5. Questa me la paghi

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Al terzo giorno di vacanza, finalmente mi decido ad andare a pranzare. Ho pianto fino a tardi e mi sono svegliata quando l'orario della colazione era ormai trascorso da un pezzo. Ho cancellato ogni traccia di pianto dal mio viso e mi sono preparata per riempire il mio povero stomaco. Giuro che non ti farò più aspettare così tanto.

Oggi fa molto caldo. Il programma migliore che la mia mente mi abbia suggerito è quello di gettarmi in piscina e dissimulare il mio pianto con gli schizzi che i bambini fastidiosi sono soliti fare. Di solito non li sopporto proprio, in questo momento mi sembrano quasi necessari.

Non so quanto tempo riuscirò a trattenermi, anzi, al solo pensiero sento gli occhi farsi lucidi, lo stomaco chiudersi e la voglia di tornare in cabina a deprimermi salire a livelli massimi.

"Sarà divertentissimo" "Non vedo l'ora" "Ci divertiremo insieme e porteremo avanti il bellissimo ricordo di questa avventura insieme". Quante cazzate.

Mi sento davvero una stupida perché forse vorrei tornare indietro a quei momenti, quando ancora pensavo di avere tutto sotto controllo e di stringere a piene mani le redini della mia vita. Rivivere per la prima volta le risate con la mia migliore amica, i pomeriggi con il mio ragazzo.

Una lacrima solca la mia guancia. Non faccio niente per nasconderla mentre continuo a camminare per i corridoi. Non è niente di cui io debba vergognarmi, non sono io la cattiva di questa storia.

Meglio fuori che dentro. Forse il pianto sarà utile per sfogarmi, forse più tempo soffro oggi, meno lo farò domani. Forse passerà presto, lo spero. Mi sento impotente. Non voglio essere triste, non mi va, loro due non lo meritano, io non me lo merito. Allo stesso tempo, però, non riesco a smettere di pensarci e rimanerci puntualmente male.

E la cosa peggiore è che, nonostante io ben sappia che l'errore sia stato di entrambi, io non so con chi avercela di più. Noah? Violet?

Forse sono io il problema.

<<Catherine>> qualcuno mi afferra dalle spalle facendomi spaventare. Mi giro e vedo Cole che mi sorride raggiante ma il suo sorriso si spegne quando si ferma un attimo ad osservare il mio viso invaso dalle lacrime. Si abbassa per arrivare alla mia altezza e si sfila gli occhiali da sole, forse per assicurarsi che abbia visto bene. <<Che ti è successo?>>

Smetto una volta per tutte di porre freni alla mia tristezza e lascio che gli stessi tremori e singhiozzi di ieri prendano il sopravvento. Odio farmi vedere così, soprattutto da persone che non mi conoscono: non mi piace che pensino che io sia una piagnucolona. Non voglio che qualcuno mi ritenga debole, perché poi c'è il rischio che mi etichettino tale, ma in questo momento non riesco a fermarmi.

<<Cole, lo so che non ci conosciamo>> cerco di parlare tra le lacrime. <<Ma in questo momento avrei proprio bisogno di un po' di affetto. Posso abbracciarti?>>.

Lui mi guarda leggermente preoccupato, poi annuisce e allarga le braccia. <<Vieni qui>> mi dice. A piccoli passi mi lascio circondare dai suoi arti e appoggio la testa sul suo petto alla ricerca di un po' di calore.

Lo so che non lo conosco, che non dovrei fidarmi di lui, come non dovrei dare confidenza a un qualsiasi sconosciuto, ma in questo momento non mi va di pensare. A nulla. Voglio solo spegnere il cervello e sperare che le ultime emozioni non si siano salvate. Un po' come quando il computer si blocca e lo spegni. Poi riaccendi e tutto funziona come prima. Esattamente così.

Con il passare del tempo, questo potrebbe peggiorare le condizioni del computer, o di una persona come me, ma noi umani siamo essere estremamente semplici e spesso preferiamo dimenticare le angosce e tardare il più possibile il momento della tristezza.

Under the same night sky Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora