La corruzione di Númenor

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Sul finire della Seconda Era della Terra di Mezzo grande era diventata la potenza dei Númenóreani, fondatori di un impero quale mai fino a quel momento si era visto: grandi forzieri ricolmi di oro e pietre preziose, tra le più belle di Endor, riportavano in patria i possenti vascelli della flotta dei Re degli Uomini.

Cresceva la gloria dei mortali, e altresì il malcontento e l'invidia, ché mai i Númenóreani erano sazi dei tributi che gli Edain della Terra di Mezzo inviavano loro e sempre desideravano l'immortalità degli Elfi, al punto che disdegnavano le loro pur lunghe vite, ritenendole indegne e misere. Agenti di Sauron erano fra loro in quella epoca, ché anche questa era opera sua, ed egli si deliziava ascoltando, chiuso nella sua torre a Mordor, quali frutti avevano fatto germogliare i suoi semi avvizziti. Oscuri erano in quei giorni i pensieri dei Númenóreani, ed ecco, essi non volsero più i loro chiari occhi alle limpide acque a levante, lì ove aveva sede Anor, ma presero a desiderare ardentemente le cerulee acque di Tol Eressëa e delle Terre Imperiture, sede dei Valar.

Messaggeri furono inviati da Aman per placare la follia degli Uomini, ma a nulla valsero la saggezza e la prudenza.

"Quale diritto hanno i Priminati per custodire sì gelosamente l'ingresso alle Terre Imperiture? Perché le Potenze di Arda hanno permesso che i nostri destini fossero mortali? Come bestie trascorreremo dunque le nostre vite, fin quando il presente non sarà più, e il passato e il futuro saranno ricolmi del fetore della morte? Se la nostra esistenza supera in durata quella degli Uomini dell'Oriente, dobbiamo forse ritenere che essa sia un dono? Dovremmo forse rallegrarci di trascorrere gran parte della nostra vita elevandoci per forza e possanza, per poi doverle cedere di colpo?

Come un vascello che trascorre lunghi inverni, sfidando le impietose acque dell'oceano, per poi arenarsi e affondare triste quando le gomene sono strappate e le vele lacere, così la nostra vita si consuma e infine declina. Ahinoi! Tale è dunque il nostro destino che sarebbe di gran lunga preferibile non godere affatto del dolce ed effimero tepore della vita, piuttosto che doverlo soffocare nel freddo abbraccio della morte".

Simili parole gli Uomini levarono irati verso i Valar, senza mai aver tuttavia la pazzia o la sfrontatezza di invadere le beate terre di Aman.

Per lunghi secoli essi rovesciarono il loro odio sulle popolazioni della Terra di Mezzo; tale fu dunque l'inizio della guerra tra Númenor e le genti del meridione e del levante di Endor, sì rovinosa che mai altra sventura portò conseguenze tanto amare per la stirpe degli Uomini. Molti furono i vascelli che gettarono le loro pesanti ancore, colmi di saccheggiatori ingordi e arroganti, nelle verdi baie della Terra di Mezzo; i Númenóreani conoscevano bene quelle acque, ché all'epoca della prima guerra contro Sauron, quando i loro cuori non erano ancor volti all'oscurità, avevano sollevato dalla miseria gli sfortunati e infelici abitanti, sbaragliando le armate dell'Oscuro Signore. Ora invece giungevano da padroni, bruciando villaggi e razziando tutto quello che le loro turpi mani riuscivano ad arraffare; alto, allora, si levò il grido di agonia e di dolore dalle sponde di Endor e il rosso sangue macchiò le foreste che mai mano umana aveva osato deturpare.

Non tutti i Númenóreani, però, intrapresero la strada senza ritorno della follia; i Fedeli furono chiamati costoro, ché continuavano a onorare i Valar, mantenendo in vigore l'antica alleanza e amicizia sia con gli Eldar sia con i liberi popoli mortali. A quell'epoca il più coraggioso e saggio tra loro aveva nome Erfëa Morluin, figlio di Gilnar, della casata degli Hyarrostar, acerrimo nemico di Sauron e dei suoi servi. Numerose imprese il prode Númenóreano compì e grande fu la fama che raggiunse in quelli oscuri e perigliosi anni, quando le armate di Mordor dominavano la Terra di Mezzo e i lupi selvaggi scendevano dai monti del Nord in cerca di prede. Molti viaggi intraprese Erfëa, sia per mare che per terra, e a lungo visitò i boschi e le valli di Endor, subendone il fascino e ammirandone l'antica maestà e bellezza, sì che il suo cuore sempre desiderò riposare in quei luoghi ameni, e ivi attese il dono di Eru, quando giunse l'ora. A lungo i bardi narrarono delle gesta che Erfëa e i suoi compagni compirono in numerose occasioni; tuttavia questo racconto non tratta di quelli eventi, ma di un periodo precedente, prima che il Signore degli Stregoni cadesse innanzi al cancello di Edhellond e Erfëa visitasse la fortezza di Umbar.

Sul finire di quell'anno nuovamente si era accresciuto il potere dei Númenóreani Neri, ed essi ormai dominavano sia in Senato che nel Consiglio dello Scettro, allora preseduto da Tar-Palantir, che ben si avvide della loro grande influenza sul popolo; non era tuttavia lieto di quanto accadeva, ché i suoi pensieri andavano alla casata della madre, nota ai Fedeli per il suo carattere indomito e fiero.


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