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Immobile nel letto fissava il soffitto in legno. Le pesanti travi erano state posizionate in quel modo da lei, anni prima. Ci aveva impiegato mesi per costruire la sua casa, quella nella quale avrebbe voluto ospitare i suoi genitori. Ma nemmeno in un mondo dove l'umanità è sola, indifesa contro una minaccia così grande, esiste pietà.
Era da tempo ormai che non faceva ritono alla sua dimora; ragni e polvere si erano impossessati dei pochi mobili presenti nelle quattro mura, e le ragnatele pendevano dalle stesse travi che fissava con così tanta intesità da ore.
Giorni prima aveva chiesto ai suoi superiori di poter tornare a casa sua, prima di partire per un'altra folle spedizione fuori dalle mura. Nonostante in quel luogo si sentisse più al sicuro che tra le centinaia di soldati arruolati nell'armata Ricognitiva, la notte non riusciva a chiudere occhio. Ogni volta che si appisolava vedeva le immagini dei suoi compagni che venivano divorati. Vedeva il sangue che scorreva tra le dita dei giganti, così simili a lei, eppure così distanti. Nei momenti di silenzio le sembrava sempre di udire le urla, i pianti e le suppliche invane dei suoi poveri compagni. Sentiva le loro ossa che si frantumavano, così come i cuori dei loro genitori, mentre scrutavano tra le fila di soldati sopravvissuti per cercare di scorgere il viso dei loro cari. Il capitano della squadra di solito si prendeva la responsabilità di annunciare le sconfitte. Era sempre straziante osservare le reazioni. Il suo lato più egoista però la faceva sentire sollevata, quando al rientro sapeva di non trovare nessuno. Non c'era nessuno da poter ferire, nessuno che poteva sentirsi deluso. Nessuno si sarebbe rattristato o disperato se un giorno lei non fosse rientrata all'interno delle mura.
Ma non ci sarebbe stato nemmeno nessuno che si sarebbe sentito felice e orgoglioso di te, Nagi.
Quella era la sua bambina interiore a parlare. Avrebbe tanto voluto abbracciare i suoi, sentire il calore della loro pelle, vederli invecchiare e stare accanto a loro proprio come faceva quando era piccina.
Ma due signori, un giorno, avevano deciso che da quel giorno se la sarebbe dovuta cavare da sola, e così il mondo la costrinse a crescere in fretta.
Aveva deciso di arruolarsi perchè stare sola le faceva paura, e perchè non sempre riusciva a trovare del cibo.
L'allenamento fu duro per lei, più volte aveva pensato di mollare, ma quello che l'aspettava fuori era ancora peggio. Per diversi anni era stata costretta a vendere il suo corpo per guadagnare qualcosa, e da quel momento non era più riuscita a trovare lavoro. Fu in quel momento che decise di arruolarsi.
Tutti i suoi compagni sembravano avere nobili motivi per giustificare la loro presenza in quel luogo, ma lei sapeva che in fondo ognuno di loro aveva motivi egoisti per trovarsi lì. La maggior parte difatti aveva già deciso di arruolarsi nel corpo di Gendarmeria o nel corpo di Guarnigione. Entrambi permettevano loro di stare lontani dalla minaccia dei giganti, anche se il primo dei due più che altro era per coloro che volevano avvicinarsi al re e alle questioni del governo, o rimpizarsi la pancia tutti i giorni senza farsi troppe domande.
Solo Nagi e una manciata di altre reclute aveva deciso di rischiare la vita in prima linea. Magari, anche se non lei direttamente, un giorno le persone avrebbero vissuto in un mondo lontano dal terrore che quelle creature seminavano. Quello che aveva capito nel corso di quei pochi anni da quando era entrata in servizio, era che in realtà lei si era arruolata in quel corpo più per il desiderio di trovare la morte un giorno. Era troppo codarda per farlo da sola, ma ogni volta che vedeva un gigante si ritrovava sempre ad avere paura. Forse era troppo codarda per morire anche in quel modo.
Ad ogni modo fuori stava sorgendo il sole, era l'alba di una nuova spedizione, e questa volta sentiva che sarebbe andata diversamente. Si alzò dal letto e si vestì. Mise con cura gli abiti che tanto aveva sudato, e per ultimo indossò il mantello con dietro lo stemma del suo corpo: le ali della libertà.
Ai soldati serviva credere in qualcosa, e cosa meglio dell'illusione che un giorno, tutte le lotte e tutti i morti durante il corso delle spedizioni, avrebbe portato alla sconfitta di quelle terribili creature. E poi ci sarebbe stata la libertà, ognuno avrebbe potuto esplorare il mondo alla scoperta dei vasti territori fuori dalle mura. A qualcuno bastavano le spedizioni per sentirsi liberi. A Nagi però non importava.
Si guardò intorno un'ultima volta prima di uscire, cercando con lo sguardo qualcosa che avrebbe potuto confortarla in qualche modo. Come ogni volta però si richiuse la porta alle spalle, lasciando dentro solo un piccolo caminetto, un tavolo sgangherato e una sedia così scomoda che ogni volta preferiva mangiare in piedi. Il letto in un angolo e un piccolo mobile che aveva costruito quando, dopo una spedizione particolarmente sanguinosa, in cui molti dei suoi compagni avevano perso la vita, i suoi superiori li avevano rimandati a casa. Allora aveva solo diciassette anni, era una delle sue prime spedizioni fuori dalle mura. La maggior parte delle reclute, ancora inesperte, erano morte ai primi avvistamenti. Una volta scampata la minaccia, nella strada del rientro, aveva sentito il comandante dire che quelli che non ce l'avevano fatta erano quelli con i risultati più incerti, e che non era sorpreso avvessero perso la vita. Quelli che rimanevano invece, lei e pochi altri, avrebbero sicuramente fatto strada.
Da lì aveva capito che la maggior parte delle ricognizioni non serviva ad altro se non eliminare gli elementi più deboli. O forse era solo lei a pensarlo. Forse era solo lei che sperava di essere tra coloro che non avrebbero fatto ritorno. Ma ad ogni uscita diventava più forte e affinava la sua tecnica, fino a quando non si era ritrovata ad avere ventitre anni, e il titolo di uno dei soldati più promettenti. Probabilmente però era in fondo ad una lista, che in cima vantava il nome di Levi Ackermann. Nella strada verso il quartier generale, che in quel periodo era stato spostato in un castello nei boschi all'interno del Wall Maria, pensò che forse non aveva mai davvero visto quest'uomo di cui tutti parlavano. Era sempre uscita con comandanti di grado inferiore, non a caso si trovava in una delle divisioni di minore importanza. A volte pensava che fosse un'ingiustizia e uno spreco lasciarla nei ranghi più bassi, ma poi si ricordava che la maggior parte dei suoi compagni non sarebbero sopravvissuti senza di lei. Alla fine andava bene così.
Il cavallo che stava usando per attraversare il bosco sembrava sapere da solo la strada, così non la costrinse a concentrarsi sulla meta. Guardava il paesaggio scorrere accanto a lei, radure che si alternavano a alberi di vario genere. Alcuni erano stati piantati lì apposta per le esercitazioni delle reclute e dei soldati. Gli zoccoli dello stallone che stava montando pestavano il terreno con così tanta forza che destò la quiete di molte creture, che fuggirono terrorizzate. Vide una lepre saltare fuori dai cespugli di una radura e la seguì con lo sguardo. Aveva il pelo grigio e arruffato dallo spavento, le lunghe zampine erano dotate di muscoli così forti da permetterle di saltare via in un attimo. Corvi si alzarono in volo mentre lo stallone continuava sicuro per la sua strada. Aveva il manto nero, era uno dei cavalli migliori che l'armata possedeva, ed era stato assegnato a lei. Ormai aveva una sorta di legame con quel cavallo, ed era in grado di percepire la sua voglia di correre. Ogni volta che stava chiuso per troppo tempo nella stalla, e lei lo andava a trovare, poteva sentirlo fremere impaziente.
Gli alberi già da un po' avevano iniziato a diradarsi, e Nagi ora poteva vedere il grande castello che si stagliava maestoso davanti a lei, ancora illminato dalle prime luci dell'alba. Il cielo era così rosso che sembrava prendere fuoco, e si rifletteva sulle finestre chiuse della struttura. Alcuni riflessi la raggiunsero e scaldarono le sue guance arrossate per il freddo.
L'edificio si sviluppava in una pianta circolare, sulle mura, percorribili, c'erano due grosse torri di guardia. Dietro si apriva un'ampia struttura di mattoni dove c'erano le varie stanze dei soldati, la mensa e le sale per le riunioni più importanti. C'erano anche edifici dislocati che fungevano da dimora per i capi più importanti, come Erwin Smith, il tredicesimo comandante dell'armata ricognitiva.
