Il mio regno

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ADE


I capelli della Dea continuavano a finirmi sul viso, il loro profumo era inebriante e faceva scaturire in me sensazioni che a giudicare dalla celere risposta del mio corpo avevo già provato, un'intensa frustrazione mi colpì in pieno perché non le ricordavo.

La Dea era stata ponta a morire e io non ero riuscito in un compito così banale, la mente in subbuglio aveva urlato al mio corpo di compiere quell'atto per mettere fine alla sua vita immortale ma i muscoli non avevano risposto, lo sforzo era stato così forte da avermi lasciato brividi e persino ora non riuscivo ad acquietare le membra in tensione.

Mi aveva parlato di trascorsi tra di noi e a giudicare dal bacio disperato dovevano essere di natura sessuale, anche perché mi rifiutavo di credere fossero di natura romantica. Quella parola mi faceva storcere il naso.

Se Gea avesse saputo del mio fallimento mi avrebbe schiacciato la mente, annientandomi come una mosca, con la sua presa su di me. Per qualche motivo quella non era una prospettiva che mi attirava più di tanto.

Non sapevo cosa fare e in quel momento non potevo tornare dalla Dea con un fallimento così grande sulle spalle.

Avevo bisogno di riflettere.

Non troppo lontano scorsi una costruzione meno fatiscente delle altre e mi diressi lì.

Per depistare le mie tracce mi ero diretto da prima nella parte più occidentale del deserto fino a raggiungere le montagne di sale, in quei luoghi inospitali vi erano custoditi dei segreti, non ne rammentavo esattamente la natura ma il semplice guardare quelle rupi e le caverne mi era bastato per farmi venire la pelle d'oca e prendere la saggia decisione di non procedere oltre.

Risate roche e fastidiose mi avevano sussurrato nella mente per buona parte del tragitto.

La mia cavalcatura mi aveva spinto a prendere i sentieri tortuosi in mezzo ad una foresta senza vita in cui alberi poco più alti di cinque metri avevano cercato di artigliarci con le loro fronde spoglie e morte come fossimo stati degli ospiti indesiderati, mi erano bastati un paio di fendenti della mia falce perché ci lasciassero passare indisturbati. Guardai la Dea, appariva pericolosamente tranquilla e vi notai dei graffi ormai in via di guarigione su tutto il viso. La sua espressione concentrata non mi piaceva per nulla.

Brutto segno quando una donna come quella pensava intensamente in quel modo.

Attraversata la foresta oscura avevo spinto il mio cavallo a risalire verso sud dove sapevo avrei trovato il confine con la regione del Tartaro, sarebbero servite due ore di cavallo per raggiungere i cancelli e Gea.

La costruzione era diversa dalle altre, era in pietra più scura, probabilmente la concezione di quel progetto vedeva quel punto come uno snodo per qualcosa.


"Ade ancora ci provi?!" Disse una voce ormai esasperata, la ignorai.

Certo che ci provavo, volevo di più, volevo vedere quel posto diventare qualcosa che avrebbe fatto invidia a chiunque ci avesse messo piede, siccome la superficie mi era preclusa tanto valeva costruire qualcosa fosse un pallido bagliore di luce in quel posto di morte.

Il Dio alla quale non riuscivo ad associare una faccia mi strinse una spalla in modo da richiamare la mia attenzione, il corpo possente era simile al mio, notai i suoi piedi nudi su quel terreno impervio e mi chiesi quanto gli sarebbe occorso per togliere via da quei piedini di fanciulla delicata tutte le schegge di vetro si sarebbe ritrovato quella sera.

La Primavera e il CacciatoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora