Una spada per Erfea

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Erfëa non rispose e, voltatosi, si incamminò ove ricordava di aver subito l'assalto del servo di Morgoth; trovata l'immonda bestia, si appropriò della sua nera pelle. Dopo alcuni giorni di cammino giunse finalmente alla dimora di Gil-Galad. Lieti furono i Priminati allorché lo scorsero; timoroso in volto, il principe di Númenor si inchinò dinanzi al sovrano degli Eldar e gli donò quanto la sua caccia aveva procurato. Sorrise, allora, Gil-Galad, ché il cuore del suo ospite aveva allontanato l'ombra che ne incupiva l'animo, mostrandosi pentito.

A lungo il figlio di Gilnar parlò dinanzi al suo sovrano di quanto i suoi occhi avevano scorto nelle remote selve che si estendevano nelle contrade al di là delle montagne. Nel suo sguardo vi erano ancora meraviglia e stupore, ché mai avrebbe obliato l'anziano e gaio Messere della foresta e la sua graziosa dama del fiume. Al termine del racconto, Gil-Galad si levò dal suo scranno ed estratta una pesante chiave dalla sua veste, si diresse verso un antico forziere che giaceva in fondo alla sala: apertolo, ne estrasse una lama quale gli uomini di Númenor più non ricordavano, essendo le loro menti molto più rapide ad obliare di quanto non lo siano quelle dei Primogeniti. Stupito, Erfëa la osservò con fanciullesca curiosità: non gli sembrava possibile che una simile lama fosse stata forgiata, finanche dai fabbri dei Noldor, i quali avevano appreso l'arte da Fëanor il Grande, l'artefice dei Silmaril e delle Palantíri.

Un'elegante elsa stringeva nel suo forte pugno l'Alto Sovrano dei Noldor ed essa era arricchita da delicati intarsi in ithildin, i quali rappresentavano le sette porte che un tempo custodivano Gondolin la Segreta dalla malizia dell'Oscuro Nemico. Il forte pomo in acciaio era attraversato da sottili fili di mithril: pareva risplendere di luce propria allorché un raggio di sole o di luna si posava sulla sua chiara superficie. Quale arte fosse stata in grado di concepire una simile meraviglia, Erfëa non avrebbe saputo dire: perfino le orgogliose lame dei suoi padri gli parevano poca cosa, se paragonata all'arma che Gil-Galad impugnava.

La guardia, solitamente realizzata in bronzo, era invece fabbricata in acciaio cavo, risultando leggera nell'impugnarla. La lama, la cui luminosità, perfino in una giornata soleggiata, era tale da abbagliare coloro che l'avessero mirata troppo a lungo, si estendeva per cinquanta pollici: sulla sua lucida superficie, rune di grande potere rilucevano splendenti.

Sorrise il Sovrano dei Noldor: "Sappi, Dúnadan, che questa lama fu forgiata da Curufin, figlio di Fëanor, celebre fabbro, agli albori della Prima Era, quando il mondo era giovane e gli Edain ancora dormivano. Donata al sovrano di Gondolin Turgon la spada servì i Signori della sua casata, finché non fu smarrita dopo la sua caduta. Idril, figlia del re, la trasse in salvo dal disastro e la condusse con sé allorché fuggì da Gondolin; attraverso gli anni giunse agli eredi di Eärendil e giacque a lungo nei forzieri di Imladris la Nascosta, che un giorno, forse, visiterai tu stesso. Elrond mi ha chiesto di consegnarla nelle tue mani, come dono degli Elfi a colui che si accinge a divenire cavaliere di Númenor. Io la rimetto al fianco di Erfëa, figlio di Gilnar e principe di Númenor, con profonda commozione: possa essere per te un valido sostegno, come il nodoso bastone lo è per il viandante".

Grande fu la gioia che si dipinse allora sul volto di Erfëa, ché non credeva possibile che un simile dono fosse destinato ad un mortale: "Mio grazioso signore, se l'artefice della lama stessa reclamasse quanto la sua arte ha forgiato, pure mi mostrerei riluttante nel concedergliela, ché essa sembra non già la creazione di uno dei Figli di Ilúvatar, quanto quella del Signore dei Fabbri, Aulë il Vala. Per tale motivo, il mio braccio è troppo debole per impugnare una simile lama; pure, se tale è la volontà del Sovrano degli Eldar, io la accetterò, ché possa essere mia fedele compagna negli anni a venire". Con prudenza, il Dúnadan accettò la spada eppure, nelle sue esitanti mani essa parve prendere vita. Erfëa non avvertì più alcun timore, e gli sembrò che la lama fosse fiera del suo padrone. Raggiante in volto, il principe di Númenor la lanciò in aria e ripresala al volo, lesse ad alta voce le rune che vi erano impresse, chiamandola con il nome che l'artefice aveva scelto per lei:

"Sulring di Gondolin, avversaria dell'Oscuro Nemico del Mondo e dei suoi immondi servi". Inspirò profondamente: "Possa la sua lama incutere terrore agli eserciti di Sauron, il crudele signore di Mordor".





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