IN PAUSA
"무한"
«Ci sono anche altri fiori, oltre a questo».
«Non m'interessano le cose destinate ad appassire».
In città li chiamavano figli del demonio.
Jimin quasi rise, per quanto sembrasse ironica quella frase.
Difatti, Lucifero era il più bell...
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𝓢𝓬𝓮𝓵𝓽𝓸 𝓮 𝓻𝓲𝓿𝓮𝓷𝓭𝓲𝓬𝓪𝓽𝓸
Anno 2023
Si rigirava tra quelle lenzuola, in preda a degli spasmi. Non era dolore quello che sentiva, ma un forte senso di agitazione. I suoi occhi erano ancora chiusi, serrati, protetti dal mondo circostante che, quasi sicuramente, in quel momento non avrebbe mai riconosciuto. Quel profumo gli era fin troppo estraneo, tanto da farlo svegliare di soprassalto, seguito da un forte grido che quasi gli graffiò la trachea. Respirava affannosamente, Jimin, quando i suoi occhi si spalancarono e la prima cosa che riuscirono a scorgere fu un armadio, di dimensioni alquanto notevoli, che s'impossessava di buona parte della parete. Quanto doveva essere antico? Il biondo non riuscì a rispondere a questa domanda, si limitò a far scorrere gli occhi verso altre mete che, come la precedente, gli risultavano assolutamente sconosciute. Calò il viso verso le sue gambe, vedendole bellamente poggiate su di un grande e comodo materasso, proprio come il resto del suo corpo. Questo, ricoperto malamente da un lenzuolo — che sembrava in seta, se giudicata la sua lucentezza. — di un color rosso spento, così come il resto della camera, pareti annesse. Ogni punto di quel luogo, era decorato da un qualche dettaglio di color bordeaux. Jimin non ci fece molto caso e, nel dimenarsi, scorse il retro di quel letto su cui era poggiato, godendo della forma ad arco acuto che ne caratterizzava la spalliera, abbellita da vari ghirigori, messi lì a rappresentare quasi dei rami d'albero. Jimin alzò il capo, per vedere fin dove arrivasse quell'enorme ornamento e, nel farlo, ebbe un insolito faccia a faccia con l'imponente lampadario, anche quello fatto da finti rami, ma che stavolta parevano quasi dorati. Su di esso, dove di solito ci sarebbero dovute essere delle lampadine, vi erano una decina di candele, tutte accese che assieme alle altre, sparse in giro per la camera, contribuivano alla corretta illuminazione del loco. Il ragazzo seguì quella fila di luci, finché non scorse una lunga finestra ogivale che contornava una, perfettamente decorata, vetrata a piombo, su cui regnava sovrano un mosaico, rappresentante un fiore che, stranamente, Jimin non aveva mai visto e, quando ci fece caso, il biondo si rese conto che l'intera stanza ne era quasi ricoperta. Questi fiori pendevano dal soffitto, infestavano la parete come rampicanti, molti erano stati posizionati all'interno di una decina di splendidi vasi alti, in ceramica e quando, muovendo dei passi, Jimin si rese conto che migliaia di petali, della medesima pianta, erano sparsi per l'intero pavimento, gli sfiorò la mente il pensiero di essere stato rapito da uno dei peggiori psicopatici dei suoi tempi. E lui che credeva di avere una qualche tipo di ossessione per i fiori. Rabbrividì per qualche secondo, ma tornò subito a guardare la finestra, sporgendosi di poco verso il davanti, nella speranza di riuscire a sbirciare qualche dettaglio dell'esterno. Purtroppo per lui, era sera e, giudicando i vetri estremamente appannati, dedusse che il clima fosse anche dannatamente umido, doveva esserci della nebbia. Spinse due mani sul vetro, provando magari a spalancarlo o romperlo, ma non vi fu verso, sembrava quasi chiuso con del cemento armato. Sbuffò sonoramente, prima di aggrapparsi con una mano al lungo drappo in velluto, rigorosamente rosso scuro, che faceva da spessa tenda, ma che ricordava vagamente il tessuto utilizzato per la manifattura dei più sfarzosi abiti dell'ottocento. Un moto di panico scosse il corpo di Jimin, quando riuscì a realizzare, anche se in ritardo, la situazione in cui si trovava.