PROLOGO: Sei mesi per ricordare

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THANATOS

"Moriranno tutti."

Fissai il Dio che avevo sempre considerato un amico dire queste parole, avevano il sentore di morte, non era insolito usasse quel tono con i suoi nemici, lo avevo sentito per migliaia di anni, per altrettante battaglie vissute e vinte insieme, ma ora mentre lo diceva rivolto a noi, mi fece infuriare.

Come aveva fatto Gea a ridurre all'obbedienza un Dio così potente?!

La risposta alla mia domanda mi terrorizzo come non mai, la consapevolezza esistesse un potere ad di sopra del Dio dei Morti.

Lei era più forte di tutti noi, nessuno avrebbe potuto batterla, certamente non singolarmente. Rimasi nella stessa posizione in cui ero stato costretto da una strana sorta di magia, la rabbia mi spingeva a chiedermi come avrei posto rimedio a quella situazione.

La costrizione sparì nell'esatto istante in cui lo fecero anche Gea ed Ade.

Avevo ritrovato la piena mobilità ma mi sentivo più bloccato di prima, serrai i pugni mentre la mia mente ritornava indietro di millenni or sono ad un ricordo ormai sopito, ma mai dimenticato.


L'aria pensante dell'Erebo sospingeva l'odore acre della putrefazione e della morte fin sul balcone dalla quale mi trovavo affacciato. La presenza del sovrano di quel luogo pesava al mio fianco, allora ero solo un giovane che volgeva il suo sguardo verso il potente e intimidatorio Dio dei Morti, lui non mi guardava reputandomi una nullità, piuttosto fissava il suo regno, ne ascoltava le grida di dolore delle anime, ne assorbiva il potere, ne traeva la sua immensa forza.

"Sei proprio un Uccellino fastidioso." Mi disse come al solito, usando quell'epiteto che mi faceva tanto infuriare, anche se giovane ero pur sempre un Dio.

Meritavo più rispetto, mi era dovuto dal mio status.

"Non chiamarmi così!" Cercai di impormi per l'ennesima volta, dal canto suo il Dio dei Morti mi scrutò ghignando.

"E perché no?!"

"Perché sono il Dio della Morte, mi devi rispetto!" Cercai di sbuffare adirato, ma il Dio appariva sempre calmo e controllato, ogni cosa dicessi o facessi sembrava trovarla buffa o divertente.

Era snervante!

"Oh sì certo che lo sei, o per lo meno lo diventerai, ma fino ad allora sarai un Uccellino fastidioso a cui devo provvedere e insegnare."

Io lo fissai, continuava a ripetermi che dovevo imparare, ma alla fine non mi insegnava nulla di utile.

Seguii il suo sguardo puntato sul nulla in particolare e rimasi in silenzio.

"Cosa vedi Uccellino?!" Mi chiese dopo poco.

"Nulla, solo le anime di quei patetici mortali trapassati che chiedono la tua pietà." Il Dio rise, ma io ancora non avevo capito cosa ci trovasse di tanto divertente.

Lo scrutai nuovamente, sembrava così giovane eppure era così vecchio, il suo potere era forte e rendeva l'aria circostante irrespirabile e opprimente.

"Un giorno saprai rispondere a questa domanda Uccellino." Disse il Dio con tono calmo e paziente, come se fossi stato un bambino reticente che non studia mai abbastanza e non capisse la lezione.

Risposi alla domanda del Dio degli Inferi solo secoli dopo, ma comunque non smise mai di chiamarmi Uccellino.


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