33. You don't love me like I do

32 3 0
                                    

And it's me outside the door

Still me outside the door

Are you still there?

You don't love me anymore

Have I said it all?

[Elisa]

***

nb: il mio capitolo preferito.


Poco dopo


Lauren si liberò dalla presa a tenaglia di Ernesto con alcuni strattoni. Non aveva idea di dove quell'energia tumultuosa le provenisse. Vedendo Camila allontanarsi aveva provato l'irrefrenabile impulso di correre a perdifiato, e impedire a quella valanga di vicende funeste di raggiungere la valle dei suoi sentimenti. Poi era subentrata la vettura lucida di Jorge cui dare la caccia e non era stata più in grado di competere.

A questo snodo della storia non poteva ormai opporre più nulla, anzi: allorché fu costretta ad attendere un autobus per Cojímar, si ritrovò a pesare la faccenda sul cuore, inerme. Rivisse ogni singolo giorno degli ultimi due anni, rimpianse ogni deplorevole azione, spasimò per tutto l'amore che, negletto, non avrebbe più ricevuto e che erroneamente aveva creduto imperituro.

Quindi, convintasi che ogni secondo di inattività potesse assumere le vesti funebri del rimorso, riprese a correre. Il moto di vento che provocava intorno a sé le sferzava le gote accaldate con le maniere di uno schiaffo deciso, seppur non violento. In verità, divenne più feroce quando si arrese alle lacrime. Ai confini della capitale, tuttavia, di esse non rimaneva che una salata traccia riarsa, prodotta dalla speranza che ancora giaceva sul fondo del vaso di Pandora. Rallentò appena accanto all'ingresso di un parco verdeggiante da cui provenivano copiosi schiamazzi di giovani creature e individuò una bicicletta riversa sulla ghiaia. Non batté ciglio quando montò sul sellino come fosse stata di sua proprietà.

Arrivò a destinazione soltanto dopo un'intensa ora di ricerche, con i polpacci in fiamme e il torso madido di sudore e paura, la giacca malamente allacciata in vita e le piante nude appena sfregiate dai pedali. Pareva aver scampato un incendio ed essersi offerta a deposito di tutte le ceneri dell'edificio defunto. Fumava da capo a piedi, egualmente per l'ansia e per lo sforzo. Indi, con andatura incerta, si approssimò alla casupola del calzolaio Guerra. Bussando, tremante, venne invasa da una feroce sensazione di déjà-vu. Resta, regina, in sella a quest'amore / che ci rende del Carro rote etterne, / per cui Fetonte trovò tal dolore / da perir sotto le saette paterne / e pianto in stille d'ambrato colore / cadde in tuffo tra le braccia materne. Allora, non v'era modo che i versi potessero soccorrere alla rovina. Ne era consapevole nella profondità di ogni osso del corpo, eppure stentava ad accettarlo.

Quella era la fine: il batacchio arrugginito posto sulla porta rossa dietro cui Camila si era rifugiata più volte, specie da lei.

Poiché non era alla ricerca di Mariposa, optò per pigiare con decisione il campanello. L'attesa che seguì ultimò di consumarla. Non aprire, le parve di udire.

- Camila! – piagnucolò allora, come una neonata abbandonata in fasce sul ciglio di un fiume.

Le forze nervose che l'avevano mantenuta eretta sino ad allora cominciarono a venire meno. Indi, prese a battere la porta con i pugni, in una violenta scarica di collera e capriccio che attingeva direttamente dalla sua adolescenza. Poiché lacrimava e singhiozzava, presto le gambe non la sostennero più.

In ginocchio sull'uscio rassomigliava pericolosamente a una Maddalena penitente.

Anni prima, durante il lungo soggiorno europeo, aveva potuto ammirare quella di Donatello, esposta al Museo dell'Opera del Duomo a Firenze. Non era mai riuscita a verseggiare quel dolore come se le appartenesse perché esso, per il tanto che lo temeva, la conduceva allo stremo: diventava facilmente la salma di Ettore agganciata per i calcagni al carro vittorioso di Achille. Nemmeno respirare la polvere lo soffocava in qualche modo; e se per un attimo prendeva consapevolezza di essere senza fiato, boccheggiava, credeva di morire.