Nagi lo aveva sempre ammirato, aveva una forza straordinaria e una calma disarmante nelle sue folli decisioni. Si diceva gli piacesse scommettere.
Quel giorno lo avrebbe incontrato, ogni volta che usciva una legione per una spedizione faceva il suo discorso per incitare i soldati.
Ormai era arrivata. Attraversò lo spesso portone di legno e si diresse verso le stalle dove avrebbe lasciato il suo stallone. Smontò e lo affidò a dei giovani scudieri che lo prepararono per uscire, più tardi.
I suoi stivali alti si erano già sporcati con la polvere della terra battuta che c'era fra le mura. Se li spolverò prima di iniziare a calpestare sul pietrisco che si trovava in prossimità degli edifici.
Sapeva che tutti i suoi compagni ora si trovavano nella mensa per consumare il pasto che li avrebbe accompagnati per il resto della giornata. Di solito le spedizioni non duravano più di poche ore, già nel pomeriggio erano di ritorno. Ma svenire per la fame non rappresentava altro che un problema per i soldati, che si sarebbero dovuti fare carico del loro compagno.
"Nagi, vieni a fare colazione" si sentì chiamare da dietro, e voltandosi vide uno dei suoi compagni che sventolava la mano in aria per attirare la sua attenzione. Herb. Era un ragazzo in gamba, e Nagi sospettava avesse una cotta per lei.
Accennò un sorriso e si diresse verso di lui. I capelli castani erano ancora arruffati e a giudicare dagli occhi impastati non aveva ancora sciacquato il viso.
"Gli altri ci aspettano in mensa, tra poco il comandante Erwin verrà a fare il suo discorso" era di buon umore, nonostante stessero per uscire fuori dalle mura e quello potesse potenzialmente essere l'ultimo dei suoi giorni.
"Si dice che verrà anche il capitano Levi, le ragazze sono tutte emozionate. Non capisco cosa ci trovino in quel n.."
"Herb" Nagi lo zittì con un'occhiata repentina. Parlare male dei loro superiori non era di certo il modo migliore di farsi notare.
"Piuttosto, non mi sembri così teso" gli fece notare lei.
Lui non rispose. Era bravo a nascondere le emozioni in effetti, e d'altronde ogni volta anche lei sfoggiava uno dei suoi migliori sorrisi per rassicurare i suoi compagni prima della partenza.
Entrarono nella mensa. Lunghi tavoli si schieravano per tutta la sala, in perfetta simmetria. Le panche erano tutte occupate da reclute e soldati già pronti per la giornata. Le lampade che si alternavano sulle colonne erano omai spente, qualcuna era troppo consumata per poter essere accesa ulteriormente. Il caminetto in fondo alla sala scoppiettava allegro e bello carico di legna, e Nagi scorse lo sguardo tra i presenti per individuare la vittima che era stata buttata giù dal letto prima degli altri per spaccare quella legna.
Vide due reclute in un lato, appoggiate al muro di mattoni e con gli occhi mezzi chiusi dal sonno. Tra la divisa avevano scheggie di legno e Nagi concluse che dovevano essere loro.
Si avvicinò al tavolo assieme ad Herb, per sedersi assieme ai suoi compagni che stavano già consumando il pasto. C'era un po' di carne essiccata nella ciotola di tutti, assieme a del pane secco e un po' di verdure. Lo trovò un piatto più ricco del solito.
I suoi compagni mangiavano in silenzio, avevano lo sguardo assonnato e preoccupato, mentre il suo era già vigile e attento, come se fosse già fuori dalle mura. Poteva avvertire la pesantezza dei loro movimenti mentre si forzavano a mandare giù quel pasto, che per alcuni sarebbe stato l'ultimo. Si chiese se magari lo sarebbe stato anche per lei.
Attorno a loro quelli che non sarebbero usciti quella mattina sembravano allegri e chiacchieravano anche volentieri. Ma quando entrò il comandante con il suo seguito, tutti ammutolirono di botto, e con un tonfo che percorse tutta la sala tutti si alzarono e portano il pugno al petto in segno di saluto e rispetto.
