Elwen di Edhellond

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"In quale regione mi trovi, non saprei dire; tuttavia, se il volere di Ossë protegge il mio cammino, e se egli ha voluto che mi salvassi da morte certa, devo dunque credere che questa terra sia abitata da un popolo pacifico e industrioso". Il suo presentimento, come avrebbero testimoniato le abitazioni situate di là della riva, era giusto, ché egli era giunto nella regione dove sorgeva Edhellond, il bianco porto elfico. Molteplici sono i canti che parlano del suo argenteo cancello e delle mura intarsiate di marmo bianco e rosato. Ivi avevano dimora alcuni di quei Priminati che, al principio della Prima Era, avevano abbandonato le Terre Imperiture: fra loro vi erano Galadriel e Celeborn, che spesso si soffermavano in quelle aule per lunghi periodi. Tuttavia il signore dei porti non era né l'una, né l'altro, ma un Noldor membro della famiglia di Fingolfin, il quale aveva osato sfidare Melkor nella sua fortezza di Angband, perdendo poi la vita a causa delle ferite da questi inflittegli. Le storie narrano che tale principe avesse nome Morwin, e di lui si dice che fosse simile al suo avo Fëanor, per ingegno e per aspetto: pregevoli infatti erano le sue opere artistiche e si narra che, con la stessa forza con la quale batteva il ferro rovente nella sua fucina, abbattesse i campioni di Sauron o dei suoi servitori. Tuttavia, grande era anche il suo orgoglio e la sua possanza; ché egli, seppur a torto, credeva di dover vendicare l'avo da lungi scomparso, per potersi ergere simile a lui, come un eroe tra i capitani: ma codardo era il suo cuore e torbidi i sentimenti che da esso scaturivano, soprattutto verso la stirpe dei mortali, da lui ritenuti causa di ogni male. Morwin, infatti, era solito ripetere agli altri della sua famiglia quanto fosse dannosa la stirpe dei Secondogeniti: "Forse che nessuno di voi non ricordi la strage della Nirnaeth Arnoediad, in cui i nostri avi perirono a causa del tradimento di quella indegna specie? Forse che adesso Fingon non sarebbe qui, se la guerra fosse stata condotta solo da noi Eldar?". Simili pensieri egli diffondeva, e mai l'odio per i mortali scemò, ma simile a una terribile peste, si allargò e ne consumò l'animo, fino a renderlo impotente davanti al male, che in quel tempo si alzò in numerose contrade. In quella medesima città, molti erano i figli degli Eldar e alto il loro lignaggio, tale che poche erano le unioni con membri di stirpe diversa dalla loro.

Vi fu tuttavia un Uomo, marinaio di Pelargir, che invaghitosi di un'Elfa di quella contrada, la rapì e con lei concepì una figlia; la piccola fu chiamata Elwen, perché sembrava che nei suoi occhi si specchiassero tutte le luci del creato: "Sacra a Elbereth sarà questa nostra figlia – fece notare la madre rivolta a quanti le stavano vicino – ma un'ombra le aduggia il capo, ché tuttavia la sua parte mortale ne risentirà quando il momento della scelta verrà, inevitabile e terribile". Gravi furono le sue parole, e ancor più triste fu il suo destino, ché mai profezia si rivelò così veritiera. Qualche tempo dopo, la giovane Elwen ritornò in quella che era stata la città della madre: grande davvero le parve, abituata come era alle abitazioni dei Númenóreani, di sicuro ben più modeste. Una sera, però, rossa in volto, e con gli occhi illuminati da una luce, quale mai si era vista in quelle contrade, Elwen si presentò alla madre: "Sono angosciata da un dubbio; mi chiedo, infatti se per me sia salutare frequentare la compagnia dei nobili Eldar. Troppo piccola, infatti, mi pare la loro reggia maestosa, ché le vaste distese del mare il mio cuore ambisce". Scura in volto divenne la madre, che le rispose in tali termini: "Figlia, invero possente è la stirpe degli Eldar e grande il suo potere. Tu però porti nelle vene il sangue di tuo padre, mortale come i pastori che sulle colline conducono i loro armenti, sebbene di diversa stirpe". E così le raccontò la sua origine, la morte del padre e quanto sapeva sul popolo dei Númenóreani. Allora grande si fece in Elwen il desiderio del mare, delle sue candide spume e triste rivolse lo sguardo al porto dorato, quasi che le fosse possibile, al di là del muro d'acqua, intravedere le verdi coste di Númenor e oltre i confini mortali, la beata Aman. La madre, pur notando la malinconia impressa sul volto della figlia, parole non aggiunse; ma da quel giorno ben poco si fece vedere, convinta che il tempo della sua partenza fosse giunto: "Il mare attende anche me" era solita sussurrare nelle lunghe ore della notte, quando allontanato da sé il sonno, trascorreva la veglia mormorando dolci nenie, immersa in malinconici pensieri. E infine giunse l'ora in cui ella si allontanò e mai più fu vista da occhi mortali.

Tutto questo accadeva qualche tempo prima dell'arrivo di Erfëa, e mai in Elwen si estinse il desiderio del bianco mare, nemmeno quando i tempi mutarono e le coste furono stravolte da immensi terremoti. Tuttavia, in un primo momento, tale desiderio fu soffocato dal suo cuore, ché non riteneva fosse giunto il momento di allontanarsi dalle città di Endor, e molte erano le bellezze che ancora non conosceva; inoltre ambiva alla potenza degli avi di sua madre, sembrandole la massima vetta del potere. Tali erano dunque i suoi pensieri quando in quelle contrade il nome di Erfëa Morluin iniziò a diffondersi, facendo germogliare nel suo animo una fanciullesca curiosità. Non era egli forse un Uomo del mare proveniente dalle gloriose città di Elenna? Grande invero era la sua curiosità, ma ancora più profondo in lei era radicato il desiderio della gloria, e un mortale, seppur Númenóreano, ben poca cosa le pareva rispetto ai visi gravi e saggi degli Eldar di Edhellond. E sì maestoso le sembrava il portamento di Morwin, sire del suo popolo; spesso trascorreva le sere dialogando o passeggiando con lui lungo gli antichi giardini della sua reggia. Lo stesso Morwin, che pure non era avvezzo alla compagnia di stirpi che fossero, anche in parte, differenti dalla sua, iniziò a trarre piacere da quelle visite; dapprima in modo lieve, e poi sempre in maniera crescente, il suo cuore si volse a Elwen, senza tuttavia mai rivelarle alcunché dei suoi propositi. Nulla la Mezzelfa presagiva dei suoi intenti, ché ancora erano latenti in lei le facoltà del popolo paterno, essendo lontana dalla maggior età.



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