11. Cuore di zucchero

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«Tutto okay, Akihiro?»

Akihiro alzò il capo di scatto e puntò gli occhi allungati su Silas. «Sì, perché?»

Silas inarcò un sopracciglio castano, assumendo un'espressione facciale sia accigliata che perplessa. «Stai girando quel caffè da dieci minuti e lo fissi come se stessi cercando di leggerci il tuo futuro dentro».

Akihiro riabbassò gli occhi sul caffè annacquato che aveva tra le mani e fermò di colpo il bastoncino di legno che stava continuando a roteare all'interno del bicchiere. Ormai quella brodaglia doveva fare più schifo di quando era appena uscita dal distributore.

Serrò le mascelle e, molto probabilmente, i suoi occhi dovevano essersi allungati maggiormente, affilandosi e facendolo apparire come se fosse incavolato; in realtà, era solamente pensieroso e confuso.

Il giorno precedente aveva lasciato l'appartamento di Percival McCallister con i sentimenti messi a soqquadro da quello strambo ragazzo che ballava Katy Perry vestito da squalo e con la consapevolezza che, ormai, tra loro era nato un piccolo germoglio di relazione sentimentale.

E Akihiro, in cuor suo, aveva iniziato ad innaffiare quel piccolo germoglio, anche se non aveva il pollice verde, perché non voleva farlo seccare come tutte le piantine che sua madre aveva messo nel suo appartamento, ma a cui Akihiro aveva dimenticato sempre di dare l'acqua.

Dopo un anno di tentativi e dopo una decina di piante morte, Misako Sasaki, sua madre, aveva deciso di optare per le piante finte. Non necessitavano d'acqua, ma solo di essere spolverate di tanto in tanto.

«Mhmm,» mugugnò Silas, sospettoso.

Akihiro riguardò il suo collega ed amico. «Cosa c'è?» gli domandò, stupidamente.

«Non lo so, dimmelo tu», replicò Silas.

Akihiro si scolò il caffè annacquato, immaginando per un attimo che quella brodaglia marrone fosse stata un bel whisky, e buttò il bicchiere nel cestino accanto al distributore.

«Te lo dico, Silas, ma promettimi di non fare il saputello come sai fare tu e di non prendermi in giro», puntualizzò Akihiro prima di raccontare al suo collega ortopedico cosa lo stava tormentando.

Silas incrociò le braccia al petto e il tessuto verde del suo camice si stirò sui bicipiti. Silas era un evidente frequentatore di palestre mentre Akihiro per mantenersi in forma spesso saliva le scale del suo palazzo invece di prendere l'ascensore, oppure, quando si annoiava si metteva al correre sul tapis roulant che aveva regalato a sua madre per il suo compleanno qualche anno addietro.

Quello era il massimo dell'impegno che il chirurgo metteva per quanto riguardava l'attività fisica e doveva sentirsi anche di buon umore per praticare quel minimo indispensabile, giusto per non diventare mollo come un budino perché sapeva che la natura non sarebbe stata per sempre magnanima con il suo corpo, facendolo mantenere asciutto in eterno senza fare sforzi particolari.

«Guarda che tra i due quello che fa sempre il saputello della situazione sei tu. Io sono quello simpatico», rispose, puntandosi un pollice contro il petto, proprio vicino la sua immancabile spilla arcobaleno.

«Sei esasperante, Silas».

«Beh, sì, Anthony me lo dice spesso, ma mi sposerà comunque».

Akihiro scosse il capo, ma si ritrovò ad abbozzare un sorriso anche se si sentiva stanco e nervoso.

Ad accentuare il suo nervosismo erano stati anche i cinque caffè che aveva già bevuto ed era da poco passato solo mezzogiorno.

Quel giorno, alle sei della mattina, aveva ricevuto una chiamata di emergenza perché non c'erano altri chirurghi disponibili ad operare un anziano signore di sessantotto anni che aveva avuto la brillante idea di mettersi a raccogliere i limoni dal suo albero in giardino perché gli era venuta voglia di limonata fresca per iniziare la giornata. Solo che i suoi piani non erano andati a buon fine dato che la brillante idea era stata quella di salire su una sedia di plastica invece di prendere una scala, una gamba della sedia aveva ceduto sotto al peso del signore, che al momento si trovava in una camera di ospedale con un bel pezzo di ferro nel femore e a smaltire l'anestesia.

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