"Riposo soldati, oggi ad alcuni di voi spetta una giornata impegnativa" era il comandante Erwin che stava parlando, con la sua voce suadente. Aveva lo sguardo serio, gli occhi di un azzurro penetrante in grado di infondere coraggio senza dire parola. Ciuffi biondi gli finivano sulla fronte mentre camminava per raggiungere un punto in cui tutti avrebbero potuto sentirlo. Al suo seguito c'era Hanji Zoe, il comandante della quarta legione esplorativa, e altri uomini. Tra loro c'era un uomo basso, sulla trentina. Aveva i capelli neri, lunghi quanto bastava per fargli finire qualche ciuffo tra gli occhi. Nagi non aveva mai visto degli occhi così ferini e spietati. Erano di un blu penetrante, così scuri che quasi sembravano avere sfumature nere. Quegli occhi sembravano aver visto l'inferno, e forse era proprio così. Le occhiaie si allungavano sulle sue guance donandogli un volto quasi inespressivo. Sembrava impenetrabile. Il suo atteggiamento era calmo e pacato, eppure si diceva essere l'arma più letale dell'umanità. Levi Ackermann, capo della squadra "operazioni speciali". Ecco l'uomo per il quale tutte le ragazze morivano, a volte anche letteralmente.
A Nagi incuteva timore, ma sentiva anche una strana attrazione per lui, come se la sua presenza assorbisse la direzione del suo sguardo.
Mentre Erwin finiva il suo discorso, l'aria all'interno della mensa era diventata ancora più pesante. Anche coloro che non dovevano partire sentivano il peso delle responsabilità che avevano, e quelle parole ricordavano loro che magari l'indomani sarebbero usciti, e sarebbe stato per loro l'ultimo giorno da soldati.
"Soldati, offrite i vostri cuori"
Tutti seguirono il comandante portando il pugno all'altezza del cuore. C'era una sorta di sacralità in quel gesto, che sembrava infondere coraggio.
Nagi seguì con lo sguardo l'uomo che aveva catturato la sua attenzione per tutto il tempo, facendogli perdere le parole fiduciose di Erwin. Dopo che ebbe varcato la soglia della porta la sala si lasciò andare ad un brusio sommesso, e di tanto in tanto le reclute lanciavano gridolini deliziati per la visione di quello che tutti consideravano un uomo affascinante. Persino Erwin Smith sembrava sfigurare accanto a lui.
Comunque Nagi, mentre usciva con i suoi compagni per andare a prendere i cavalli, ripensò allo sguardo preoccupato dei membri d'elite. Nessuno era mai entusiasta di far uscire i ragazzi fuori dalle mura.
Nel giro di poco tempo si ritrovò con addosso l'imbracatura con il dispositivo per la manovra tridimensionale, e poi di nuovo sopra il suo stallone.
"Nagi la prossima volta che fissi così intensamente qualcuno assicurati che il tuo sguardo non lo consumi"
Herb aveva il tono stizzito, come di qualcuno al quale è appena stato fatto un torto.
"Non sarai mica geloso, eh Herb?" Keila rispose al posto della ragazza. Aveva i lunghi capelli raccolti in una coda stretta, lo faceva ogni volta che uscivano, per evitare che le intralciassero la visuale. Anche lei era forte, ma a volte esitava di fronte alla vista dei giganti più alti. Più di una volta Nagi era intervenuta per salvarla dalla morte imminente. Aveva gli occhi scuri e il naso un po' pronunciato, per questo molti ragazzi la portavano in giro. A lei però non importava. Si vociferava che avesse una cotta per una ragazza di una squadra superiore alla loro. Si impegnava sempre tanto difatti, e parlava spesso di un possibile trasferimento.
Il comandante Miller, che fino a quel momento non si era ancora presentato, li incitò a sbrigarsi. Ricordò loro la formazione da tenere e lo scopo della missione: raccogliere campioni e se possibile, riportare un gigante. Quella piccola parte della missione non era stata resa nota fino a quel momento, e gli sguardi di tutti si fecero subito terrorizzati. Miller sembrava quasi dispiaciuto, ma Nagi sapeva che l'ordine non proveniva da lui. In breve tempo si rimisero in marcia verso le mura, e raggiunta la città c'era una grande folla ad aspettarli. Qualcuno fischiava, qualcuno scuoteva il capo. Altri invece erano gioiosi e speranzosi che almeno questa volta la missione sarebbe servita a qualcosa. Poi c'erano i genitori e i parenti dei soldati, con i cuori pesanti e gli occhi lucidi, in prima fila, che si sostenevano per darsi forza. In cuor loro speravano che sarebbero tutti tornati indietro.
Poi il meccanismo che sorreggeva il portone di spessa pietra che fungeva da passaggio venne azionato, e in pochi istanti la dodicesima squadra del corpo di ricognizione fu fuori dalle mura.

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