25. One kiss

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Percy era agitato e ballava sul posto, ma Akihiro non era da meno.

Era sempre stato bravo a mascherare il suo nervosismo, soprattutto, quando aveva dovuto affrontare ogni singolo esame al college. Aveva avuto paura di deludere i suoi genitori, le loro aspettative, anche se loro erano sempre stati orgogliosi di lui, a prescindere dai suoi risultati accademici.

Spesso Okāsan si era infuriata con Akihiro, agitandosi, gesticolando ed urlando in un misto di giapponese ed inglese perché aveva voluto che il suo unico figlio, una volta tanto, avesse esternato le sue emozioni negative.

Ma Akihiro era sempre stato così: serio, meticoloso, a tratti noioso, uno dei pochi adolescenti che non aveva mai avuto alcuna intenzione di creare preoccupazioni inutili nei suoi genitori.

Crescendo non era poi cambiato così tanto.

In quel momento era lì, nella casa che lui stesso aveva regalato ai suoi genitori mettendosi un mutuo sulle spalle per ringraziarli di tutto, a chiamare i suddetti genitori per presentargli l'unico ragazzo che in trent'anni aveva voluto presentar loro.

Anche se, in realtà, quella cena era stata una vera e propria imboscata da parte di Kumiko Sasaki. Ma Akihiro avrebbe potuto essere più categorico con sua madre, negare quella cena perché la sua relazione con Percy era ancora acerba, eppure... eppure, non lo aveva fatto.

Perché? Perché in quella relazione acerba aveva iniziato, inaspettatamente, a crederci tanto.

Akihiro era assolutamente certo che Kumiko e Benjiro non avrebbero mai rifiutato la diversità di Percy, non avrebbero giudicato i suoi pantaloni viola o il trucco sul viso e la sua evidente e genuina esuberanza.

Non era nervoso di non ricevere la loro accettazione o il loro benestare, era nervoso perché quello era un incontro importante.

«Okāsan! Otōsan! Siamo a casa!», chiamò i suoi genitori mentre lui e Percy si levavano le scarpe all'entrata.

«Gesù Cristo, sto sudando», borbottò Percy, convinto che Akihiro non lo avesse sentito, mentre continuava quel suo strano balletto della pipì sul posto.

Kumiko fu la prima ad accoglierli, nella sua classica tenuta casalinga e trascinandosi dietro di sé un delizioso profumo di cibo.

Squadrò Percy dalla testa ai piedi; sulla fronte del suo ragazzo comparve un nuovo rivolo di sudore mentre il cuore di Akihiro gli stava urlando nelle orecchie di darsi una calmata, altrimenti, avrebbe rischiato un attacco cardiaco ad appena trent'anni.

Sua madre si avvicinò a Percy, dicendogli in giapponese: «Utsukushī ikimono».

Akihiro vide Percy sgranare gli occhi truccati, poi li spostò su Akihiro e gli chiese, allarmato: «Cosa ha detto?»

Kumiko gli regalò uno dei suoi classici sorrisi gentili prima di racchiudere tra le sue mani consumate il viso di Percy.

Akihiro si avvicinò a lui, più felice e meno ansioso, traducendogli ciò che gli aveva appena detto sua madre.

«Ti ha detto "bellissima creatura", Percy».

Gli occhi di Percy si fecero più grandi e più tondi. «Oh... beh, ecco... grazie, signora. Non me lo avevano mai detto», rispose, sorpreso, la voce esitante.

Akihiro lesse delle emozioni contrastanti negli occhi del suo ragazzo: era emozionato, ma allo stesso tempo malinconico.

Il chirurgo era certo che quella sua malinconia era scaturita dalla mancanza di un genitore che avesse mai approvato o, quantomeno, complimentato suo figlio.

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