Essa suona per te

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Roma, 1977

Quarantasettesima sigaretta: le volute di fumo si avviluppano lente verso il soffitto, ingiallito da chissà quanti altri sono passati di lì prima di lui

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Quarantasettesima sigaretta: le volute di fumo si avviluppano lente verso il soffitto, ingiallito da chissà quanti altri sono passati di lì prima di lui. Già si è posto le solite scontate domande: quelle stesse coperte ruvide – d'un marrone spelacchiato, a coprire un materasso tutto molle rugginose e acari della polvere – quanti altri corpi avranno accolto? Quelle quattro pareti strette quanti altri uomini avranno visto crollare?

L'emicrania si imperla sulla fronte, combatte con il desiderio di un altro Martini Dry che gli arrovella la lingua arida stritolata dai denti. In realtà ha ragione la testa più del cuore, non è un dannato James Bond, no. È solo un vecchio fallito.

Tintinnio oltre la soglia. Lui schiaccia il mozzicone non abbastanza consumato, come fosse una vite, nello scodellino di acciaio scambiato per posacenere, e alza appena la testa oltre il corpo sul letto.

Il cachi della camicia avvolta dalla bandoliera fa capolino oltre la porta, ritrae il pesante mazzo di chiavi.

«Andiamo, signor Alfredo» gli dice il carabiniere, «È arrivato anche il suo momento.»

Passi sussurrati in un corridoio nella penombra al tramonto su Roma Ovest, una scomoda sedia di ferro industriale trascinata sul pavimento in uno stridio pesante. Gracchiare di ingranaggi, caricare di molle e leve, il fruscio di un foglio giallo di buona carta, ruvida e spessa. Una campanella tintinna e l'appuntato esclama: «Pronto.»

Alfredo incrocia le dita tra loro, la pelle s'increspa come un deserto di sale tra le dita sottili e le unghie limate, seppur ingiallite dal fumo. Fissa il muro davanti a sé, dove una finestra avrebbe dato sollievo, e aspetta il raschio di gola del suo interlocutore, rituale come l'odore di moka e lo scartabellare plichi e plichi di fogli.

Il maresciallo appoggia il cappello sul tavolo, alza un sopracciglio, inspira. «Caffè?» chiede, e getta i documenti lì accanto al berretto.

«No.» Alfredo passa due dita tra le occhiaie e gli occhiali. «Grazie.»

L'appuntato deglutisce, scruta il superiore.

«Dove volete cominci?»

Il maresciallo si volge al sottoposto, si staglia in tre quarti al vecchio seduto. «Certo, identificazione: dati anagrafici, professione...»

«Mi chiamo Alfredo Berchet...»

Sferragliare di tasti, leve, martelli, di nastri inchiostrati, un percuotere aritmico e sordo di lettere in piombo.

«...Di professione sono sceneggiatore, regista...»

L'appuntato continua indecente nel suo dattilografare.

«Sa perché è qui?» irrompe il maresciallo.

«Mi scusi, la smetta.» Alfredo pianta i pugni sul banco.

Apeimeron. Racconti e poesieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora