Capitolo 1

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Capitolo 1

Tutto quello che sento sono gli assalti di
apprensione e terrore al pensiero di essere
l'unico che è completamente diverso dagli altri.
È quasi impossibile per me conversare
con altre persone. Di cosa dovrei parlare?
come dovrei dirlo? Non lo so.
-lo squalificato

6 ottobre 2016

Nel bar l'aria puzzava d'alcol e fumo di ogni tipo, sigarette, erba, sigari.
Di sottofondo il tintinnio dei bicchieri di vetro che venivano lavati o riempiti di qualche super alcolico, la parlantina di quei uomini sposati -la maggior parte- o soli, ubriachi marci.
Il barista silenzioso dietro al bancone, mentre serviva i soliti ubriaconi di quartiere. Patetici. Avrebbe detto in passato dazai, entrando solo per infastidire un suo amico, nonché proprietario del pub in questione.

A passi lenti avanzava dentro quel bar che per anni lo accolse, le mani nelle tasche del suo largo cappotto beige, la testa leggermente bassa, sguardo pensieroso, si sedette al bancone richiamando l'attenzione del suo amico.
«hey kunikida-kun, come vanno le cose?» sorrise, il mento sulle mani intrecciate con i gomiti inchiodati al bancone.
«Come vuoi che vadano, solite cose. Tu? Non ti vedevo da un po', non sai quanto sono stato in pace senza un rompi palle come te.» Sospirò rassegnato, posando l'ultimo bicchiere ormai pulito.
In realtà, il biondo aveva passato quelle due settimane con il timore che dazai si fosse cacciato in qualche guaio o peggio, fosse riuscito finalmente a suicidarsi, come tanto voleva.
Non si era fatto vivo per due settimane, era raro che non andasse al bar nonostante non prendesse nulla di alcolico- difatti quando lo viste entrare sospirò sollevato senza farsi notare.

Dazai rise, rise tenendosi lo stomaco, persino delle lacrime a gli angoli degli occhi gli sfuggirono.
Kunikida era preoccupato, spariva per due settimane senza lasciare traccia, riappariva e rideva come se nulla fosse, certo, conoscendo una persona come dazai questo non era nulla in confronto, ma proprio perché lo conosce sa che c'è qualcosa che non va. Purtroppo il suo orgoglio gli impedì di telefonarlo in quei giorni che mancò, sapeva che dazai gli è lo avrebbe rinfacciato per il resto della sua esistenza, odiava quel pazzo suicida ma allo stesso tempo gli voleva bene come se fosse suo fratello.
«Allora, mi daresti un bicchiere di whisky?» sospirò, quella risata svanì per come era uscita.

Ed in quell'istante kunikida si rese conto di aver ragione, c'era qualcosa che non andava; dazai non beveva mai alcolici, o almeno non più, da anni.
Quella richiesta lo lasciò interdetto, sapeva che dazai aveva avuto problemi con l'alcol in passato e che quando riuscì ad uscirne non ne toccò più nemmeno uno, ovviamente anche grazie alle persone che lo circondavano.
Dazai non poteva bere, non doveva o sarebbe ricaduto in quel circolo vizioso, in quella dipendenza autolesionista.
Kunikida sapeva tanto di Dazai, ma allo stesso tempo non sapeva nulla.
Tutti lo conoscevano, ma allo stesso tempo nessuno lo conosceva.
Kunikida lo conosceva abbastanza da evitargli un dolore in più, c'erano già i suoi tentati suicidi, quelli bastavano e avanzavano. Ci mancava solo che ricadesse nell'alcol, se non ci fosse già ricaduto.

«Allora? Andiamo, non farmi aspettare troppo, giuro che ti pago.» Lo supplicò, sembrava come se non ci fosse nulla di male, come se fosse tutto normale.

Kunikida sperava che fosse lui a dare spiegazioni, ad aprirsi di sua volontà, come faceva sempre con tutto, ma a quanto pare non sarebbe stato così.
«Dazai» pronunciò il suo nome in modo serio, come a voler racchiudere tutto il discorso di una vita in quelle cinque lettere, in modo da far capire a dazai che doveva smetterla di fingere di fare come se nulla fosse.

Dazai sospirò, certo che lo sapeva, sapeva che Kunikida si sarebbe fatto mille pensieri, mille dubbi, paranoie, ansie, lui era fatto così con tutti; non lo esprimeva a parole, troppo orgoglioso per farsi vedere fuori dalla sua ordinaria e perfezione quotidiana, sapeva anche che sparendo per due settimane lo avrebbe fatto preoccupare.
Tuttavia, lui sapeva poco di Dazai, quello che sapevano tutti, quello che era la sua vita pubblica; nessuno conosceva ciò che aveva dentro, non poteva lasciarlo sfuggire a gli occhi indiscreti delle persone, esse gli facevano timore e allo stesso tempo pena.
Non poteva rivelare al suo amico che fosse ricaduto in quel suo brutto vizio del passato. Patetici, ve?
Il lui del passato li definiva patetici quei vecchi ubriaconi, questo perché anch'egli sapeva di esserlo, perché si buttava all'alcol per sfuggire da una realtà di cui non voleva farne parte, ed ora sentiva di essere ritornato nel passato, in quel passato; fatto di dipendenze, alcol, violenze, abbandoni, omicidi. Quindi la domanda gli si sporgeva spontanea: ma lui, era mai davvero cambiato? Andato avanti? No, era rimasto sempre lì, fermo.

Veleno e antidoto -soukokuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora