Un triste congedo

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Silenti, coloro che erano seduti sugli scranni, abbandonarono la sala, ciascuno custodendo nel proprio animo le parole che in quel giorno erano state pronunciate ed avendo cura di preservarle per il futuro. Solo, Erfëa si recò sulla spiaggia di Rómenna, ove erano sepolti i condannati a morte: lunga fu la sua cerca, ché egli ignorava ove fossero stati seppelliti i corpi di coloro che un tempo gli avevano mostrato amicizia; infine, dopo lungo vagare, i suoi occhi scorsero quanto il suo cuore desiderava raggiungere ed egli si fermò dinanzi ai sepolcri dei principi del Mittalmar.

Per qualche istante giacque in silenzio presso i tumuli che erano stati colà edificati; ratto si voltò, tuttavia, allorché una mano gli sfiorò la spalla: nulla vide in principio, ché le lacrime gli impedivano di scorgere alcunché, infine una voce parlò, rincuorandolo:

"Quanta amarezza, Erfëa, figlio di Gilnar, provi il mio cuore nel vedere il tuo spirito dilaniato dagli infausti eventi di questi giorni, mai potrai comprendere, ché si dice essere differenti i linguaggi che gli uomini e le donne adoperano, sicché sovente sembra accadere che fra loro regni la discordia ed il rancore; io però non voglio obliare quanto il mio cuore nutre per te, e sebbene è possibile che tale sentimento in te debba ancora crescere o che esso sia irrimediabilmente svanito – ché, non negarlo, io lo vidi splendere un tempo nei tuoi occhi – pure desidero porgerti le mie scuse per la sofferenza che uno sciocco disio di una imbelle fanciulla arrecò nel tuo cuore. Voglio, dunque, che la pace regni fra noi".

Presale la mano dolcemente, così parlò Erfëa: "Mia signora, non meno insulso fu il mio comportamento, ché se io fossi stato fedele alle parole che pronunciai quella sera, pure non avrei arrecato un tale dolore al mio e al tuo cuore; mi avvedo, infatti, di aver seguito il medesimo percorso della menzogna che il mio vacuo orgoglio non seppe allontanare allorché giunse l'ora".

In silenzio percorsero la battigia, l'uno trovando nell'altro conforto e calore; infine, allorché Erfëa si avvide di essere giunto al porto, così si congedò da Miriel: "Addio, principessa dei Númenóreani! Possa la grazia dei Valar non abbandonarti mai, ché molto ne avrebbe da rammaricarsi il cuore dei Dúnedain se tu venissi meno allo scopo che il Fato ha tracciato innanzi a te; sia saldo il tuo animo, ché esso non sia corroso dalla malizia di questi tristi giorni".

Sulle prime Miriel non comprese a cosa alludessero quelle parole; infine, allorché la verità le fu svelata, ella chinò il capo e lo abbracciò, ché aveva compreso essere il suo un fato ancor al di là dal giungere, posto che una Morte prematura non avesse impedito alla sua volontà di ottenere quanto il suo cuore ambiva; silente mirò Erfëa mentre si imbarcava ed ella tenne alto il suo braccio in segno di saluto, finché le tenebre non caddero su Númenor e la nave non svanì dalla sua vista.

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