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La stanza era accogliente. Non poteva lamentarsi di certo della sua cella, che anche se loro non definivano tale, lui si sentiva prigioniero in tutto e per tutto.
Era seduto accanto alla finestra, con una mano teneva la spessa tenda. La sedia era comoda, con un cuscino morbido che riprendeva lo stesso colore della tenda, anch'essa ricamata con fili oro.
Sospirò forse per la quattordicesima volta nel giro di un'ora, più o meno il tempo che ormai era trascorso da quando si era alzato.
Lo avevano tenuto lì da quando era arrivato, ma nessuno era stato in grado di dirgli per quale motivo venisse trattenuto. Stava aspettando un processo che ancora doveva avvenire.
Probabilmente non avevano motivazioni valide per farlo, e ancora molto più probabilmente stavano aspettando una mossa falsa da parte dell'armata ricognitiva. Erwin sperò con tutto il cuore che i suoi compagni stessero bene.
Il suo pensiero volò ad Hanji, e si morse la lingua nel pensare che aveva scaricato su di lei una responsabilità così grande, ma questo era un male necessario. Ancora nessuno si era rivolto davvero a lui, per cui non aveva ancora avuto modo di smentire la vecchia informazione che la Gendarmeria aveva. Lui non era più il Comandante supremo.
Nile ancora non si era fatto vivo, e durante il viaggio non gli avevano dato modo di dire nulla.
Sentiva le mani fremere mentre se ne stava lì senza fare nulla. Chiuse gli occhi immaginando di essere in ricognizione, di sentire il vento sul viso, il mantello dietro di lui che svolazzava e lo rallentava. Ebbe una fitta allo stomaco e nel contempo sentì qualcuno battere il pugno alla porta.
Non fece in tempo a rispondere che Nile era già entrato.
"Comandante" lo salutò Erwin, con tono neutrale. Non aveva astio nei suoi confronti, alla fine lui stava solo facendo il suo lavoro, ma trovarsi lì lo irritava comunque parecchio. Era sicuro che non avessero prove contro di loro, ma allo stesso tempo sapeva che potevano essere capaci di qualsiasi cosa, e non lo avrebbe sorpreso se lo avessero portato a processo in quel preciso istante.
"Te lo dirò in tutta franchezza: la tua posizione è molto scomoda, Erwin"
"Immagino che sia a causa di quello che ho fatto a Gunther" Erwin era seduto in maniera composta, le mani pacatamente posate sulle lunghe gambe, a mostrare la sua buona fede.
"Sappiamo entrambi che non sei stato tu a farlo" frase altrettante cordiale quanto fredda, pronunciata dalle sottili labbra del suo vecchio compagno.
"Chi sia stato non ha importanza, sono io che rispondo delle azioni dei miei sottoposti" le parole gli lasciarono le labbra come acqua che scorre nei fiumi, ma la realtà era che lui non era più il Comandante supremo.
Nile abbassò il capo, sconsolato, Erwin era sempre stato un uomo tutto d'un pezzo e d'onore, ma anche astuto e manipolatore; non poteva di certo immaginare però che stesse ancora tenendo il suo asso nascosto nella manica.
"Comunque non ero qui per questo. Gunther si riprenderà, anche se porta parecchio rancore.." nel pronunciare quelle parole si fece scuro in viso, lasciando intendere che fosse un elemento valido quanto problematico.
Un po' come Levi.. pensò Erwin, mentre un nodo prendeva a formarsi nel suo stomaco. Sperava se la stesse cavando assieme agli altri, e sperava anche che Nagi se ne stesse prendendo cura. Gli era bastato vedere lo sguardo di Levi per capire quanto a fondo quella ragazza aveva fatto breccia nella sua corazza.
Erwin spostò lo sguardo sui lineamenti dell'uomo, solcati da profonde rughe che dovevano essere comparse di recente.
"Marie sta bene?" chiese improvvisamente Erwin. In passato aveva avuto dell'interesse per la donna, ma Nile era stato più scaltro, e sicuramente aveva meno voglia di lui di scoprire il mondo. Voleva inseguire il suo sogno, ma per farlo avrebbe dovuto rischiare la vita, e così aveva preferito che fosse il suo vecchio amico a prendersene cura. Tra loro c'era stato solo un bacio, molto tempo prima, quando entrambi erano ancora sotto addestramento. Nile non lo aveva mai saputo.
Osservò la sua reazione alla domanda, e vide un piccolo sorriso dipingere il volto dell'uomo. Ebbe così la sua conferma.
"Mi dispiace doverti trattenere, ma cerca di capire la mia posizione" continuò pragmatico Nile. Aveva iniziato ad agitarsi sul posto, spostava il peso da un piede all'altro e i suoi piccoli occhi saettavano all'interno della stanza. Erwin vide la sua fronte imperlarsi di sudore mentre continuava con il suo discorso.
"Cerca di essere più chiaro, perché mi trovo qui?" fece lui di rimando.
Nile sfregò velocemente le tempie con le dita e con espressione furtiva afferrò un foglio dalla scrivania. Il biondo fu sinceramente incuriosito dalla cosa, e guardò con avidità le sue lunghe dita che sfilavano una penna dalla tasca.
Troppe informazioni, i piani alti vi considerano scomodi.
Una breve smorfia si dipinse sulle labbra di Erwin.
Dunque era così. Erano vicini alla verità. Il suo animo si infiammò e improvvisamente si sentiva fremere. Doveva alzarsi e raggiungere i suoi compagni, doveva andare avanti e spingere le ricerche al limite. Voleva baciare di nuovo Nagi per aver fornito un aiuto non indifferente e stringere Hanji per sollevarla dalle responsabilità in cui l'aveva lasciata.
"Non abbiamo abbastanza provviste per mantenere anche la vostra divisione. L'inverno è durato più del previsto e l'estate ha bruciato la maggior parte dei raccolti" fece una breve pausa nella quale estrasse dalla giacca un sigaro e dalla tasca dei fiammiferi "sigaro?"
Erwin fece un cenno con il capo e Nile sfregò il fiammifero per farlo accendere, poi lo avvicinò al foglio. L'ex Comandante lo teneva stretto mentre il fuoco correva lungo i bordi e inceneriva l'interno.
Il suo vecchio compagno ne approfittò per accendere il sigaro e confondere l'odore.
"Dunque la mia squadra potrà avere un posto nella Gendarmeria? O magari nel corpo di Guarnigione" suggerì Erwin mentre si avvicinava il sigaro alle labbra e aspirava. Sentì il fumo correre lungo la trachea e invadere i suoi polmoni, che presero immediatamente a bruciare. Nella bocca gli rimase il sapore amaro del tabacco che gli fece venire voglia di sputare a terra.
Forse, anche se non alla luce del sole, avrebbe potuto continuare a condurre le sue ricerche magari appartenendo a qualche altro corpo dell'esercito. Ma L'espressione dell'uomo di fronte a lui gli fece intuire che li avrebbero semplicemente mandati a casa.. o peggio.
"Non possiamo comunque mantenere tutti quegli uomini, forse si può fare un'eccezione per alcuni soldati, ma tutti..."
"Non posso rimandarli a casa" disse fermo Erwin. Apprezzava il gesto dell'uomo, ma non aveva intenzione di far tornare Levi nella città sotterranea e farlo tornare un delinquente.
Nile aggrottò le sopracciglia e si sfregò la leggera barba, poi schiuse le labbra e fece per parlare, ma qualcuno spalancò la porta.
I due si voltarono verso la fonte di rumore. La porta, per altro sgangherata, stava ancora vibrando addosso alla parete di mattoni. Laddove la maniglia andava a battere, con gli anni, si era creato una sorta di foro dove all'interno ragni e piccoli insetti avevano fatto il nido. Erwin diede un'occhiata veloce al letto perfettamente fatto prima di rendersi conto che l'uomo che aveva appena fatto irruzione era Kenny.
"Smith, vedo che gli anni passano anche per te" fu la prima cosa che l'uomo disse, con la sua voce roca e profonda.
"Neanche con te il tempo è stato molto clemente" ribattè con tranquillità l'ex Comandante.
Kenny corrucciò la fronte e piegò le labbra in una smorfia e lo stecchino che teneva tra i denti si piegò verso il basso.
"Non riderai tanto tra un po'. La chiuderemo quell'armata di folli, puoi giurarci" Kenny sputò a terra con fare sprezzante e Erwin dovette trattenere una smorfia di disgusto.
"Nile ti vogliono fuori, ora"
In pochi minuti l'uomo si ritrovò di nuovo da solo. La quiete era tornata a regnare nella stanza, e il silenzio entrava nelle sue orecchie e diventava sempre più assordante.
Tirò un profondo sospiro e poi si alzò e prese a passeggiare per la stanza. Al centro c'era un tavolino basso, circondato da due sedie, che di norma veniva usato per prendere il tè o per bere qualcosa mentre si discuteva di cose più o meno importanti. Ricordava di averlo usato, una volta, anni e anni prima. Levi era ancora molto giovane e lui cercava di convincerlo a entrare nella sua squadra. Mai aveva desiderato così ardentemente che qualcuno entrasse nelle sue fila. Nonostante non fosse mai stato addestrato si muoveva con più maestria di quella dei soldati migliori dell'armata, e, ma questo gli doleva ammetterlo, aveva gli occhi che ardevano più dei suoi. Una delle poche persone con una determinazione come la sua.
Da quel momento aveva allevato quel ragazzo come un'arma, e da lui aveva sempre preteso il meglio, e lo aveva sicuramente ottenuto, ma a quale costo? Il ragazzo aveva preso l'abitudine di reprimere le emozioni e di affrontare le situazioni più disparate senza battere ciglio. Forse era stato troppo duro con lui. Di nuovo un sospiro gli sfuggì dalle labbra mentre pensava che stava facendo un ragionamento molto simile a quello che un padre farebbe nei confronti di suo figlio. Avrebbe voluto rivederlo, avrebbe voluto dirgli di buttarsi, a volte. Con Nagi ad esempio. Gli era piaciuto divertirsi con lei, ma si rendeva conto di quanto egoista fosse stata la scelta di continuare a vederla sapendo che Levi ne era attratto. Sperava che lo potesse perdonare, anche se era abbastanza sicuro che la cosa ormai non lo toccasse più. Dopotutto faceva parte del suo carattere.
Continuava a misurare la stanza con passi pesanti e lenti, misurando la distanza fra i vari oggetti. Dal tavolo alla finestra alla quale era rimasto affacciato prima che Nile gli facesse visita c'erano circa tre metri, e da lì al suo letto circa quattro o cinque. Non era molto grande come stanza, e gli unici altri mobili presenti erano un tavolo alla parete, una sedia molto elegante e il suo letto.
Mentre girava intorno prese a ragionare sulla situazione. Il fatto che Nile gli avesse dato quell'informazione così importante lo incuriosiva. Non ricordava di avere con lui qualche debito, ma di sicuro in quel modo ne aveva appena guadagnato uno, anche se in quel momento non riusciva a capire come la cosa potesse aiutarlo.
Le ore passavano, e lui ormai, abituato com'era a stare sempre in movimento, sentiva di non farcela più. All'ora di pranzo arrivarono a portargli il solito stufato, e mentre lo punzecchiava con la forchetta si era ritrovato a pensare che non aveva mai mangiato così tanto in vita sua.
Si presentarono verso sera, quando fuori dalla finestra il sole infiammava la terra gettando sfumature dorate.
Fu Gunther stesso a presentarsi, il viso livido e le spalle ricurve. Sembrava quasi accartocciato su sè stesso mentre spalancava la porta. Indossava dei vestiti civili, ma erano così grandi che sembrava annegarci dentro. Il viso era scavato, segno di un forte dimagrimento, il naso, già grande, ora era leggermente spostato a destra, e un taglio si allargava su di esso. Fasciature sporche gli cingevano le dita, abbandonate lungo il corpo snello.
"È da un po' che non ci vediamo" lo salutò Erwin. Non voleva risultare antipatico, ma il tono gli uscì abbastanza canzonatorio.
"Levi pagherà per questo" disse l'uomo chiudendo la porta alle sue spalle. La prima reazione di Erwin fu un sorriso appena accennato, che coprì immediatamente con un cenno del capo, accondiscendente. Non sarebbe stato il caso mettersi a sindacare su quello, e di sicuro poteva lasciarlo nella convinzione che Levi avrebbe lasciato che si vendicasse.
"Dunque mi sbagliavo sul tuo conto" disse l'ex Capitano. La sua voleva essere più un'ammissione che altro, ma Erwin notò di aver toccato qualche nervo scoperto.
La figura minuta davanti a lui sembrò irrigidirsi sul posto, gli occhi piantati sul pavimento, proprio ai piedi dell'uomo che aveva seguito ciecamente. No non si era sbagliato invece, e lui lo sapeva bene. Come poteva non saperlo d'altronde? Leggeva le persone come fossero libri aperti e Gunther era davvero affezionato alla sua squadra.
"Non vuoi davvero vendicarti di lui.." sussurrò l'uomo, comprendendo la situazione "Perché sei qui, Gunther?" inclinò la testa di lato, e nel movimento ciuffi biondi troppo cresciuti si spostarono assieme a lui, seguendo una linea immaginaria che finiva proprio davanti i suoi occhi. Erano davvero una seccatura, e oltre a quelli, anche la barba gli era cresciuta. Odiava sentirla pizzicare sul viso quando si rigirava insonne sul cuscino.
"C'è una cosa sulla quale la ragazzina aveva ragione" disse lentamente il suo vecchio compagno, la voce era debole e usciva, come impastata, assieme a rantoli preoccupanti. Temeva che da un momento all'altro lo avrebbe visto stramazzare al suolo privo di forze.
Erwin comunque sapeva che si stava riferendo a Nagi, e d'un tratto le dure parole che le aveva rivolto prima che gli lasciasse un delicato bacio lo investirono. Paura di morire? Forse, sul momento, ci aveva anche pensato a mollare tutto, ma non se lo sarebbe mai perdonato, e morire senza dare fiducia ai suoi sottoposti sarebbe stato il suo tormento maggiore. Sciocca ragazzina, si era messa nei guai da sola con quel gesto.
"Ma non ho voluto darle retta, pensavo davvero che una volta tornato qui mi avrebbero trattato come prima di partire"
Erwin ascoltava con attenzione le sue parole, e non si stupì quando il ragazzo ammise che erano stati loro ad affamarlo così.
"Dal primo momento che ho messo piede nell'armata ho rispettato ognuno di voi, per i vostri ideali tanto folli quanto nobili. Date la vita forse inutilmente e preferite la disciplina e il rigore piuttosto che ubriacarvi e scopare" fece una pausa, i suoi occhi ridotti a delle fessure al centro di lividi scuri e gonfi. Non stava davvero guardando il capitano, forse non aveva il coraggio di farlo. Se si trovava in quella situazione era colpa sua, e quando aveva visto di cosa erano davvero in grado di fare, per un attimo aveva sperato che avrebbero davvero salvato l'umanità.
"Non so cosa nasconda davvero il governo, ma so che tutto questo è successo perché qualcuno si è avvicinato troppo alla verità"
Ad Erwin brillarono gli occhi mentre Gunther pronunciò quella parola. Verità. Una vita intera a correre dietro una cosa tanto astratta tanto da lasciare persino l'amore. Aveva fame di informazioni, voleva disperatamente sapere se la morte di suo padre era stata vana o meno. Si sentiva ancora responsabile per la sua ingenuità, ma la teoria che i giganti non siano altro che persone trasformate aveva iniziato a ronzargli ancora di più in testa quando Nagi aveva riferito il comportamento anomalo di quei tre giganti sotto le mura.
"Nutro rispetto per lei, Comandante, quindi voglio aiutarla"
"Così ti uccideranno"
"Non importa, non può essere peggio dell'inferno che è iniziato con le torture di Levi" Gunther fece scivolare gli occhi sulle bende con tono mesto, poi continuò a parlare "Gira voce che in città ci sia un membro dell'armata Ricognitiva, non l'ho ancora incontrato, ma lo farò a breve. Immagino sia venuto a cercare lei, quindi cercherò di farvi incontrare"
Erwin pensò velocemente chi poteva essere il misterioso membro, e poi gli venne in mente il ragazzo con gli occhi verdi che stava assieme a Nagi. Doveva chiamarsi Herb, e ricordava vagamente il suo viso.
"Ti sono grato"
Gunther faceva scivolare lo sguardo in ogni direzione, ma non sostenne mai quello fiero di Erwin.
La sua presenza si ergeva imponente al centro di quella piccola stanza e anche in quella situazione il ragazzo non poteva che sentirsi ammaliato.
"Verrò a prenderla stanotte" fu l'unica cosa che gli disse prima di chiudersi la porta alle spalle. Erwin in realtà, vedendo come era conciato il ragazzo e sapendo come lo stavano trattando, non credeva che quella sera sarebbe davvero arrivato. Ma aspettò lo stesso trepidante, misurando a passi veloci la stanza e cercando di distrarsi guardando fuori dalla finestra. I soldati erano pigri e impacciati, nessuna minaccia poteva scalfirli. Chi sarebbe potuto entrare all'interno di quella mura? Eppure l'unico motivo per il quale nessuno era ancora entrato erano proprio loro, l'armata Ricognitiva, ma nessuno sembrava riconoscerlo.
Le reclute erano semplici da riconoscere, camminavano ancora in maniera rigida e erano sempre indaffarate per cercare di rendersi utili. Prima o poi anche loro avrebbero smesso di ricordarsi che lo stavano facendo per proteggere il Re e la popolazione, e quindi anche loro avrebbero iniziato a frequentare assiduamente bar e giri loschi.
La sua finestra dava su un cortile con un porticato circolare. Le colonne si susseguivano in cerchio, interrotte da maestosi archi decorati dai migliori artisti della capitale. La storia si intrecciava alla natura, con le raffigurazioni dei Re che si erano susseguiti seduti su troni di rose e gigli. Ma le rose erano sempre state piene di spine, ed Erwin pensò che quel posto non doveva essere poi tanto comodo.
Comunque verso sera ebbe anche la fortuna di intravedere Kenny, con il suo passo lungo e sicuro sembrava dominare la strada in cui camminava. Il capello largo gli copriva leggermente gli occhi ma Erwin sapeva che c'era perennemente un sorrisetto stampato su, come se ad avere il potere fosse lui. Il lungo cappotto lo seguiva svolazzando pigro, come fosse la sua ombra. Stava solo passando, niente di più, ma questo bastò per far salire al vecchio comandante il disgusto.
La sera si avvicinava, il cielo sopra di lui assumeva via via sfumature sempre di tenui, tra l'azzurro e il rosa, con un po' di giallo a spezzare l'armonia. Gli sarebbe piaciuto essere sulle mura ad osservare il sole calare.
Ma non fu lì quando lo fece, e non vide nemmeno la luna salire in cielo. Ormai non passava più nessuno sotto la sua finestra, e più le ore passavano più si rassegnava all'idea che Gunther non sarebbe mai arrivato. Fino a quando qualcuno non bussò furtivamente alla porta.

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