Un triste presagio

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Molti idiomi furono in quella sera uditi ad Armenelos, frammisti a risa e canti: argomenti lieti e meno lieti furono trattati, mentre le stelle sbocciavano a occidente, diamanti su una tela oscura. Al culmine della notte, infine, si diede inizio alle danze, dopo che i bardi ebbero a lungo cantato le gesta della casa dei sovrani di Númenor, fin da quando Elros Tar- Minyatur fece il suo ingresso nell'Isola del Dono; i signori invitarono le dame a danzare nel grande parco che si estendeva dal colle fino al mare, mentre abili musicisti e menestrelli deliziavano i presenti con ballate d'occasione.


Erfëa Morluin osservava quanto accadeva, con lo sguardo perso nel ricordo di eventi passati; tuttavia ratto si voltò, quando un lieve tocco lo distrasse dalla sua meditazione. Miriel lo guardava, silenziosa, senza proferire parola alcuna; fattogli poi un rapido cenno lo invitò a seguirla in una radura poco distante dal luogo in cui si svolgevano le danze. A lungo la principessa osservò Erfëa, poi lentamente prese la parola:


"Salute a te, principe della casa degli Hyarrostar! Fresca è la notte e ancor lungi dal terminare sono i festeggiamenti! Tale è la ricorrenza, per cui ogni ospite mi deve un dono, un dono che sia a me gradito. Non ho forse ragione nel ritenere che voi abbiate obliato questo dovere?".


"Mia signora – così le si rivolse Erfëa – veritiere sono le vostre parole e non sarò io a negarle. Tuttavia, verrei meno alla mia dignità, se non vi facessi notare che è facoltà degli ospiti ritenere se esista gioiello tale che la sua luce possa adombrare il vostro sembiante".


Cristallino risuonò nella notte il riso della principessa, mentre rispondeva al suo interlocutore: "Ben mi avvedo di quanto la vostra lingua non sia meno pronta della vostra spada! Devo forse interpretare il vostro gesto come un complimento? E se così fosse, davvero vi aspettate che io lo gradisca?". Sorridendo, Erfëa le si inchinò: "Una domanda pericolosa, la vostra, mia signora, alla quale non offrirò riposta. Tuttavia, per porre ammenda alla mia dimenticanza, vi porgerò la possibilità di rivolgermi una seconda domanda, alla quale non esiterò a rispondere".

A lungo dovette attendere Erfëa, ché molto Miriel meditò; infine, quando fu certa di quello che le premeva sapere, così formulò il quesito: "Conoscete forse le parole che pronunzierà mio padre dinanzi al Consiglio dello Scettro?".


Tosto il viso di Erfëa si rabbuiò, sebbene la su voce non mostrasse esitazione alcuna: "La vostra domanda è legittima ma superflua. Questo io posso rivelarvi: è destino che le nostre strade si incontrino nuovamente, tuttavia, quando questo accadrà, avremo assunto ruoli diversi, sebbene i nostri animi non saranno mutati".


Miriel lo ascoltò attentamente, infine parlò a voce bassa, quasi temendo di essere ascoltata da altri che non fosse il suo interlocutore: "Quanto amarezza nel constatare che il mio destino altri hanno forgiato! Come lo schiavo legato ai ceppi, così io ho atteso questo giorno, con timore, ché ben sapevo quali catene avrebbero soffocato, lentamente, la mia esistenza. Voi – gemette – voi davvero credete che io ignori quale decisione Tar-Palantir prenderà quando sarà giunta l'ora? Se io non sapessi – concluse infine – almeno potrei vivere nell'illusione della speranza, ma anche tale privilegio mi è stato privato molti anni or sono". Tacque qualche istante finché Erfëa non le ebbe baciato la mano: allora alzò lo sguardo e scorse tra le lacrime il viso del principe degli Hyarrostar. "Non confondete la speranza con l'illusione, la realtà con la finzione! A voi dico che quest'oggi dovete temere massimamente la paura degli Uomini. Altro non mi è permesso dire".


Tali furono le parole che pronunciò Erfëa Morluin, ed esse furono le ultime quella sera, ché egli mai più fu visto dai commensali.



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