32 ~ Rossetto e cioccolato

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Gli occhiali di onice scivolarono dal naso di Sabato, sicché i contorni di Stella stesa a terra apparvero prima sfumati e subito dopo acquosi. Con la manica del chitone porporato asciugò gli occhi celesti e sistemò le lenti. Terribile. Stella era morta. La chioma serpentesca era immobile e in disordine, come un grottesco sudario stiziato di sangue a coprire la testa ruotata in modo innaturale. L'uomo deglutì a forza, come se avesse schegge di vetro ficcate in gola.

Darlina d'istinto compì un balzo, ma l'uccisore di Stella la intercettò con un salto e la colpì a una spalla con la clava facendola schiantare contro il bancone del bar demolendolo.

Sabato distribuì lo sguardo ora sulla salma, visibile oltre l'energumeno, ora su ciò che era rimasto del bar. Non riusciva a vedere Darlina.

«Porca puttana!»

«Ehi Capo! Che fai? Anzi, perché non fai! Avanti! Stendi lo stronzo che ha steso la mia Pupa preferita!»

Il colosso, ancora avvolto dalla polvere, sollevò la clava, e a passi misurati si avvicinò verso la Medusa.

«Presto Capo! Quello vuole infierire!»

Sabato in verità non stava lasciando di proposito Stella in balia del guerriero, voleva sincerarsi che almeno Darlina fosse intera. Ciononostante si rimboccò le maniche della tunica e raggiunse il bestione.

«Ehi! Tu!»

Quello in tutta risposta gemette. Scrollò la testa e alcune gocce, forse di sudore, perforarono la coltre polverosa creando piccole spire fumose. Arrivò a un passo da Stella e calò la clava formato tronco di pino, senonché l'affondo si arrestò a un soffio dalla testa della donna. Sbigottito, socchiuse la boccaccia contornata di barba e osservò la mano nuda di Sabato che stava trattenendo l'orribile arma. Sbatté gli occhi. Ripercorse con lo sguardo la lunghezza del braccio che lo aveva fermato. Lo stesso Sabato non seppe credere a sé stesso. Era sì, di corporatura alta oltre la media, essendo un ex nuotatore, ma mancava almeno un metro per raggiungere la spalla di quel guerriero. Ed era anche vero che possedeva la forza di un dinosauro. Ma il confronto con un eroe vomitato dalle cose mitologiche rimaneva pur sempre qualcosa di ragguardevole come impresa. Nonostante ciò, con una spinta lo scaraventò in mezzo alla sala, prima di accovacciarsi accanto a Stella per constatarne la morte.

«Povera brillante donna,» una mano a coprire la bocca, e l'altra su quella dell'amica a pulire il rivolo di sangue che offendeva l'antica vivacità. «Aspettaci. Entro fine giornata saremo di nuovo insieme,» sussurrò a occhi acquosi. Li socchiuse e le palpebre scacciarono le lacrime. Avrebbe voluto raccogliersi nei ricordi della lunga vita trascorsa assieme all'amica. Ripercorrere per bene gli attimi salienti che aveva condiviso con lei. L'amicizia nata all'asilo, le scuole frequentate insieme, la separazione dovuta ai differenti interessi. Il ritrovarsi poi più affiatati che mai, e poi ancora la divisione a causa delle professioni intraprese, che spesso non coincidevano con la vicinanza geografica. Infine la promessa mantenuta di trascorrere gli ultimi anni di vita da arzilli vecchietti. Era stato tutto esaudito. L'impegno di essere in tre fino alla fine mantenuto. Ma quanto faceva male l'ultima, definitiva separazione.

No. Non poteva pensare a tutto ciò. Il rumore che provenne dal cumulo di macerie che pochi istanti era il bancone del bar lo attirò. «Daria Nilla!» Recuperò la volontà di rialzarsi e corse da lei. La chiamò, ma ottenne solo dei mugugni. «Ah no! Decisamente no! Non posso rimanere solo! Che faccio senza nemmeno una donna io!» "Oddio, ho usato l'espressione di Stella!" Scosse la testa, lanciò le mani sulle macerie, ma gli bastò spostarne poche per scovare l'ultima compagna rannicchiata, con tra le braccia l'unico cassetto che una volta faceva parte del mobile da bar. Le mani in frenetico movimento su un mucchio di caramelle e cioccolatini che stava scartando e divorando in modo compulsivo.

ANTIEROI ANTICHI COME NONNI Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora