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Quasi sempre la vittima introietta il disprezzo dell'aguzzino e si giudica sporca, mostruosa. Secondo questo perverso meccanismo mentale, la colpa è sempre di chi si fa stuprare. Lo stupratore diventa quasi come un destino già scritto, un evento crudele ma inevitabile come un terremoto, un'alluvione, e questo finisce per alleviare la sua colpa.
- Dacia Maraini

Vinnie credeva di averla imparata a conoscere, credeva anche di essersi abituato al suo atteggiamento chiuso e al suo essere così sfuggente. Credeva, eppure si sorprese comunque quando la mattina si svegliò non trovandola a fianco a sè. Non era la prima volta che scappava, ma lui rimase comunque sorpreso, e comunque uscì a cercarla sperando di trovarla in bagno o in cucina. Non la trovò, ovviamente.

Arielle smise di rispondere al telefono, ai messaggi come alle chiamate, di chiunque. Smise di rispondere in primis a Vinnie, dopo anche a Larray e a chiunque avesse provato a contattarla. Ma la cosa che più fece preoccupare tutti e mise il mondo in allerta, fu che smise completamente di pubblicare contenuti sui social. Può sembrare una banalità, ma lei non l'aveva mai fatto, aveva sempre trovato qualcosa da postare per i suoi fan, per tutte quelle persone che le ricordavano sempre che aveva un posto nel mondo a cui tornare, che la facevano sentire voluta. Non l'aveva fatto nemmeno dopo quella terribile sera, anche se dentro moriva, anche se non riusciva ad alzarsi dal letto, anche se faceva avanti e indietro fra dottori e psicologi, imbottita di pasticche. Non aveva mai smesso di essere l' Arielle che quasi 1 milione di persone amava.

Ma aveva smesso di farlo quel giorno e loro non potevano saperlo, ma lei aveva anche cancellato ogni singola app di social presente sul suo telefono. Tutto le ricordava lui, e lei, anche se poteva sembrare infantile, non voleva ricordarlo. Lei avrebbe voluto dimenticare ogni singolo attimo di quella notte, strapparsi la carne che lui aveva toccato e sostituirla con una nuova, forse più pura, migliore. Avrebbe voluto cancellare quella sera, ma la verità era che non poteva farlo.

Era successo, per anni l'avevano messa in guardia su quanto gli uomini fosse pericolosi e lei aveva sempre pensato che non era una cosa così grave. "Cosa vuoi che mi succeda!" Si diceva, scherzando. Aveva avuto troppa fiducia negli altri, ma non se la meritavano. Aveva chiamato lui, e tutti i suoi simili, mostri, animali, bestie... poi si era seduta a gambe incrociate sul suo letto e aveva riflettuto che non erano niente di ciò. Erano esseri umani, come lei, come chiunque altro, perché una malignità del genere poteva essere propria solo della specie umana. Aveva smesso di chiamarli mostri, perché non erano personaggi di una storia, erano reali, lui era reale. Si era sentita forte e al sicuro, l'aveva fatto soprattutto tra le braccia del ragazzo che lei più adorava, quello che la faceva sentire sicura e amata, e proprio lui si era rivelato quell'ombra nera che aveva portato via tutta la sua luce.

Si era sentita sporca, mostruosa, tutti aggettivi che invece sarebbero stati dovuti attribuire a lui. Si era sentita sola, violata, umiliata. Si era sentita osservata, giudicata, a volte compatita... La cosa peggiore di tutte però è che si era sentita colpevole. Per mesi, anni, si era auto colpevolizzata, davanti allo specchio, si era insultata, aveva aggredito se stessa.

"Non potevi bere meno?"

"Avresti dovuto mettere un paio di pantaloni, al posto di quel vestitino corto."

"Sei stata tu a dargli l'idea di volerlo fare."

Si era detta. Si era ripetuto che era stata lei a causare quell'evento. Si era convinta che non fosse stato lui a farlo ma che lei, da sola, si fosse trascinata in quella situazione. Si era data della stupida, più e più volte, perché si era cacciata in quella situazione da sola. Credeva di averlo provocato, di avergli dato l'impressione sbagliata. Si era imposta di non bere più e di vestirsi sempre coperta, onde evitare lo stesso errore. Poi però aveva capito. L'aveva capito, anche se dopo molto tempo. Aveva capito che non era colpa sua, non lo era affatto.

Non importava che lei avesse bevuto, perché lui l'avrebbe fatto comunque. Lei era libera di fare quello che voleva, era libera di bere e di divertirsi. Era libera di ubriacarsi e di sentirsi comunque sicura, senza dover temere una violenza.

Non importava cosa lei indossasse, perché non era quello ad aver causato l'evento. Non era quello ad averlo provocato, l'avrebbe fatto anche con altre cose addosso. Non si sarebbe fatto scrupoli.

Infine capì che non era stata lei a provocarlo. Capì che nessuno si sveglia una mattina e decide di violentare la propria fidanzata. Capì che nel mondo esistono persone malate, che nascono con impulsi sessuali malati, che niente avrebbe potuto fermalo e allo stesso modo niente avrebbe potuto provocarlo. Capì che quell'evento non l'aveva causato lei, ma lui.

Così finalmente si era tolta un piccolo peso dalle spalle, la colpa di quello che era accaduto, e l'aveva messo in un cassetto, nonostante avrebbe voluto darlo a lui. Ma il resto restava, continuava a sentirsi sporca, violata, ferita, sola, giudicata. E quella sensazione non se ne sarebbe mai andata, neanche a distanza di anni.

Aveva conosciuto Vinnie, e aveva creduto di poter andare avanti, aveva creduto che lui fosse perfetto, ma non era così. Nessuno era perfetto e il grande difetto di Vinnie sapete quale era? Era bello. Dannatamente, fottutamente bello. E sapeva di esserlo.

Proprio come Chase.

"Sei proprio come lui." Gli aveva detto, anche se non la pensava del tutto così. Povero Vinnie, non aveva colpe, non aveva mai fatto niente di male. Però lei non poteva fidarsi, non di nuovo. Vinnie era tutto ciò che lei aveva cercato di evitare: era bello, simpatico, dolce, intelligente, era circondato da ragazze. Era la copia spiccicata del ragazzo popolare di cui si era innamorata, ed indovinate come è andata a finire?

Lei non poteva fidarsi di lui. Voleva, ma non poteva. La sua parte razionale glielo impediva, ma il cuore è cieco e stupido, così la costringeva sempre a tornare da lui. Per questo si era rinchiusa in casa, lontano da lui e da chiunque. Aveva pensato che fosse meglio allontanare lui, Chase e chiunque fosse in qualche modo ricollegabile a loro, prima che accadesse il peggio.

Si era chiusa lì, sola con se stessa, circondata da specchi e oggetti che le ricordavano cose le era successo. Le ricordavano quanto fosse sporca, macchiata. Aveva iniziato a cadere di nuovo a caduta libera, sempre più veloce, rapidamente. Si avvicinava al fondo, e sperava davvero che qualcuno la venisse a salvare.

Perché una volta toccato il fondo, non sarebbe più risalita a galla.






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Ciao a tutte, questo capitolo è molto speciale ed è anche per questo che è l'unico capitolo lungo che troverete in questa storia. È speciale perché tratta un argomento molto forte e importante e vorrei che lo leggesse attentamente e che lo capiate. La violenza sulle donne è un argomento molto importante che mi tocca particolarmente come penso tocchi qualsiasi donna che in questo momento legge. Voglio solo dirvi che non siete sole, non lo sarete mai. Voglio dirvi di stare lontani da uomini che vi fanno sentire sbagliate, in pericolo, che non vi rendono felici. Voglio dirvi di non aver paura di dire NO, e di non sentirvi colpevoli se un ragazzo non è in grado di accettare il rifiuto. Siete libere di dire no, in qualsiasi momento che si tratti di uno sconosciuto o di vostro marito. Sono qui, se qualsiasi di voi avesse bisogno di parlare di qualcosa, sentitevi libere di scrivermi in ogni momento perché ricordatevelo sempre non siete mai sole. Troverete sempre qualcuno disposto ad aiutarvi, non siete sole e non siete perse. Non riducetevi mai come Ari, chiedete aiuto, accogliete chi vuole starvi vicino. Vi prego di fare cura di queste mie parole, vi voglio bene.

Vi lascio qui, se mai vi dovesse servire (spero vivamente di no) il numero di d'emergenza per la violenza sessuale, fisica, psicologia sulle donne e per lo stalking, perché ricordatevi sempre

Non abbiate paura di chiedere aiuto.

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