Capitolo 16- Stitch

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Ashley

Ho provato ad ammazzarmi.

La frase rimbomba nella mia testa come fosse messa in loop. Non è vero, sta mentendo. Ma non mentirebbe mai su una cosa del genere e soprattutto a te, continua ad urlarmi la mia coscienza che, a parer mio, si sopravvaluta troppo. La piccola parte interiore di me che ancora si crede essere importante per lui, pur sapendo che non lo è mai stata. Dalla mia bocca non esce parola, a malapena riesce ad entrarci il mio stesso fiato che vorrei mi abbandonasse ora stesso. Perché lui non ha avuto pietà nel mollarmi tempo fa, e non ha pietà nemmeno adesso sputandomi verità che mi fanno solo più male. Più male solo perché avrei voluto essere con lui, ma non potevo, perché ero occupata a curare il mio cuore mentre lui pensava alle sue ferite delle quali mi ha sempre tenuta all'oscuro.

«Niente andava bene, allora.» Nemmeno io andavo bene?

«E se un secondo prima pensavo alle persone che circondavo, a te, quello dopo mi sono ritrovato sul cornicione di un palazzo a chiedermi "E chi è che sta attorno a me?". Mi dispiace...» ha le lacrime agli occhi, parla tremolante mentre io cerco di trattenere i singhiozzi e lui li fa fuoriuscire senza timore perché si fida o perché niente più ha da perdere, il pensiero della sua stessa vita che va via per primo, e da lì non hai più paura di piangere, tremare o mostrarti vulnerabile. Credo tu voglia di nuovo avere quella bontà di vivere che non vuole avere, che voglio che lui abbia. «Poi però mi sono risposto da solo, parlando a me di te.» Parlando a me di te, come se avesse perso sé stesso. «...Che continuavi a riempire le mie giornate di espressione matematiche e sorrisi strappati. Me li sono goduti uno ad uno, ma non abbastanza, perché un attimo dopo tu mi disprezzavi.» Tu mi hai portata a disprezzarti! Se solo avessi cercato di aggiustare le cose...

«Non ci hai nemmeno provato.» il mio istinto di urlare squarcerebbe le pietre, però ho solo la forza di bisbigliare come i bambini quando giocano a nascondino per non farsi trovare. Proprio come facevamo noi...

*Flashback*

«100!» grida.

Trovo il nascondiglio ideale sotto gli spalti del campo da football dove lo vedo giocare tutti i pomeriggi. Potrei restare qua sotto fino a notte, visto che ho con me una coperta e dei marshmallow deliziosi. Però la mia mente corre troppo in fretta, perché vengo sorprendentemente sgamata.

«Trovata!» mi inalza in aria facendomi volteggiare mentre urlo per la sorpresa e rido per il suo senso di gioco sleale, perché ha sicuramente barato.

«Non pensi che a sedici anni l'era dei giochi sia finita?» mi chiede. Che stupido.

«Non si è mai troppo grandi per divertirsi, si diventa solo troppo vecchi per averne le forze, ma non la voglia.» E lo penso davvero, perché una volta goduta la vita di duro lavoro e di giochi, non ci resta altro che altra voglia di sorridere. E così passiamo la serata, a smangiucchiare dolciumi e scoppiare a ridere fino a quando non ci fanno male i volti.

***

«Non hai colto l'occasione che ti ho dato.» continuo. Ora sta zitto, non sa che dire perché sa che ho ragione io. Non prova a contraddirmi adesso, e non so perché ma ho la necessità che urli, che mi dica che sbaglio, che sono stata abbastanza prima. Che sono abbastanza ora. Stare in silenzio, questo è ciò che gli riesce meglio. E se prima adoravo il suo essere pacifico, ora odio infinitamente il fatto che non mi parli. «E ti prego, ti scongiuro. Dì qualcosa!» il mio tono disperato si può sentire, perché sono stanca di crogiolarmi nel dolore di quello che mi fa credere.

Behind the SilenceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora