7. Che schifo il lunedì

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Percy faceva parte di quel gruppo di persone che odiava a morte il lunedì mattina.

Odiava talmente tanto il lunedì, che decideva di iniziare a prendere impegni sempre dal martedì perché, soprattutto di lunedì mattina, il cervello di Percy non era molto produttivo.

Normalmente, aveva i suoi tempi di carburazione, per mettersi in moto; la mattina aveva i suoi tempi di reazione, doveva riprendersi piano piano, riflettere e mangiare i suoi Oreo alla vaniglia con tranquillità, bevendo lentamente, molto lentamente, una tisana Yogi Tea.

Era del tutto inutile anche parlare con Percy la mattina e, soprattutto, il lunedì mattina, perché era confuso più del solito e non sapeva ne quello che diceva ne quello che aveva davanti agli occhi gonfi e pesanti di sonno.

Il suo viso mostrava i segni di una lotta a sangue freddo con il cuscino, dimostrazione visiva che alzarsi dal letto era traumatico.

Ringraziava ogni lunedì quei due stacanovisti, militari mancati, di sua nonna Florence e di suo zio Tristan che, il primo odioso giorno della settimana, gli permettevano di attaccare a lavoro alle sette e non alle sei, dato che erano a conoscenza degli orari discutibili del Pepper Club, che lo portavano a rientrare a casa anche alle tre della mattina.

Percy aveva bisogno delle sue ore di sonno e quando le perdeva ci metteva tempo per recuperarle. Infatti, ogni lunedì, assumeva le sembianze di uno zombie strafatto di tisane.

Anche per questo odiava i lunedì, anche se precedevano la domenica, ed erano proprio le domeniche che lo portavano a far tardi la notte, perdendo preziose ore di sonno.

«Che schifo il lunedì», farfugliò, mettendosi in bocca l'ennesimo Oreo.

Aveva un ripiano della cucina stracolmo di confezioni formato famiglia di quelle prelibatezze e un'evidente dipendenza da quei biscotti.

Quando aveva iniziato a vivere da solo, la sua dipendenza dagli Oreo era aumentata perché quando era piccolo e viveva ancora con la sua famiglia formata da tante simpaticissime persone con una laurea in medicina e da sua madre, la quale non aveva una laurea in medicina ma in rompimenti di cazzo era sempre stata la prima della classe, non gli avevano permesso di mangiarli spesso.

«Sono pieni di conservanti e coloranti, Percival... Hai visto il valore dei grassi, Percival? Fanno male ai denti, Percival...»

Beh, da quanto aveva iniziato a vivere da solo si era mangiato tutti gli Oreo che non gli avevano permesso di mangiare da bambino, non era ingrassato e aveva ancora tutti i denti.

«'Fanculo», continuò a borbottare tra sé e sé mentre faceva colazione, fissando Akihiro che si era seduto davanti a lui.

Aveva una delle sue tazze da caffè dei My little pony, quella di Apple Jack per la precisione, stretta tra le mani affusolate e lo osservava, con le sopracciglia scure e sottili inarcate verso l'alto e gli occhi a mandorla pieni di confusione.

Percy, istintivamente, allungò una mano verso di lui e gli toccò uno zigomo con l'indice.

«Cosa stai facendo, Percival?»

Percy gli toccò anche l'altro zigomo. «Sto cercando di capire se sono rifatti. Sei un chirurgo plastico, per caso?»

Lo sguardo di Akihiro da confuso si trasformò in indignato, scacciò anche la mano di Percy con un colpo secco. «Sono laureato in chirurgia generale non in chirurgia plastica. E non ho gli zigomi rifatti», replicò, la voce seria più del solito.

Per un attimo a Percival venne in mente lo sguardo adirato che Akihiro gli aveva dedicato quando gli aveva sporcato la camicia con il costoso champagne di sua madre.

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