35. Truth is

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And I don't miss you, I'm doing better now

I don't even think of calling 'cause I never feel like talking

I don't, I don't need you

But I need you

[Sabrina Claudio]

***

Qualche settimana dopo


In principio, dopo la semplice presenza di Lauren, aveva creduto le mancasse la fisicità della loro relazione, il sesso e tutto quello che rappresentava, in termini di prima e dopo; e per un discreto lasso di tempo era stato davvero così.

Si levava ogni giorno all'alba, poiché insonne, e trascorreva all'incirca un paio d'ore in bagno, riversa su di un asciugamano e con la schiena contro la porta. Ricordava la piacevolezza del tocco vellutato dell'amata perduta e tentava di riprodurlo, inseguendo le molteplici esplosioni di voluttà che ella sapeva donarle. Talvolta, tanto si lasciava lusingare dal vissuto condiviso che credeva di percepire il suo respiro affannato, contro l'orecchio.

Allorché lo stato di grazia cessava, veniva invasa da un'immensa tristezza mista a disagio; e dopo ogni vampata di piacere, di cui invero godeva sempre meno, la sensazione pareva acuirsi dolorosamente. Insieme a essa, il mosaico dell'abbandono acquistava un nuovo, prezioso tassello.

Di Lauren non rimaneva quasi più traccia, ormai; e la memoria che richiamava a bassa voce appariva inaffidabile, scialba nelle tonalità, iridescente e cangiante, ingannevole. Allora si accaniva, ma invano; e dal suo delirio non otteneva altro che un'enorme stanchezza.

Rialzandosi a fatica, poiché invasa da una sensazione di vertigine, bestemmiava sottovoce. Odiava quei momenti infarciti di una lucidità indirettamente proporzionale al vigore fisico. Finiva per ammettere di essere divenuta incapace di donarsi piacere allo stesso modo in cui l'aveva ricevuto da lei. Quindi regrediva lentamente a uno stato di debolezza spirituale, salvo poi comprendere cosa davvero meritasse di essere rimpianto, almeno per un minuto quotidiano di miserabilità: il prima in cui usava stringerle la mano con quella che le rimaneva libera e il dopo in cui le accarezzava i capelli scarmigliati e la fronte imperlata dal sudore; il sorriso genuino che si lasciava scappare nel buio, frattanto che sfregavano tra loro le gambe e per scaldarsi e per accendersi; il nome che ripeteva sottovoce, contorcendosi sensualmente, Camz, Camz, Camz; e come la marchiava con i denti, nel mentre, sul petto, sul collo e sulle spalle...

Trovata e comprovata la maniera di acquietare quei pensieri molesti, era già ubriaca sul pavimento. Qualche volta riusciva a rispondere a una chiamata in ingresso.

- Pronto? – biascicava in allegria.

- Speravo non rispondessi, Mila -.

- E perché no? Non son mica morta! -.

- Preferirei dormissi -.

Arricciava una ciocca di capelli con fare vanitoso, s'impettiva e sospirava come se non avesse più verbo con cui ribattere, tanto era esasperata dalla situazione.

- Sempre lo stesso repertorio, Dede. Portami una novità ogni tanto! -.

Talvolta le scappava una risata isterica. Agguantava la bottiglia che aveva messo a giacere sul pavimento e ne attingeva un sorso generoso. Si rilassava contro la porta e rovesciava lo sguardo sul soffitto. Poteva tacere per lunghi intervalli di tempo, e non sapremmo dire se in forza al dolore che la divorava o alla severità della punizione che si infliggeva, come a voler sanare una ferita con il cauterio.

White Dress or AllelopathyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora