffriva per la perdita dei suoi cari; l’unico posto in cui non veniva considerata “una stupida ragazzina viziata”.

Lei non lo era; non lo era mai stata, ma a furia di sentirselo dire iniziava a crederci.

L’unica cosa che la rendeva felice si trovava nella sua mente perché quel mondo così meravigliosa e così magico non era reale.

Frutto della sua fantasia, frutto di una tragedia; quella era la sua calma dopo la tempesta.

Un castello. Una mitologia.

E così veniva risucchiata dalla realtà per apparire nel suo regno dove tutti erano buoni e gentili, dove tutti chiamano Principessa Misha”.

Poteva comandare e non essere comandata.

Poteva finalmente ritornare a sorridere e soprattutto poteva tornare a cantare.

Il suo canto melodioso che fece rinchiudere dopo l’incidente.

Era in grado di vivere per sempre in quel regno, nella sua mente, ma c’era sempre qualcosa che la riportava alla realtà, per il semplice motivo di vivere la tristezza che alloggiava in quegli occhi e l’espressione spaesata sul viso.

Qualcuno la chiamava alle sue spalle, come poco tempo prima la ragazza in nero apparve al suo fianco sorridendole.

< Perché scappi sempre? > chiese ad un tratto; ma Misha non scappava, lei non era mai scappata in vita sua e mai lo avrebbe fatto, semplicemente si allontanava da gente indesiderata o sconosciuta.

< Io non scappo > disse semplicemente la piccola Misha guardando Columbia.

< Strano, ma poco fa te ne sei andata all’improvviso mentre stavamo parlando, non è buona educazione sai? > disse la bionda sorridendo.

< Noi non stavamo parlando. Eri tu quella che mi faceva domande, di fatto eri tu quella che parlava >.

Columbia rimase sbalordita dalla sfacciataggine della ragazzina.

Una ragazzina che fino a poco tempo prima le aveva dato l’impressione di essere timida ed indifesa, la stessa impressione che le continuava a fare ma che non la rappresentava più.

< Sai Coleman, io semplicemente volevo esserti amica, darti una mano vedendo che la tua cuginetta se ne strafotte di te, ma forse non dovevo > disse Columbia.

< Forse > aggiunse Misha mentre Columbia continuò dicendo < Forse devo imparare a farmi i cavoli miei ed a non essere più così gentile con le nuove arrivate > detto ciò la ragazza bionda lasciò la ragazzina ne corridoio, come poco prima l’altra aveva fatto con lei.

Castle of GlassDove le storie prendono vita. Scoprilo ora