«Secondo me somiglia al campanile di San Giorgio dei Greci.» La bocca storta di Darlina e gli occhi oltre l'orlo degli occhiali a fissare il palazzo di Mausolo distante cinquanta passi. Nella mente il confronto col monumento visitato durante una gita a Venezia un anno che non ricordava.
«Chiamalo campanile, Ciabattina. Assomiglia piuttosto a una versione più elaborata della Torre di Pisa. Pende un po' a sinistra.»
«Donne, se raddrizzate le teste vedrete che non pende più,» suggerì Sabato, e le donne, arrossite, diedero dei finti colpi di tosse.
«Insomma, dopo aver lottato contro i leoni, Darlina contro i porci, un po' di torcicollo, il circo fatto per entrare in città, sai com'è...»
«È che sortisce un certo effetto. Insomma. Siamo, anzi stiamo per giungere al capolinea,» borbottò Darlina, ora attratta dalla dozzina di file di colonne disposte a raggiera intorno alla torre, unici elementi rimasti in piedi dopo la tempesta di fulmini. Ora tutto intorno era una corona di macerie, una succursale di Pompei dei tempi correnti, se non addirittura un paesaggio lunare.
«Non ci resta che entrare. Insomma. Credo che non dovremmo più aspettarci nessun altro ostacolo,» suppose Sabato appena raggiunta l'entrata del palazzo. «Oltretutto, qui comincia a fare caldissimo. Ho la bocca asciutta.»
Stella ripensò al desiderio che lui aveva espresso. Voleva ci fosse un bar. E guarda caso, in trasparenza oltre il vetrone di quella che sarebbe potuta essere l'entrata di un hotel extralusso, campeggiava l'insegna del Bar Zelletta. Stranì scoprendo il ponte dentario sinistro.
Nemmeno il tempo di chiedersi se fosse aperto, e gli ampi vetri panoramici scorsero in direzioni opposte liberando un intenso odore di frutta.
«Adesso che facciamo, entriamo?»
«Abbiamo altra scelta Ciabattina?»
Si allinearono lungo il perimetro e dopo un attimo di tentennamento varcarono la soglia. «Buongiorno!» squillò una voce sulla sinistra, oltre i tavolini sparsi in modo disordinato in un'ampia sala circolare, dove in fondo, riparato in una nicchia tipo spelonca rocciosa, faceva capolino il bancone del bar governato da una donna coperta da un velo nero dalla testa ai piedi. I bicchieri esposti alle spalle non erano più lucidi di quello che stava sfregando. Tutto intorno ceste di mele rosse erano tutt'altro che invitanti. «Avvicinatevi, avvicinatevi, prego, non esitate!»
«Mi aspettavo tutt'altro che ospitalità,» confessò Stella. I serpenti però erano tesi, e la Medusa, insospettita, tirò a sé Sabato e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Lo stesso fece con Darlina, prima di avvicinarsi insieme alla barista.
«Su, accomodatevi agli sgabelli su,» li invitò la donna in nero dagli occhi scavati e il naso a becco, che a Darlina parve d'aver visto su un altro volto. Dopo aver posato il bicchiere, che era più opaco di quando aveva cominciato a strofinarlo, agguantò un frutto da sotto il bancone: «Gradite una bella mela rossa succosa e matura?»
«Aaaaaa,» latrò Darlina. «Hai ragione tu, Stellina! È la strega di Biancaneve!»
La mela scivolò dalla mano improvvisamente malferma della vecchia barista. «Ehm... ma no... non sono...» farfugliò mentre il frutto si scioglieva sotto gli occhi di tutti.
«Il tuo talento per i cruciverba non ti ha smentito,» affermò la Medusa mentre con un gesto più rapido di quanto voluto, infilò in bocca alla vecchia il bastone serpentesco, spingendola spalle contro gli espositori di alcolici e bicchieri facendoli vibrare e tintinnare. «Chi sei?»
«Gono Agli, ghea ghei gheghehi! (Sono Acli, dea dei veleni!)»
«Oh su Stella, non essere così attaccabrighe. È una persona anziana dopotutto.»
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ANTIEROI ANTICHI COME NONNI
FantasiSono nonni. Sono tre. Sono: Stella, Darlina e Sabato, amici inseparabili chiamati ad aiutare una giovane donna a cercare il marito perduto. Sembra un compito semplice e innocuo, ma così non è. Ritrovare quell'uomo è il riscatto della vita di migliai...