Cαριƚσʅσ 8

108 10 1
                                    

Jisoo camminava lenta, con la testa rivolta verso il cielo grigio e i piedi che frusciavano tra le foglie d'autunno cadute a terra.
Il vento sembrava schiaffeggiarla e gelava le lacrime che le imperlavano il viso.
Era un corpo vagante, sconnesso dalla mente e da ciò che la circondava.
Si muoveva solo per non fermarsi, solo per non dover restare a pensare.
Il moto le consentiva di sentirsi in qualche modo ancora viva, mentre dentro voleva solo morire.
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso dall'attimo in cui le labbra del dottor Pyeong avevano pronunciato la sua condanna, ma si stava facendo buio mentre lei continuava a camminare, senza una meta, senza uno scopo.
Già, quale sarebbe stato d'ora in poi il suo scopo?
Che cosa l'avrebbe fatta alzare la mattina?
Quali sarebbero potuti essere i suoi progetti?
Queste erano il genere di domande che cercava di scacciare dalla mente, quelle che generava automaticamente come un veleno auto prodotto in grado di corroderla da dentro.
Non voleva pensare, non voleva parlare con nessuno, non voleva soffrire.

Aveva solo flash di ciò che era successo quella mattina, che la rincorrevano come spezzoni di un film horror.
Era rimasta impietrita, muta, incapace di ribattere o di ribaltare quella decisione finale.
Non era nel suo carattere implorare pietà, strisciare come un verme, cercando comprensione.
Si era alzata composta con tutta la dignità che le rimaneva, aveva lanciato un ultimo sguardo pieno di odio e risentimento verso Gong Yoo ed era uscita da quella stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Si era diretta in silenzio nel suo ufficio, percependo sussurri e brusii rivolti a lei.
Era rimasta muta anche di fronte a Daeji che le chiedeva cosa fosse successo, consapevole che nel
momento in cui avrebbe aperto bocca sarebbe scoppiata a piangere.
L'aveva zittita con un gesto della mano e aveva cominciato a raccogliere i suoi effetti personali e metterli in una busta.
Semplici oggetti raccolti in anni passati lì dentro, suppellettili a cui non aveva mai prestato grande attenzione ma che, in quel momento, sembravano riportarla indietro nel tempo, ognuno a un momento particolare della sua carriera.
Metterli via era stato faticoso.
Indossare il cappotto sotto gli occhi sgomenti di Daeji, era stato faticoso.
Guardare per l'ultima volta la sua postazione, conscia che il giorno dopo non sarebbe tornata, era stato faticoso.
Chiudere per sempre quel capitolo della sua vita era stato angosciante.

Una volta scesa in strada aveva preso aria a pieni polmoni, visto che fino a quel momento le era sembrato di rimanere in un' asfissiante apnea.
Si era diretta tremante verso la sua auto, sentendo sciogliere pian piano il gruppo alla gola, trattenuto fino a quel momento.
Un passo, una lacrima, qualche metro di distanza e un torrente in piena straripante dai suoi occhi.

In macchina, aveva cominciato a piangere disperatamente, senza più alcun freno. Aveva lasciato che il suo corpo venisse travolto e rapito da tutte le sensazioni angoscianti che sentiva in quel momento.
In quel mare di sgomento, la sensazione più brutta che aveva percepito, era quella di non poter essere consolata da nessuno: anche se non fosse stata sola in quell'auto, nessuna delle persone a lei più vicine avrebbe potuto fare qualcosa, alleggerire quel dolore, annullare la realtà dei fatti.
Nè sua madre, né sua nonna e neppure Taehyung.
Non poteva essere salvata.

Aveva singhiozzato fino allo sfinimento, fino a quando il suo corpo non era diventato altro che un manichino mosso dai sussulti.
Si era calmata solo quando aveva terminato le lacrime da versare.
Non aveva cognizione di quanto tempo avesse trascorso seduta al volante: un' ora? Due? O forse più?
Dopotutto cosa importava?
Visto che da quel giorno non avrebbe avuto più nessun motivo per rincorrere le giornate.
Poteva avere tutto il tempo del mondo, senza avere uno scopo per spenderlo.

E così si era lasciata trasportare dal suo tumulto interiore: era scesa dalla macchina e aveva cominciato a camminare.
Era libera finalmente, libera da quel lavoro che la stava opprimendo, dal tran tran quotidiano, dai doveri, dagli oneri.
Libera di vagare per le strade di Daegu con il viso rigato dalle lacrime, il mascara colato, i capelli arruffati, senza la minima idea di dove andare.
Aveva camminato per tutto il giorno nell'indifferenza generale: nessuno sembrava notare il suo stato d'animo, tutti troppo impegnati a barcamenarsi negli impegni e nel caos delle loro vite.
Nel tentativo di non pensare, Jisoo si era talmente estraniata dal mondo e da sé stessa, da prestare attenzione a particolari a cui non aveva mai fatto caso veramente: quanto potevano essere belli i colori dell'autunno?
Il giallo intenso delle foglie appassite che mostravano la loro vera bellezza nell'ultimo capitolo della loro vita, come un tentativo estremo di continuare a risplendere.
Tutto cambia, tutto muta, in un vortice continuo di inizi e finali.

𝑺𝒌𝒊𝒏𝒏𝒚 𝒍𝒐𝒗𝒆 (𝑺𝒆𝒒𝒖𝒆𝒍 𝒅𝒊 𝑨𝒏𝒐𝒕𝒉𝒆𝒓 𝒍𝒐𝒗𝒆) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora