25. Resta con me

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«Dimmi il nome» mormora con un tono che presagisce soltanto distruzione.

«Enea, ti prego.»

Non so esattamente che cosa gli stia chiedendo, ma i suoi occhi ricolmi d'odio si puntano sui miei. Li scruta attentamente e so che riesce a vedere i cocci della mia esistenza andare a pezzi a ogni battito di ciglia.

Allunga la mano all'indietro per afferrare la maniglia e chiudere la porta dell'appartamento. «Andiamo, ti porto a casa.»

Il respiro mi si blocca e stringo la presa sulla sua maglietta con così tanta forza che sento le cuciture strapparsi. Non mi accorgo nemmeno di muovere le testa in segno di diniego fin quando lui la afferra tra le mani.

«Ehi, è tutto a posto. Sei al sicuro con me. Andiamo nel mio appartamento. Sei venuta in macchina?»

Annuisco e lui infila la mano nella tasca del mio giubbotto per prendere le chiavi. Mi sposta sul suo fianco destro per sorreggermi meglio e insieme scendiamo le scale verso l'ingresso del palazzo. Gli indico l'auto parcheggiata e lui la apre prima di aiutarmi a salire sul lato del passeggero e mettermi la cintura.

Lo osservo salire e avviare il motore. So che non dovrei farlo, eppure non riesco a distogliere lo sguardo da lui. Vederlo qui, accanto a me, senza che glielo abbia espressamente chiesto, mi aiuta a calmarmi. Tutto il suo corpo è in tensione, dalla mani strette sul volante fino alla mandibola chiusa in una morsa. Conoscendolo si sta controllando solo perché ha capito che sono sconvolta. Che non può lasciarmi da sola.

Probabilmente gli farò pena, però adesso le sue motivazioni non mi interessano. Sono troppo stanca per lottare anche contro ciò che ci lega.

Accosta l'auto a pochi passi dalla sua abitazione e scendo prima che possa aprirmi lo sportello. Ci fissiamo sul marciapiede per qualche secondo e so che vorrebbe dirmi qualcosa, ma si trattiene. Saliamo le scale ed entra in casa, mentre io rimango sull'uscio a osservare l'interno. Il letto è già sistemato con delle lenzuola nere e sul ripiano della cucina è appoggiata una torta al cioccolato a cui mancano alcune fette.

Enea nota che sono rimasta indietro e mi prende il polso per trascinarmi dentro. Non lascia la presa neanche quando si dirige in bagno per prendere alcuni medicinali in uno dei cassetti.

Senza che io abbia il tempo di reagire, mi solleva per i fianchi sul ripiano del lavello per avere il mio viso all'altezza del suo. Scosta una ciocca di capelli e la sistema dietro l'orecchio per guardare meglio la ferita.

Prende del cotone e gli versa sopra dell'acqua ossigenata prima di tamponarlo sulla mia pelle. Pizzica, ma è un dolore flebile rispetto al tumulto che ho dentro.

«Il taglio non è profondo, ma se preferisci possiamo andare in ospedale.»

«Non voglio andare.» Lo guardo, cercando di interpretare i suoi pensieri oltre il suo sguardo di fuoco.

Quando se ne accorge, sospira e abbassa le palpebre prima di reclinare il capo in avanti per far collidere la sua fronte alla mia.

«Sto cercando in tutti i modi di controllarmi per non uscire da quella porta e andare a cercare chi ti ha fatto del male.»

«Non puoi aiutarmi, Enea. Anche se lo sapessi, avresti le mani legate.»

«Credi che mi importi di avere dei problemi con le autorità?»

«No, e questo è uno dei motivi per cui non ti dirò chi è stato. Se vuoi fare una cosa per me, fammi stare qui stasera senza pormi domande.»

«Carla...»

Poggio le mani su suoi fianchi per sentirlo più vicino. «Ti prego, se almeno un po' mi hai voluto bene, ascoltami.»

Mi avvolge le braccia attorno alle spalle e ci ritroviamo in un abbraccio incastrato in cui è impossibile capire dove inizia e finisce il corpo dell'altro.

La parte mancante di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora