Mai il sovrano fece parola con alcuno di quanto aveva appreso; egli vedeva sua figlia crescere sotto i suoi occhi, rallegrarlo con il canto e la grazia della giovinezza, senza che mai la sua luce riuscisse a rischiarare le tenebre che si infittivano ogni giorno in misura maggiore.
Infine, stanco di non poter condividere il suo dolore con altro Uomo, Tar-Palantir prese la decisione che riteneva la migliore fra quante si prospettavano e mandò a chiamare il suo migliore capitano, Erfëa figlio di Gilnar, della casata degli Hyarrostar, che il popolo chiamava il Morluin, perché quando era ancora giovane aveva sconfitto un drago così chiamato; quando gli fu innanzi, il sovrano congedò i suoi attendenti e prese la parola:
"Grave è la causa che mi ha spinto a chiamarti, capitano degli Hyarrostar. Sei stato un mio leale paladino, fin da quando hai giurato di servire la nostra causa. È giunto ora il momento di mostrarmi le tue vere qualità, Erfëa figlio di Gilnar, ché molti destini dipenderanno dalla tua volontà".
Tacque per qualche momento, poi lentamente riprese a parlare, rivolgendosi più a sé stesso che a Erfëa:
"La Seconda Era della Terra di Mezzo volge ormai al crepuscolo. Lo sento nell'aria, lo sento nel mare, lo sento nel cuore degli uomini. Io non vedrò tramontare l'ultimo Sole", concluse osservando alcune navi di pescatori ondeggiare placide sulle calme acque; poi con grande fatica proseguì: "Io sono vecchio Erfëa, molto vecchio. Il mio tempo si appresta a terminare. In passato, i sovrani di questa terra istruivano i propri eredi al trono nella difficile arte di governare: ma quale popolo governerà un giorno la mia discendenza?".
Si alzò dallo scranno, guardando fisso innanzi sé, quasi che con i suoi occhi volesse penetrare la tenebra che si infittiva: "Noi siamo divisi, Erfëa figlio di Gilnar, divisi come il dì e la notte". Sospirò un istante, poi riprese a parlare con voce sempre più rauca, finché fu poco più che un bisbiglio soffocato dallo scrosciare del mare:
"Io l'ho visto – rantolò infine – ho scorto il destino che attende Númenor. Non posso dirti cosa i miei occhi abbiano scrutato nelle nebbie del tempo, né in che modo sia venuto a conoscenza di quanto ho detto; sappi invece che vi è ancora una speme, alla quale gli Uomini potranno aggrapparsi, per non precipitare nelle profondità dell'Abisso".
"Quale ancora mio signore? – domandò Erfëa, osservandolo attentamente con i suoi occhi, grigi come la spuma marina all'alba – Quali uomini oseranno aggrapparsi a tale speme? La vostra lungimiranza è superiore a quella di ogni altro mortale, pari a quella dei figli di Fëanor; tuttavia, mi chiedo per quale motivo il consiglio dello Scettro e il Senato dovrebbero sostenere la nostra causa – Rifletté un attimo, poi riprese a parlare, con tono malinconico – Sempre meno uomini si rifiutano di prestare ascolto alle menzogne del Nemico. Ho mirato navi sempre più possenti e massicce reclamare il loro tributo di sangue. Ho scorto la follia danzare selvaggiamente negli sguardi dei soldati e dei marinai. Ho visto la morte, rapida come il colpo di una lama ben assestato, recidere i fragili fili della esistenza umana".
Tacque un attimo, rimembrando quegli orrendi momenti cui aveva assistito in numerose occasioni della sua vita. Poi, con voce roca e bassa, proseguì il suo racconto: "Io ho visto con questi occhi ricolmi di tristezza e di dolore gli immensi arsenali di guerra che il Nemico ha realizzato in questi lunghi anni, mentre tra la gente di Númenor l'Ombra andava crescendo. Non vi è alternativa per i Popoli Liberi della Terra di Mezzo, se non quella di distruggere Sauron, prima che tutti i reami siano occupati e annientati. Ost-In-Edhil ha già dovuto soccombere, Khazad-Dûm e Lórien sono assediate, così come il Lindon e Rivendell".
Erfëa si alzò, dirigendosi verso una terrazza, desideroso di respirare la fresca e salubre aria del Vespro, prima che la notte sopraggiungesse. Nonostante fosse giunto Nárië, una rapida brezza si alzava dalla baia di Eldalonde, facendo gemere gli alberi e sollevando lacrime di mare.
Si voltò poi, lentamente, come se stesse soppesando le sue parole; infine, le pronunciò, guardando fisso avanti a sé: "Mio sire, se la speranza sopravvivrà nei cuori degli uomini, allora tornerà per qualche tempo la Primavera, che sino a poco fa spandeva delicatamente i suoi profumi; ma finché essa rimarrà imprigionata nelle buie prigioni della disperazione, ebbene non posso che temere per tutti noi".
Tar-Palantir annuì lentamente: "Le tue parole sono figlie della saggezza e della lungimiranza di Númenor: sempre risuoneranno graditi i tuoi passi nella mia reggia e mai la mia amicizia ti verrà meno. Temo tuttavia che i tuoi lunghi pellegrinaggi ti abbiano stancato; sei giovane e forte, eppure Erfëa Morluin, a te dico che deve ancora giungere il momento in cui la tua forza verrà posta alla prova. Suvvia, ora riposati e fa sì che il tuo fardello non gravi troppo sulle tue spalle. Questa sera – proseguì, dopo essersi fermato un istante – darò un ricevimento nel corso del quale festeggeremo la nomina a regina di mia figlia Miriel. Ti prego di essere presente" concluse il sovrano, ritirandosi nelle sue stanze private.
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Il Ciclo del Marinaio
FanfictionQuesto ciclo di storie si ispira al mondo fantastico creato da J.R.R. Tolkien e include al suo interno una serie di racconti ambientati a Numenor e nella Terra di Mezzo durante la Seconda Era. Il protagonista principale maschile è un principe numeno...