Moriva allora, scossa da singhiozzi che parevano, ed effettivamente erano, tuoni ineluttabili dell'anima. In forza ai loro colpi piano piano si sgretolava, e quando sovvenne la pioggia, non ci fu verso di risciacquare il sangue che aveva perso e che le infestava la pelle in forma di cadaveri rappresi, di un rosso così scuro che apparivano neri, carbonizzati. Era un simposio per i vermi, ormai.

Quando Camila aprì e le si gettò tra le braccia non possedeva quasi più senso della veglia e della realtà. Come il fantasma di un corpo rimasto insepolto, vagava senza metà in un cumulo di stracci tra i ricordi di ciò che era stato, com'era evoluto, naufragato, e per cui ora poteva soltanto provare un atroce rimorso. In primo luogo, stentava a credere di averlo vissuto.

- Lauren -. La voce dell'amata perduta le giungeva ovattata, a causa del ronzio molesto che le infestava le tempie e che con una logorante lentezza la stava conducendo verso la bara. – Lauren, mio Dio -. Nemmeno percepì il buffetto che occorse all'ennesimo richiamo. – Sta diventando ridicolo. Per favore, lasciamoci andare -.

- Camila... - sospirò soltanto, quindi perse i sensi. Si abbandonò a quel poco di affetto che sentiva ardere sulla pelle e nel momento in cui allentò la presa disperata sul presente sperò di non risvegliarsi più.

Camila contrasse le labbra in una smorfia addolorata. Le urla furiose che aveva udito, accovacciata contro la porta, avrebbero risuonato instancabilmente tra le pareti infinite dei suoi incubi; mostri informi, deformi talvolta, che avrebbero infestato i mesi successivi.

- Oh, Lauren -.

Si sentiva morire altrettanto, per il dolore pungente che le stringeva il petto. Mentre assestava la presa sulla sua nuca inanimata, con il dorso della mano raccolse il sudore che permaneva sulla sua fronte. Proseguì tra le sue folte ciocche corvine, frenando la voglia di stringerle in un pugno, e si limitò ad annidarvisi. Quando più volle addurre qualcosa, realizzò di esserne incapace: troppo severo il nodo che le attanagliava la gola. Ma che altro poteva dire, in quel frangente?

Quindi inspirò profondamente, tentando di calmare il pianto che ascendeva alle ciglia come l'acqua di un fiume in procinto di straripare. Allora sapeva di dover sradicare quell'amore da sé come un'erbaccia malefica. Ma come poteva riuscirci, si domandava, se innanzi agli occhi le si proponeva quell'immagine martirizzata? Quelle palpebre socchiuse, sotto le quali si celava l'armamento di un intero esercito; quel pallore poco equatoriale, quelle labbra esangui, solerti interpreti del desiderio più indomito?

Al pensiero di cotanta tentazione quasi cedette, lusingata fatalmente da un vortice in grado di travolgerla sempre con maggiore passione e maggiore forza distruttiva, ma che per tornare a godere di buona salute doveva necessariamente relinquere.

La sua inclinazione artistica, ferita dall'afflizione più viscerale, le suggeriva cautamente l'immagine della Pietà michelangiolesca: l'intimo congedo tra Gesù Cristo morto e smontato dalla croce e sua madre Maria, che delicatamente lo accoglie tra le braccia.

Scosse la testa: la stessa arte che in passato l'aveva riempita di luce ora spegneva una a una le fiaccole gradualmente accese. Allora, come un zavorra che venga liberata al suolo, si sentì precipitare; e con essa le lacrime. Adagiò la fronte sulla figura immobile dell'amata e scivolò con ogni elemento organico di sé in un pianto sommesso, ma accorato.

White Dress or AllelopathyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora