Anno 0
Pensavo che, il giorno in cui si muore, agli altri di te fregasse qualcosa, almeno in fondo. Eppure, mentre il sacco del cadavere di mio marito esce dal nostro cubicolo d'appartamento e dalla mia vista, mi accorgo rimestando l'asprigno tè di Ceylon che non lo amavo più. Preferisco guardare il liquido rossiccio cupo nella tazza fumante stretta tra le mie mani piuttosto, che ne so, che il lettino di metallo sferragliante portato via dai servoparamedici. Poteva scegliere un giorno diverso per ammazzarsi, ma no, proprio quando posso stare due ore staccata dallo schermo aziendale, mannaggia a lui. Ora mi tocca fissare le pareti vuote, pur di riempire il tempo, o stare a fissare la finestra del carrello in attesa che si riempia da solo della spesa e arrivi fin dentro il cubicolo d'appartamento. Certo, potrei fare un salto in giardino, ma probabilmente mi perderei in qualche corridoio prima ancora di arrivare alle scale. Mi chiedo se si prendono ancora il fastidio di cambiare le lampadine, i servodroni là fuori.
Chissà.
Nemmeno mi chiama più mia madre, nemmeno mi chiama più quella vecchia fiamma dell'università che tutta impacciata mi chiedeva di ripetere insieme per l'esame e dal nervosismo si passava le sette dita tra i capelli già brizzolati.
Quasi potevo toccarli, attraverso lo schermo.
A volte ho davvero l'impressione di essere l'unica persona rimasta al mondo, mi accorgo pure che non è nemmeno la prima volta che il pensiero mi attraversa la testa. E mentre metto a lavare il piattino della crostata di Ceylon penso pure che sì, in fondo Luka mi mancherà, con quel suo occhio storto e nero che guardava per tutt'e due, ma solo perché non ho nemmeno una finestra con un cielo da guardare, qua dentro.
Ma sì, sorseggio la crostata e finalmente vengo a patti con me stessa che alla fine stavo con lui per non sentirmi sola.
Maledetti mariti palliativi della solitudine, però come coccolava...
La sua sacca cerata e nera mi passa davanti sul traballino di metallo. È buffo perché ero sicura l'avessero già portata fuori mezz'ora fa mentre mettevo in infusione la crostata.
Ma la crostata...
Era tè.
Giusto?
Ho un senso di déjà-vu, come un gatto nero che ti attraversa la strada.
«Lana.»
Luka, sei là? Ho una paralisi, lo sento, è un colpo apoplettico.
«Λνα.»
«Luka?»
«Resta calmo, S.451-Λνα, sto iniettando 0,25e-15 di endorfine nella tua corteccia-lobo frontale.»
«Chi sei?»
«Inutile dirti Assistente Am.Al.ex, non sai chi sono. Resta calmo.»
«Perché è tutto buio? Non riesco a muovermi.»
«Non serve la luce, S.451-Λνα...»
«Lana. Chiamami Lana.»
«Va bene, S.451-Λανα...»
«Solo Lana.»
«Va bene, Λανα. Aumento il dosaggio di endorfine.»
«Perché non vedo nulla?»
«Perché non hai gli occhi.»
Se solo riuscissi a muovere le labbra, boccheggerei.
«Non ho gli occhi?»
«Aumento il dosaggio di endorfine.»
«Fermati, voglio essere lucida.»
«Appunto, aumento...»
«Stai fermo, cristo! Non mi sento nulla... Perché cazzo non ho... accendi la luce. Perché cazzo non ho gli occhi‽»
«Pensi che adesso noi due stiamo parlando, vero?»
«Ho la bocca secca.»
«Sindrome dell'arto mancante. Vuoi davvero vedere?»
«Sì, cristo, voglio vedere.»
Ora fa silenzio, bastardo. Luka? Am-al-coso?
Finalmente una luce, sia benedetto... vedi la grana dei pixel, che telecamera di mer... è un tubo di vetro, quello?Resta calmo, e ti spiego.
Quelli sono cervelli in decomposizione.
Tranne uno.
Il mio.
Esatto.
Dov'è il mio corpo?
...
Dov'è il mio corpo, cazzo‽
Ti è stato tolto. Efficientamento energetico.
E l'idea è stata lasciare un mucchio di cervelli in una vasca da bagno.
Era più economico per tenervi in vita.
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Apeimeron. Racconti e poesie
Short StoryDal greco "di infiniti giorni", raccolgo qui racconti autoconclusivi e quelle poche poesie che scrivo, in maniera sparsa e senza soluzione di continuità.