Capitolo 6

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Davide cammina di fronte a me in Piazza XX Settembre, con le mani in tasca e i boccoli appena smossi da un venticello che proviene da Marina di Pisa. Si ferma a fianco di Palazzo Pretorio, di fronte alle strisce pedonali e, per l'ennesima volta, si gira all'indietro e mi guarda.

– Mah, – borbotta.

Sospiro Alzo gli occhi al cielo buio e privo di stelle. È venerdì sera e, attorno a noi, si è già radunato un piccolo gruppo di pedoni festanti. – Davide, che c'è? 

– Niente, – risponde laconico, già col viso rivolto altrove.

– Fai lo strano da quando siamo usciti di casa, – insisto.

Io? – Non ci prova nemmeno a nascondere l'ironia. – No-no. Ti sbagli. 

La coda di auto si ferma alla nostra destra. Poi il semaforo passa da rosso a verde e tutto assieme, come una mente alveare, l'assembramento si muove in avanti e raggiunge il muro d'argine che sta dall'altra parte della carreggiata. Davide si blocca per un attimo, si piega su una coscia e tira fuori un pacchetto di Lucky Strike dalla tasca laterale dei suoi pantaloni cargo. Si accende una sigaretta. Poi riprende a camminare.

– Ma se non fai che girarti e lanciarmi occhiate storte, – gli dico, e allungo il passo per affiancarlo.

Ed eccoci sull'Arno. Ponte di Mezzo fa una leggera salita, poi ridiscende. Riesce già a intravedere la sagoma scura della piccola statua di Giuseppe Garibaldi, i tre archi del portico alle sue spalle.

– Uhm, – risponde serio, con gli occhi rivolti alla superficie del fiume, su cui la luce dei lampioni si rifrange come uno strato di glitter. – Magari è 'n'impressione tua. Potrebbero anche avertele montate al contrario, vedi un po'.

– Montate al contrario... Cosa?

– Le lenti dei tuoi nuovi occhialini da hipster. – La frase pronunciata con lentezza, ogni singola sillaba scandita con cura – Ah, a proposito, ma da quand'è che non ci vedi?

– Ho... Ho solo un leggero astigma...tismo. – Col polpastrello tremante del dito indice, spingo all'indietro il nasello in plastica dei finti occhiali che la moka mi ha obbligato a comprare in un negozietto vicino alla stazione. 

– Ma non è una critica, figurati! – esplode con enfasi, e soffia di fronte a sé il fumo della sigaretta. – Ti stanno... benissimo! Credo. Soprattutto abbinati a quel maglioncino retrò, – mi indica il petto, – e a questo... Questo giaccone di velluto a coste, che sembra uscito da un mercatino dell'usato.

– Okay, – bofonchio, – quindi è per come sono vestito. – Me lo sentivo che non era una buona idea. E che cazzo.

– Ma no, bro! – Interrompe per un attimo la camminata, in modo da potermi assestare un'energica pacca sulla spalla. Siamo quasi alla fine del ponte. – Non mi permetterei mai di criticare il tuo abbigliamento! Mi stavo solo domandando, – e punta l'indice verso il mio fianco, – dove tu abbia trovato quella bella tracollina in pura canapa, col bottoncino di legno... Vorrei saperlo, perché, sai... La mia, quella per cui mi hai preso per il culo per tutto il primo anno, dicendo che era, cito, una borsetta da zoccola sinistroide con il papilloma virus, si è rotta. E stavo pensando di comprarne un'altra.

Sospiro. – Va be', senti, scusami, d'accordo? Avevi ragione tu. È comoda per, per... Per tenerci le cose. Non è da... Da zoccola.

– Ne sei sicuro? – E all'improvviso si volta con aria di sfida. – Perché questo spiegherebbe anche la spilletta arcobaleno che ci hai appicciato sopra. Gianmarco. Ti prego. – Mi si mette davanti. 

– Cosa...?

– Guardami negli occhi, – dice serio. Siamo di fronte a Piazza Garibaldi.

– Uh? – La sua espressione mi mette a disagio.

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