Appena varcata la soglia dell'appartamento, siamo investiti dal tenue profumo del detergente al sapone di Marsiglia misto a fiori di campo. I raggi del sole penetrano attraverso il vetro immacolato della finestra e risplendono sulla superficie del tavolo bianco vicino all'ingresso. Ogni dettaglio dell'interno è stato predisposto con il massimo zelo. Di fronte a una sedia ho lasciato il portatile chiuso, accanto una piccola pila di fogli pieni di appunti, perpendicolare rispetto ai bordi del legno, con una penna a sfera posizionata in diagonale sulla cima. Sulla sinistra, al di là del divano, spiccano le foglie della calatea che ho comprato e portato a casa martedì pomeriggio, dentro a un vaso color acquamarina dalla forma ovale ch'è costato più della pianta stessa; e, poco più avanti, dalla porta della stanza di Lidia aperta sul disimpegno, s'intravede lo stendino aperto, con gli asciugamani appesi in buon ordine, tolti dalla lavatrice poche ore fa. Anche da quella zona s'irradia un sottile profumo, stavolta quello del detersivo ecologico alla lavanda.
Anna si ferma al centro del salottino.
– Eccoci arrivati. – Con un gesto delicato accosto la porta alle spalle, ci metto tutta la cura possibile per evitare che il rumore della chiusura interrompa la quiete di questo momento. – Mi spiace per tutte le scale, ma purtroppo l'ascensore...
– Caspita, – commenta lei, con il naso per aria. – Lo tieni bene, l'appartamento.
– Ehm, sì... G-grazie. – Appoggio le chiavi nel piattino sulla destra, tendo una mano in avanti per farmi passare il cappotto. – Ti va... se ti offro qualcosa?
Dopo dieci minuti siamo sul divano. Lei sta seduta in obliquo, tiene una gamba piegata e il busto rivolto verso di me. Davanti a noi, sul tavolino basso, ci sono due bicchieri di succo alla pesca e una scatola di latta piena di biscotti vegani al cocco. Anna ne tiene uno tra le dita, ha notato che non si tratta di biscotti confezionati, di quelli che si trovano al supermercato. – Sì, in effetti, – confesso, – li ho presi in una pasticceria qui vicino. Di solito non compro cose così raffinate, ma... è che sapevo che saresti venuta.
Lei sorride di questa mia ammissione. Ho imparato nei giorni scorsi che, se una donna ti ritiene sincero sui fondamentali, non fa danno, di tanto in tanto, lasciare che scopra che alcuni dettagli di sfondo sono stati decisi in base a un calcolo, al solo scopo di guadagnare terreno nella sua considerazione.
E questi momenti, queste brevi parentesi di onestà che mi concedo, sono diventate la valvola di sfogo del mio rodimento, lo spiraglio da cui lascio passare l'aria prima che il senso di colpa esploda.
Ecco lo schema: vedi, Anna, questa piccola cosa che ho fatto? Ecco. In verità non è stata spontanea: non mi comporto così, di solito. È solo che sapevo avresti gradito, e ci tenevo a far buona impressione. Dimmi: ti dà fastidio... che agisca così?
E lei, il caso vuole, sorride. Non le dà fastidio. Non trova scorretto che io compri biscotti artigianali solo per lei, né che selezioni posti con opzioni vegane in cui portarla di sera, né che ascolti con attenzione ciò che dice di sfuggita, per indovinare ciò che le piace e ciò che detesta.
Quindi... posso dedurne il tuo consenso anche al resto della finzione, no...?
Questo, però, non lo chiedo a voce alta.
– Anna...
– Sì?
– Posso farti una domanda...?
– Attento, Gianmarco. – La voce dalla cucina.
Deglutisco.
Anna fa un cenno col capo, prende un sorso dal suo bicchiere.
– Cosa... Cosa significa il tuo ciondolo? Perché un tassello del puzzle?
– Ah! – Si porta la mano destra all'incavo del collo, lecca il residuo del succo dal labbro superiore. – Questa è una lunga storia. Quando andavo alle elementari, era sempre mio nonno materno a venire a prendermi all'uscita da scuola, a parte il sabato.
STAI LEGGENDO
La moka
Mystery / Thriller| WATTYS 2023 SHORTLIST | Come reagireste se, una mattina come tutte le altre, mentre siete in cucina a pensare a cosa prepararvi per colazione, la vostra moka cominciasse a parlare? Salve a tutti. Mi chiamo Gianmarco Gori, sono uno studente fuorise...