Da padre a figlia

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Trascorso qualche tempo, ecco che nuovamente il sovrano convocò ad Armenelos l'erede della casata degli Hyarrostar.

Sofferente parve a Erfëa Tar-Palantir, quando gli fu di fronte, come se anni interi gli fossero piombati repentinamente sulle spalle; eppure, in fondo allo sguardo, covava ancora la luce dei giorni ormai andati all'occaso e fiera echeggiava la sua voce nel salone del trono:

"Salute a te, figlio di Gilnar! Poiché il tempo è ormai giunto a maturazione, ecco che ti ho convocato nuovamente innanzi a me. Anziani sono diventati i miei occhi e il ricordo delle cose che furono comincia lentamente a sbiadire, come la luce del giorno morente. Non ti tratterrò a lungo in tale luogo, onya, ché sono solo il latore di due messaggi".

Sorrise il sovrano, ma era il suo un riso amaro, quasi beffardo: "Suvvia principe! Entrambi conosciamo il motivo per cui ti ho convocato e se non hai parlato è solo perché non ti ho ancora dato tale diritto; tuttavia non dubito che in tutto questo tempo abbia taciuto per una ragione nota solamente a te, la quale posso bene immaginare".

Erfëa attese a lungo, infine prese la parola: "Infiniti sono i sentieri che le menti degli Uomini devono percorrere per raggiungere i medesimi obiettivi, gli uni più lunghi, gli altri più brevi. Qual è il senso di tutto questo, mi chiedi? Ebbene, non credere che io voglia mancarti di rispetto, tuttavia è innegabile che il mandante dei messaggi non abbia fatto che aumentare la tua apprensione".

"Tutto quanto chiedi richiede tempo, giovane Dúnadan" ribatté il sovrano.

"Tempo? – ribatté Erfëa – Tempo? Forse è come dici tu; io però non ho il potere di modificarlo, né di prevedere quale sia il suo fine ultimo. Non mi sbaglio, affermando forse che il primo messaggero altri non è che mio padre Gilnar? Ben mi avvedo di quanto il contenuto del messaggio mi riguardi e che io abbia assunto la carica che un tempo fu sua presso il Consiglio dello Scettro; tuttavia, se è in mio potere chiederti una grazia, ti imploro di valutare a lungo la seconda proposta".

Tale fu la replica di Erfëa, e il sovrano parole non trovò per opporvisi, ché in quel momento Pharazôn, nipote del re e capitano dei Númenóreani Neri, fece il suo ingresso nella sala, senza che l'araldo avesse avuto il tempo di annunciarlo, tanta era la fretta che costui mostrava.

Giunto che fu innanzi al trono, il principe si inchinò leggermente, pronunciando tali parole:

"Sovrano di Númenor, salute e onore a te! Lieto sono nel vederti in buona salute, nonostante l'età che implacabilmente avanza. Non occuperò il tuo prezioso tempo a lungo, che ben vedo quali altri graditi ospiti attendano in disparte, – soggiunse poi, alludendo a Erfëa – vorrei però che tu prendessi seriamente in considerazione l'idea che tempo fa ti proposi. Non ho altro da aggiungere, se non rimembrarti che il Consiglio dello Scettro è ormai prossimo. Quanto a voi, principe degli Hyarrostar – si rivolse poi a Erfëa – avremo occasione di approfondire la nostra conoscenza, affinché essa possa essere proficua per entrambi".

Rise Pharazôn, mentre si allontanava a grandi passi, ma la voce di Erfëa lo bloccò sulla soglia della porta:

"Il Consiglio dello Scettro è prossimo Pharazôn; tuttavia, ora comprendo quali siano realmente le vostre intenzioni. La mia scelta dovrà forse essere quella di sottomettermi a Sauron, oppure al suo burattino? Ebbene io percorrerò una terza via, che voi lo vogliate o no". Stupito Tar-Palantir osservò Erfëa Morluin, in cuor suo chiedendosi se davvero avesse udito parole di sfida; tuttavia, lesta fu la reazione di Pharazôn, tale da impedirgli la possibilità di intervenire:

"Attento principe, voi vi inimicate molto più che il fato o il vostro destino; voi sfidate il suo artefice" concluse beffardo il nipote del re. Erfëa non ripose, ma lo fissò a lungo negli occhi, finché Pharazôn furioso non portò la mano alla spada.

"In questo luogo è proibito adoperare armi, figlio di Gimilkhâd. Ti ordino di allontanarti immediatamente dalla mia vista. Tar-Palantir è ancora il sovrano". Così potente aveva risuonato la voce del re di Númenor che Pharazôn rinfoderò la spada, furente e irato: "Sappi, o re, che vi sono al mondo altri poteri, sui quali esercito il mio dominio. Sono anch'io un sovrano, non lo sapevi?".



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