IX

224 6 0
                                    

E' passata circa mezz'ora da quella telefonata con papà e il campanello ha appena suonato, Josh è di sopra per lasciarci un po' di privacy e io sono davanti al portone con la mano sulla maniglia, faccio un respiro profondo e apro la porta sfoggiando un sorriso bellissimo per accogliere mio padre che appena mi vede mi abbraccia.

"Come stai?" Mi chiede, ora è più difficile mentirgli guardandolo in faccia, ha sempre scoperto quando mentivo, anche da piccola.

"Possiamo parlare?" Gli chiedo e lui annuisce, andiamo in salotto e ci sediamo sul divano.

"Che mi devi dire? Mi fai preoccupare."

"No papà è una cosa bella, ma non so come la prenderai." Sospiro e lo guardo negli occhi.

"Sono tornata a New York per un motivo preciso, non a caso, a Miami è successa una cosa."

"Cos'è successo?"

"Un giorno Cameron è venuto in camera mia e puoi immaginare cosa abbiamo fatto." Mi schiarisco la gola sotto lo sguardo attento di mio padre.

"Beh una volta finito Cameron mi ha detto di essere fidanzato e che tutto ciò era stato un errore che non doveva ripetersi così ho fatto le valige e sono tornata qui, ma ho iniziato a non stare bene e ho scoperto di essere incinta." La bomba è sganciata, papà mi guarda seriamente e io mi torturo le pellicine.

"Lui lo sa?" Mi chiede e io nego con la testa.

"Ho deciso di aspettare il secondo mese per dirglielo."

"Secondo me è una brutta idea, più aspetti più potrebbe pensare che il bambino o la bambina non è sua." Effettivamente non ha tutti i torti, sospiro e annuisco.

"Hai ragione, ma che dovrei fare? So per certo che non si prenderebbe la responsabilità di diventare padre."

"Ne sei certa?" Mi chiede e annuisco ancora una volta.

"Prendi il primo aereo e vai a Miami, porta la certificazione della gravidanza e digli che tra nove mesi diventerà padre, se non vorrà far parte della vostra vita allora è un problema suo." Lo abbraccio e lui mi accarezza la schiena ricambiando l'abbraccio.

"Se ti serve qualcosa non esitare a chiamarmi." Mi sussurra stringendomi a se.

"Sai Josh mi sta aiutando." Sussurro a mia volta.

"Mh e come?" Mi chiede.

"Semplicemente è presente, ha detto che vuole aiutarmi."

"Va bene, ma sta attenta."

"Certo papà, ti voglio bene."

"Anche io te ne voglio piccolina." Mi stringo a lui e gli bacio la guancia.

"Vai a fare le valigie piccolina, hai un aereo da prendere." Sorride e io mi alzo dal divano.

"Io vado a casa, tu scrivimi quando stai per partire, chiaro?" Annuisco e lui si alza dal divano, mi bacia la testa e poi esce di casa mentre io salgo di sopra.

"Tutto bene?" Mi chiede e io annuisco.

"Si tutto bene, papà mi ha consigliato di andare adesso a Miami perché più passa il tempo più Cameron potrebbe pensare che il figlio non è suo." Lui annuisce e mi guarda.

"Quando parti?" Mi chiede.

"Oggi, sono salita per fare le valigie." Gli rispondo prendendo la valigia che avevo riposto sotto il letto.

"Oh capisco, allora ti lascio fare le valigie, ci vediamo."

"Josh."

"Dimmi?" Si gira a guardarmi.

"Ti andrebbe di venire con me? Non me la sento di andare da sola e mi farebbe piacere averti al mio fianco come mi hai promesso." Trattengo il fiato e lo guardo.

"Certo, ceh si mi piacerebbe." Mi sorride e io sorrido a mia volta.

"Grazie."

"Di nulla, vado a fare le valigie, ci vediamo tra mezz'ora, va bene?" Mi chiede e io annuisco.

"Si va bene, ci vediamo tra mezz'ora." Mi sorride e se ne va, inizio a fare la valigia e la preparo per qualche giorno, sfortunatamente la casa dove abitavano i ragazzi l'abbiamo venduta quindi ci toccherà andare in albergo, prendo il telefono e chiamo un hotel in cui andavo spesso con papà.

Prenoto l'hotel e poi chiudo la valigia.

I Was Right To Leave AgainDove le storie prendono vita. Scoprilo ora