Una missione rischiosa

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Soddisfatto della sua orazione, il volto coperto da una maschera dorata, il Nazgul sedette, nell'attesa che il sovrano prendesse la parola. Ed ecco, così rispose il re di Numenor: "Secondogeniti, ascoltate le parole del re! Da un lato il dubbio, dall'altro il timore: quale sarà la mia scelta? Mi preme rispondere, ché invero il tempo fugge via e l'ora è grave. Onora il saggio ed educa il giovane; queste sono state le leggi tramandateci dai nostri avi, pervenuteci ancor prima che l'Isola del Dono fosse sollevata dalle acque. Tali sono le leggi del nostro popolo, e io intendo onorarle, col metterle in pratica: sia dunque educato il giovane Erfea, che gli sia concesso, se questo è il suo desiderio, di affrontare il drago. Dimostrerà allora il suo valore e la sua saggezza. Non è forse vero che nei tempi remoti agli uomini erano imposte delle prove per verificare la loro forza e il loro coraggio? Sia questa dunque la prima tra le tante prove che il giovane Erfea dovrà affrontare, perché il mio cuore dice che non sarà l'ultima e il suo destino giace lontano dal mare, pur essendo a lui legato".

Questo fu il discorso del re; e coloro che gli erano vicini credettero di vedere un'ombra sostargli accanto per un attimo, prima di allontanarsi e infine scomparire tra le brume della sera. Uno ad uno i presenti abbandonarono il salone, mentre fuori il brusio della folla cresceva in intensità, man mano che la paura e il panico aumentavano la loro presa sugli animi degli uomini. Ultimo ad alzarsi fu Akhorahil, il quale si avvicinò silenzioso ad Erfea, pronunciando parole beffarde: "Con quali ali andrai incontro alla sorte che ti attende, Erfea Hyarrostar? Saranno spoglie e orribili a vedersi, come gli alberi della Terra di Mezzo durante la stagione invernale. Sappi che un solo potere è in grado di placare l'ira dell'orribile drago, ma non risiede nella tua stolta mente, né nelle tue impacciate mani. Va dunque e soddisfa pure la tua follia!" Rise allora, un suono sgradevole a sentirsi; tuttavia Erfea ribatté: "Forse è come dici tu: tuttavia preferisco che i freddi denti del drago trafiggano la mia carne, lasciando così questo mondo, piuttosto che terminare i miei giorni tra gli ozi e i piaceri lussuriosi ai quali ti abbandoni quotidianamente, Akhorahil".

Il Nazgul non rispose, ma si limitò ad osservarlo con il suo sguardo velenoso, finché Erfea non si fu allontanato; gioì allora nel profondo del suo cuore avvizzito, certo di aver assolto il suo dovere. Il Numenoreano nero era ben conscio del fatto che non esistesse alcun guerriero o mago in grado di vincere Morluin; tale pensiero gli procurava grande soddisfazione ed egli si ritirò nelle sue stanze, seguito dalla moltitudine dei suoi servi e soldati.

Rapida si diffuse nell'isola la notizia che Erfea avrebbe affrontato il Grande Verme; la gente accorreva dalle campagne e dai porti per mirare il folle che avrebbe affrontato Morluin, quando molte voci si levarono dalle navi, angosciose, trasformando l'entusiasmo dilagante in terrore: "Fuggite, fuggite, il Grande Drago è qui!" Il panico si impadronì allora degli spettatori, che corsero a rifugiarsi all'interno degli edifici del porto, fino a che tutte le banchine non rimasero deserte. Il cielo si incupì, lentamente le tenebre strisciarono da Occidente e l'ultima luce si spense tra i ruggiti del mare tempestoso: la notte si approssimava, tuttavia Morluin non si contorceva più nella sua furia, ma attendeva, osservando i volti dei Numenoreani nascosti, deridendone la paura, schiacciandone le menti con il suo odio feroce.

La notte avanzava, ma Erfea ancora indugiava nei pressi del porto, invisibile agli occhi dei presenti; sentì le sue membra tendersi verso lo sforzo finale, mentre con le rapide dita si allacciava l'armatura di suo padre Gilnar.

Una pallida luna si levò all'orizzonte, mentre l'ira del mare non accennava a placarsi, ruggendo contro le navi e i porti di Numenor, sferzando i legni con la fresca spuma dell'Oceano.

Giunto infine alle rive del crudele mare, Erfea levò una preghiera a Manwe: "O signore dei cieli, delle aquile e dei venti tempestosi! Ascolta le mie invocazioni, affinché in questo frangente la tua forza sia la mia, il tuo coraggio il mio, e la tua lama la mia: rapida si appresta l'ora della pugna, e lontano dalle soglie di casa mi strappa rapace la morte traditrice dagli occhi funesti e dalle ali nere. A te, che conosci il destino di ogni uomo, affido questa supplica, affinché il mio fato non si compia tra il mare e la città in questa oscura notte. Tuttavia, se tale deve essere la conclusione del mio viaggio, per cui più avrò la possibilità di rivedere la bianca spuma di Osse e ascoltare il canto lamentoso dei gabbiani, ebbene fa che il disonore non colga il mio corpo e la mia isola".





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