Diciassette

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Liyela

Dopo una lunga camminata, arriviamo davanti una chiesa bianca dal tetto marroncino.
<<È questa?>>-domando, osservandola. Non ne sono sicura.
<<Entriamo>>-dice Tate, sorpassandomi, afferrando la maniglia della porta e tirandola.
Appena entriamo in chiesa, veniamo avvolti da un profumo di rose fresche. Camminiamo per il corridoio, con gli occhi di tutti addosso.
C'è gente seduta, altra gente in piedi, che hanno interrotto le loro preghiere per guardarci da testa a piedi.
Quasi fossimo l'apparizione di qualche Dio.
Tate si ferma davanti un uomo vestito di nero, che stava battezzando una donna in ginocchio davanti a lui.
<<Buongiorno. Lei è padre Brown, giusto?>>-domanda, gentile, porgendogli la mano. Li osserviamo in silenzio, dietro di lui.
<<L'unico e il solo>>-risponde il prete, con un sorriso cordiale.
<<Abbiamo bisogno del suo aiuto. Sappiamo che offre ospitalità agli sfollati>>-dice Tate. Il prete porta il suo sguardo su di me e la sua espressione cambia totalmente.
Diventa serio. Anzi no meglio...terrorizzato. È come se vedesse qualcosa di sbagliato in me. Perchè trema, sollevando un dito nella mia direzione. Attirando l'attenzione di tutti su di me. Persino quella di Tate.
<<Voi avete portato il demonio nella casa del signore!>>-urla, scatenando il panico.
Il demonio? Io? No!
La gente si alza di scatto, allontanandosi da me.
<<Oh mio Dio, ti prego aiutaci tu!>>-dice, una donna, baciandosi compulsivamente la croce tra le mani.
<<Demone!>>-esclama un uomo, lanciandomi addosso un secchio pieno di acqua santa. Sussulto. Rimango inerme, scioccata, sul posto.
<<Lungi da me la tua perfidia>>-dice, un altro uomo.
<<Tate, cosa sta succedendo?>>-dico, nel panico, confusa del perché ce l'abbiano con me.

Tate allontana quelle persone da me, allargando le braccia davanti al mio corpo per proteggermi.
<<Signori basta! Smettetela! Non significa che è un demone o che provenga da chissà dove solo perché ha il colore degli occhi diverso dal nostro! È una ragazza e ha bisogno di aiuto come tutti quanti noi!>>-dice, visibilmente irritato e arrabbiato dal loro comportamento.
Che non mi aspettavo proprio. Speravo in un caloroso benvenuto. <<Quello che state facendo, va contro ogni legge divina>>-continua, allibito, prendendomi per mano. Ci voltiamo per andarcene.
<<Andiamocene...>>-dice Step, seguendoci.
<<Fanatici del cazzo...>>-commenta Danny.
Poco prima di uscire dalla chiesa, delusi, il prete richiama la nostra attenzione.
<<Ragazzo, aspetta>>-dice, rivolto a Tate. Ci voltiamo verso di lui, aspettando che parli. <<Potrete rimanere qui, ma la ragazza dorme lontano dal resto del gruppo. Più di così, non posso fare>>-dice, con un espressione dispiaciuta. Sembra si sia fatto una coscienza.
<<Dormiremo lontano dal resto del gruppo>>-risponde Tate, abbassando lo sguardo verso il mio. <<Per te va bene?>>-continua.
Annuisco, stringendogli forte la mano.
<<Certo>>-rispondo. In questo momento, qualsiasi cosa mi va bene.

~~~
Arriva subito la sera, dopo aver passato il resto del pomeriggio a ridere e scherzare. E parlare di noi.
Sono quasi le 22 e non vediamo l'ora di dormire.
Io e Tate, allontanati come portatori di malattie infettive, dormiamo in un angolino della chiesa. Almeno abbiamo coperte e cuscini. E dei pigiami puliti.
Osservo Tate infilarsi sotto le coperte, di fronte a me. Non dormiamo vicini. È già strano che ci abbracciamo e prendiamo per mano.
Ma credo che sia perché è questione di aiutarsi a vicenda.
<<Tate, devi prendere le medicine>>-gli ricordo, prima che si metta a dormire, porgendogli un pacchetto di medicine. Me lo ha dato un ragazzo ferito come lui.
<<È necessario?>>
<<Se non vuoi vivere al massimo per due ore, sì>>
Tate afferra, mal volentieri, le medicine. Ne mette una in bocca, ingoiandola con un po' d'acqua.
Mette su una smorfia, rabbrividendo.
<<Sanno di benzina>>-dice, schifato. Emetto una risatina.
<<Addirittura>>

Dopo, cala uno strano e assordante silenzio. Ne approfitto per aggiustarmi le coperte e il cuscino sotto la testa.
Non è il massimo della comodità, ma in qualche modo ci si può adattare. Tiro su le coperte, restando seduta con la schiena contro il muro.
<<Sai, non me li immaginavo così>>-Tate rompe il silenzio.
<<Chi?>>
<<Gli alieni>>
Rimango sorpresa. Anche se io non userei quella parola per descriverci, va comunque bene.
<<E come te li immaginavi?>>-domando, curiosa, dandogli la mia attenzione. Voglio sapere cosa pensa di me e quelli come me.
Trattiene un sorriso, mentre ci pensa.
<<Alti, molto alti. Grigi. E con delle antenne al posto delle orecchie, sai com'è per ricevere segnali>>-dice. Rido, scuotendo la testa.
Davvero ci immaginano così?
<<Praticamente una formica gigante>>-dico, facendolo ridere.
<<Una specie, sì>>

Ritorniamo seri. Sospiro, non sapendo che dire. Non mi sono mai trovata a parlare con qualcuno così tanto a lungo nella mia vita. Specialmente un uomo.
È la prima volta che mi sento libera di dire ciò che voglio e però non so cosa dire.
<<Non siamo poi così diversi>>-dico.
<<Anche se voi siete avanti anni luce>>-dice. Alzo le spalle, non convinta di ciò.
<<Eppure certe cose ancora non le conosciamo>>
<<Già>>-dice. Si mette seduto comodo, cercando di nascondere un ghigno. <<Dimmi un po', com'è Yasara? Un giorno mi ci devi portare>>-continua, curioso.
Ridacchio.
<<Ahh meglio di no>>-rispondo, sincera. Meglio di no. Anche perché porterebbe il caos con le sue corse spericolate. E non voglio dirgli che su Yasara gli umani non sono tollerati.
<<Perché?>>-domanda, ancora più curioso.

Resto in silenzio qualche secondo, per pensare bene a cosa dire. Distolgo lo sguardo, portandolo sulla croce dove sopra c'è un signore quasi nudo.
<<Yasara è una città diversa da questa. Non ti abitueresti alla troppa pace. E poi...Ci sono cose che nemmeno io capisco>>-rispondo, riportando il mio sguardo su di lui.
<<Tipo?>>
<<Tipo animali che parlano. Cani che volano. Pensa che ne ho uno domestico>>-rispondo, ancora sorpresa nonostante lo abbia da quando ero piccola.
<<Sul serio?>>-domanda. Annuisco.
<<Sì. Si chiama Goldie. Mio padre lo tiene rinchiuso nelle segrete>>-rispondo, un po' triste a riguardo. Dopo che ha morso mia madre, è così. Ma è stato un incidente, io c'ero quel giorno. Non si merita ciò che gli ha fatto.
<<E poi? Cos'altro mi puoi dire?>>-chiede. Alzo le spalle, arrossendo leggermente per via dell'imbarazzo che provo.

Che non sono mai stata mai altrove?

<<Non sono mai andata oltre Yasara>>-gli rivelo.
<<Tuo padre non te lo permetteva?>>-domanda. Annuisco. Proprio così. Non mi permetteva di avere nessun tipo di contatto, nemmeno con la mia famiglia.
<<Non mi ha mai permesso di fare nulla>>-rispondo.
<<Mi dispiace>>-dice. Alzo le spalle, cercando di scacciare via i brutti ricordi.
<<Non importa>>-dico, mettendo la testa sul cuscino e tirandomi su le coperte <<Possiamo continuare questa conversazione domani mattina?>>-continuo, cercando di deviare il discorso.
Non voglio crollare, non ora che sto così bene. Che non mi sento più la ragazza costretta a vivere in uno scantinato. Che ha ucciso la sua seconda madre.
Quel mostro che evito di guardare allo specchio.
<<Certo>>-dice, mettendo anche lui la testa sul cuscino. Chiudo gli occhi, inevitabilmente pensando a quelle cose orribili che sono successe.
<<Notte>>
<<Notte>>
Mi addormento, cullata da alcune lacrime liberatorie che silenziose viaggiano lungo le mie guancia.

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